Amo la douce France, senza se e senza ma. Mica che sia tutto perfetto, sarebbe inumano, ma mi piace, in Provenza come lungo la Loira, nell’Ile de France o in Bretagna.
Piace anche a Donatella, e dice che i francesi del nord (i “veri” francesi, quelli della lingua d’oil) sono più socievoli, cordiali e ospitali dei francesi del sud, gli occitan-provenzal-catalani della lingua d’oc. Non so, forse è così. Di fatto, i nostri più recenti incontri con francesi del nord (in Bretagna fra il 7 e il 15 luglio) sono stati molto cordiali e amichevoli. Anche quando c’è stato da disquisire sulla finale del mondiale di calcio, il lunedì dopo la sconfitta ai rigori e l’espulsione di Zidane.

Due italiani soli soletti nella profonda provincia francese la sera della finale Italia-Francia…. Ma a febbraio, quando con lungimirante anticipo Donatella prenotò la (deliziosa) Cabane nell'(ospitalissimo) Chambre d’Hote del (lussureggiantemente maraviglioso) Jardin de Coramille presso la (elegante) cittadina di Dol de Bretagne, mai avremmo immaginato che la prima sera del nostro soggiorno bretone avrebbe coinciso con la finale di mondiale con l’Italia contro la Francia, gli azzurri contro i blu. A parte che, nel nostro profondo disinteresse per il calcio in generale, a febbraio proprio non pensavamo alla finale del mondiale, fosse pur stata Ghana-Angola.
Nell’inattesa assenza di altri turisti italici in quelle amene plaghe francesi (gli italiani si trovano sempre ovunque, possibile che in Bretagna non ce ne fosse quasi nessuno? Possibile, si), abbiamo pensato che non fosse del tutto saggio fermarci per cena in qualche brasserie piena di francesoni con le facce dipinte di blu-bianco-rosso che urlavano “allez les blues” vedendoci passare con la nostra Panda di targa italiana; quindi quella domenica sera abbiamo optato per un ristorante quasi elegante con turisti anglo-danesi-chealtro, senza tv, insomma, come se il mondiale di calcio non esistesse. Apprendemmo dell’1-1 alla fine del primo tempo al telefono dai miei genitori, dell’espulsione e della vittoria ai rigori grazie agli sms che l’ottimo amico Uge ci mandava via via da Genova. Più che sufficiente, per me.
Nei giorni successivi le chiacchiere con gli indigeni han dimostrato che anche a molti francesi la vittoria italiana è andata bene. Amara ma giusta, almeno sentendo le voci bretoni. E la testata di Zidane ha contribuito certamente. A prescindere dalle minchiate che gli ha detto Matarazzi.

Ok, basta calcio che è un argomento idiota, parliamo della Francia:

Francia…

… le cattedrali gotiche, come quella di Sens (apud Lutetia Parisiorum), che turisticamente non se la fila nessuno e invece è con quella di Saint Denis la prima cattedrale gotica di Francia, modello di tutte le altre, mica poco! Ma forse bisogna essere architetti o frequentare architette per imparare queste cose…

Francia sono le Chambre d’Hotes, in itangliano bed and breakfast, magari gestiti da omoni baffuti con mogli cicciotte che ti baciano sulle guance 4 volte per salutarti quando parti e ti offrono a colazione una scelta di 6 marmellate tutte fatte in casa; casa che può essere un vecchio mulino con ruota, accanto a grandi alberi che appoggiano i rami sulle acque del ruscello che scorre proprio accanto alla camera degli ospiti riccamente arredata. In cui dormi con la coperta!!!!!!! cosa forse normale per un luglio altofrancese ma incredibilmente piacevole per chi arriva dall’afa estiva delle notti mediterranee…

Francia sono i castelli, naturalmente, vasti e torreggianti in mezzo a parchi alberati o a giardini geometrici popolati da dame in crinoline (penso girassero uno spot pubblicitario) come il molto seicentesco Vaux-le-Vicomte di Nicolas Fouquet, ministro delle Finanze del Re Sole (prima di cadere in grave disgrazia), che egli Roi Soleil Luis XIV – invidioso – prese a modello per il suo Versailles, o l’elegante Montmarin sulla baia-estuario della Rance presso Saint Malo, un paesaggio assolato di lecci e barche a vela che sembra Costa Azzurra più che Canale della Manica; o infine il massiccio e un po’ arcigno castello di Combourg dove visse l’eclettico artista-politico-scrittore René de Chateaubriant; più altri minori sparsi qua e là, che se non son castelli sono comunque bei grossi palazzi nobiliari, magari affacciati su laghetti ombrosi dove nuotano lenti i cigni. Roba da poveracci, insomma…

Francia è la casa di Monet a Giverny, dove l’Ile-de-France diventa Normandia, col giardino che l’abbraccia e dove il sommo pittore dipinse ettari di tele di ninfee, che effettivamente vivono e fioriscono nel grande stagno. Uno dei due soli luoghi (l’altro fu Mont S.Michel) intasati dai turisti di millantanove nazioni del mondo, italiani e giapponesi compresi. Che di solito si era in pochi, per lo più francesi e belgi. Ma nonostante la folla che si pigiava sul ponte giapponese e si fotografava l’un l’altra, ‘sto Monet (maestoso e molto barbuto nelle foto, una specie di ingegner Ireneo Lemut, per chi lo conosce) era uno che la natura la amava davvero: il giardino di Giverny è un affascinante, accogliente, idilliaco ambiente naturale. Onore al merito di chi l’ha creato e di chi lo mantiene in vita.

Francia è anche il postmoderno Ponte di Normandia, che scavalca la foce della Senna collegando Le Havre a Honfleur. Mi veniva da pensare al futuribile ponte sullo stretto di Messina, tanto vituperato e forse a ragione. Però che si riesca a tirar su ponti sull’estuario della Senna e del Tago, financo fra Danimarca e Svezia e su quella fetecchia di corridoio di mare fra Reggio e Messina no…. bah!!

Honfleur, come Saint Malo, Dinard, Saint Briac e quant’altre città di mare, e anche quelle d’entroterra come le deliziose Rennes, Dinan e Fougeres: torri, chiese gotiche, mura in pietra grigia, viuzze un tempo marinare o mercantili e oggi turistiche, case dalle belle facciate policrome in legno a graticcio, porticcioli che hanno secoli di storia di pescatori d’alto oceano alle spalle, basse maree che buttano via il mare sino all’orizzonte lasciando barche in secca inclinate su spiagge appiccicose di alghette e conchigliette; gente che sguazza nella melma in cerca di animaletti commestibili… Questo delle maree bretoni che salgono e scendono due volte al giorno è il mare “che si muove anche di notte non si ferma mai”, altro che quello sempre alto uguale di Genova, caro Paolo Conte!

Si diceva con Donatella che le spiagge bretoni sembrano un po’ la Cornovaglia (credo, non la conosco) e il Maine di Jessica Fletcher: promontori verdi di alberi e boscaglie con palazzotti signorili in granito e legno che scendono verso piccole baie sabbiose dove sale e scende la marea, che tutto copre e tutto crea (Sandokaan, Sandokaan, Kabir Bedi, chi se lo ricorda? E chi faceva la bionda Marianna, Carol Alt?). Tutto molto celtico, certo!

Molto celtica è anche l’erica di Cap Frehel, una bassa ventosa distesa di fiori color viola chiaro sulla scogliera, quando si pensa ai paesaggi dell’Europa atlantica si immaginano cose così, no?
Per tacer dell’abbazia di Beauport sulla costa di Paimpol, la San Galgano di Bretagna, alta, gotica e senza tetto, erba e ortensie nella navata fra gli archi a sesto acuto. Ci passavano i pellegrini irlandesi e inglesi diretti a Compostella, quando aveva ancora il tetto e i monaci.

Francia è l’arazzo di Baieux, di cui avevo tanto sentito parlare e che finalmente ho visto, documento storico celebre quasi come la Tavola Peutingeriana, ‘sto lenzuolo tessuto a colori lungo 85 metri che racconta la conquista dell’Inghilterra da parte dei normanni di Guglielmo il Conquistatore, con i personaggi che parlano quasi a fumetti e oltre che combattere fanno cose normali, mangiano, guardano il passaggio della cometa-che-non-si-chiamava-ancora-di-Halley, eccetera. Baieux è in Normandia, quella dei normanni appunto, e Guillaime le Conquerant fu poi sepolto nella cattedrale della vicina Caen. Che si pronuncia cà(n) con una à molto nasale che suona più come un rutto trattenuto che come un nome degno di città storica. Ma contenti i caenesi….

Mont Saint Michel: terza volta che salgo all’abbazia in cima a questa assurda collina di roccia isolata in un deserto di sabbia salata, ricordo l’avanzare del mare nel tardo pomeriggio della mia prima visita nel lontano 1986, fu un’altissima marea storica quella là che giunse a coprire la piazzetta d’ingresso al borgo; questa volta siamo andati via prima che il mare tornasse su ma il fascino naturale, architettonico e mistico di quell’isola che non è un’isola rimane intatto. I monaci scelgono sempre i posti più belli per costruirsi i loro monasteri… Le viuzze del borgo che sale all’abbazia sono sempre troppo intasate dai turisti ma è inevitabile. Anche italiani, lì, una coppia di Genova, abbiamo incontrato. Bisognerebbe venirci in un mercoledì piovoso di novembre, forse ci sarebbero solo i monaci, chissà, ad animare il grigio nebbioso del cielo che si fa sabbia umida… Nei prati costieri pascolano le pecore che poi vengono mangiate sul Mediterraneo col nome esplicativo di prè salé. Prati salati infatti questi sono, molto salati.

Bretagna: Jardin de Coramille, nella campagna intorno all’elegante cittadina di Dol de Bretagne con le sue case a graticcio policrome. Il non plus ultra dei b&b, questo jardin de Coramille. Senza offesa per Maria e Salvatore e le loro Galline Felici sorrentine, ma Valerie e Jerome sono due concorrenti tostissimi. Il giardino è uno sparpagliarsi di vialetti fioriti e fronzuti in mezzo alla campagna campagnosa, 5000 metri quadrati di fiori erbe e alberi con un’aria quasi inglese, non fosse che mancavano i conigli selvatici nei prati, e soprattutto grandiosa è la Cabane, come le cabane che (non) si costruivano ai campi estivi con gli scout: una casetta in legno isolata dall’antico edificio padronale in pietra, casetta che spicca rossa fra lo stagno delle gallinelle d’acqua timide e nere e un filare altissimo di pioppi fruscianti al vento. La cabane è arredata con una grazia molto femminile un po’ old-fashioned, ha coperte e piumini alla bisogna (un po’ servivano), una verandina ideale per oziare dopo cena nel lungo tramonto estivo bretone, ed era bello dormire con almeno una persiana aperta per vedere la lunga luce serale e sentire il gracidar di rane e il raro grido dell’airone che veniva nello stagno a caccia di pesci rossi (poveretti!)
Jerome maritino un po’ timido e assiduo giardiniere, Valerie pimpantissima giovane landlady chiacchierona e molto contenta di aver trovato questi due italiani gioviali e affabili, Donatella che nuotava nel suo brodo di giuggiole in mezzo a tanto ben di Dio floreale e vegetale, e anch’io spero di aver dato il mio contributo (più calmo) ai buoni rapporti liguro-bretoni. Devo dire che anche gli altri ospiti della casa (loro alloggiati nelle più banali – ma immagino arredate con altrettanta cura – camere dell’edificio principale), belgi e alsaziani di mezze origini trentine, erano affabili e sorridenti, e ogni giorno le colazioni si allungavano nelle reciproche conversazioni sotto il fresco sole mattutino.

Vera Bretagna sono le gallettes, grosse, sottili, spesse, scure, saporite piadine-crepes di grano saraceno riempibili di ogni bendidio, più o meno come la pizza chez nous. Nutrono e riempiono come un pasto completo e ben si accompagnano a fresche tazze di sidro, appena frizzante appena dolce come una spumantino moscatino, ma è di mele. In vendita in diverse versioni, dolce e brut, fermier o industriale, è clima da meli non da vite, quello della Bretagna. C’è anche l’idromiele, acquistato ma non ancora assaggiato. Invece i normanni bevevan Calvados, come insegna Queneau.

Bretagna è anche l’alto menhir di Mont-Dole, che ha due leggende alle spalle, una diabolica l’altra non ricordo, ma a me piace pensare che quel sassone piantato lì verticale, perentorio y final sia stato infisso nel terreno da Obelix, magari mentre pensava alla bionda Falbalà.
Per tacer della foresta di Broceliande, quella di Merlino (pensa te che io credevo che Merlino, Artù, la tavola rotonda eccetera fosse roba inglese. Invece è tutto bretone di Bretagna, va là!), dove c’è la tomba di Merlino e la Fontana dell’Eterna Giovinezza. Due mezze fregature, in realtà: la tomba del più famoso druido celtico della storia prima di Panoramix consta di due anonimi sassi infissi nel terreno che quasi non li noti, non fosse per la congerie di foglietti e bigliettini con pensieri e preghiere che li circondano; me ne sono stupito anche se forse non avrei dovuto, ma sta falsa falsissima tomba del Mago Merlino è evidentemente considerata da molta gente come un vero luogo sacro, un luogo di preghiera, un po’ simile al muro del Tempio di Gerusalemme o ai santuari mariani con gli ex-voto per grazia ricevuta. Ingenuo, a prima vista anche ridicolo, ma come possono essere ridicole le manifestazioni della spiritualità umana? E’ giusto che anche la religiosità naturale pagana abbia i suoi santi, i suoi sacerdoti, i suoi luoghi sacri.
La vicina e non segnalata Fontana dell’Eterna Giovinezza è in realtà (almeno a metà luglio, in marzo magari è meglio) una fetida pozza d’acqua stagnante e sporca che mi ha fatto capire perché a parte l’Ebreo Errante nessun essere umano resti eternamente giovane: a bere quella sozzura più che restar giovane per sempre rischi di farti venire un tifo fulminante, e ti saluto giovinezza, che infatti si fugge tuttavia.

Mur.Gwenn tavarn – Morgane taverne. La disegnano bella e giovane, un po’ alla Jessica Rabbit, la fata delle fate, bella e perfida. Grande offerta di birre bretoni nella taverna Morgana: c’è la Lancelot e altre ovviamente con nomi tratti dalla storia e dalle leggende locali, che tutto fa turismo. A 100 metri, la chiesa del sacro Graal, per lo meno secondo le bizzarrie di un prete locale dell’Ottocento, al centro del più piccolo paese bretone dal molto celtico nome di Tréhorenteuc. Poco lontana, ma raggiungibile solo con un percorso a piedi che ci apparve troppo lungo per le nostre stanche membra del fine pomeriggio, la fontana di Barenton par sia molto suggestiva e magica, la sua acqua è in grado di scatenare tempeste furibonde.

Ortensie: la Bretagna rutila pullula di ortensie, che crescono in cespuglioni addossati alle case in pietra marroncina coi loro fiori rosa rossi azzurri blu. Gara a trovarne di sempre più belli, questo lo fotografiamo questo no, è stinfio…

Donatella sperava (previa ricerca con Google) di incontrare e visitare una decina di parchi e giardini di stile inglese ma come in Inghilterra i giardini sono solo in Inghilterra. Qua qualcuno che ci assomiglia c’è, ma sono imitazioni. Pregevole però il Parc Floral de Haute Bretagne presso Fougeres, quello si che sembrava i parchi del Kent e del Sussex visitati l’anno scorso.

Francia sono i locali “alla Maigret”, come dice Dona, bar e osterie di campagna rustiche nell’arredamento, tavoli di legno, bicchieri magari non lindi di lavastoviglie, in cui baffuti osti dalle mani contadine e bariste di mezz’età vestite e truccate come trentenni conversano sorridenti con gli avventori, anche con ‘sti insoliti turisti italiani di passaggio. Nulla da stupirsi se apparisse sull’uscio Gino Cervi vestito da commissario Maigret a ordinare un Formidable o un coq-au-vin.
Appassionanti per me sono sempre stati quei fogli “ufficiali” appesi ai muri di ogni locale francese dove si beve, che riportano le misure per la “protection des mineurs et la repression de l’ivresse publique”. Protezione dei minori e repressione dell’ubriachezza pubblica. Grande! Proprio come nei bar italiani (almeno in quelli di paese) c’è affisso al muro “l’elenco dei giuochi proibiti”.
Da bambino non sapevo che “mineurs” significa minori, minorenni, e pensavo volesse dire “minatori”. Ok che il mestiere del minatore è un culo tanto, ma perché nei bar francesi dovessero essere protetti in special modo i minatori non lo capivo proprio. Protetti da cosa, poi?

Ancora bretone è il paese di Bècherel, la citta del libro, bancarelle e negozietti di libri antichi e usati fra le solite belle case in granito.

Molto Francia sono le mucche libere nei campi, che pascolano ruminano dormono fra l’erba con qualunque tempo e a qualunque ora; vita forse un po’ monotona ma tranquilla, senza stress. A regioni, qua bianche-nere pezzate, là bianche, talvolta brune, chissà se fanno latti e carni di qualità diverse, non me ne intendo.

Francia sono anche i 1300 km che ci siam fatti tutti d’un fiato per tornare da Dol de Bretagne a Sanremo, via Le Mans, Clermont Ferrand, Lyon, Nice. Tanti come per andare a Reggio Calabria. Con la poderosa Panda piena di piante, piantine, brocche, ceramiche artigianali, bottiglie di vino e di sidro, dolcetti e quant’altro che ora non ricordo. Che il bello (e il pericoloso) del viaggiare in macchina anzichè in aereo è che l’auto te la puoi riempire d’ogni tipo di carabattole, libidine e follia al contempo. Viaggiando in due, anche una macchina piccola riesce a contenere ettometri cubi di oggetti con disinvoltura.

Francia è anche (il w/e successivo) la lavanda della Provenza, campi viola affollati di farfalle, api e vespe, il viola che colora il paesaggio un po’ mediterraneo un po’ prealpino della più antica e probabilmente più bella provincia dell’impero romano. I filari di lavanda riempiono la valletta che scende alla fotografatissima abbazia di Senanque, pietra grigia elegantemente romanica dove – pochi – monaci bianchi-neri cantano il gregoriano inginocchiati di fronte all’altare mentre alle loro spalle turisti di molte e diverse targhe europee entrano in chiesa con abbigliamenti estivi, guardano colonne e archi a tutto tondo, fotografano, qualcuno fortunatamente anche prega.

Provenza è la cittadina di Gordes, “village perché” d’entroterra con panorama sull’ondulata campagna sottostante, castello, case e palazzotti in pietra chiara con le persiane dipinte di blu, gran folla di ristorantini e negozi di souvenirs, cartoline, marmellate rustiche e l’ottimo miele di lavanda, per me uno dei migliori mieli possibili.

Ancora Provenza è l’alto corso del Verdon nei dintorni di Digne-les-Bains, nel tratto meno turistico a monte delle pur affascinanti Gorges; qui c’è un bel lago di acqua verde circondato dagli alberi, ci sono spiaggette per fare il bagno, c’è il profumo delle Alpi, quelle montagne occitane a me tanto care (di qua provenzali, di là piemontesi, ma sono le stesse montagne) dove mi piacerebbe trascorrere tutta la “canicule” estiva abbandonando le afe della Riviera sino al ritorno dei primi freschi settembrini.

Ma non si può, epperciò eccoci di nuovo qua, nella sudaticcia estate genovese, in attesa di temporali che invece si fermano sull’Appennino senza scendere al mare, in attesa dell’autunno, quando la Liguria verrà abbandonata dall’afa e dai turisti e tornerà ad essere “mia”. E chissenefrega se a chi aspetta agosto per le sue meritate ferie e vacanze, questo mio anelare all’equinozio di settembre suona bestemmia.
Comunque, buone vacanze a tutti, sinceramente!!

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