“Budapest, la Parigi dell’est”, dice la Guide Routard. Personalmente trovo un po’ sciocche queste definizioni che vogliono confrontare città diverse: “Bruges, la Venezia del nord”, “Sant’Agata de’Goti, la Sannazzaro de’Burgondi del sud”. Però Budapest ha davvero parecchio di parigino. Si potrebbe anche dire altrimenti “Budapest, la Parigi dei poveri”, non fosse che poveri i budapestini non lo sembrano, non più degli abitanti di qualsiasi altra capitale europea. Giusto le vecchiette che vendono mazzi di fiori e sacchetti di lavanda profumata nelle stazioni della metropolitana, versione autoctona magiara dei ragazzini maghrebini o dei giovani indiani che vendono rose nei nostri ristoranti. E i barboni che vi dormono accanto.
Sta di fatto che i grandi viali rettilinei, i tantissimi bei palazzi liberty, neoclassici, eclettici, neogotici, e anche quelli meno belli ultramoderni in vetro-cemento, le chiese imponentemente tardottocentesche, il Danubio che scorre placido e grigio, insomma Pest, larga, piatta, elegantemente grigia, con un grande fiume e i suoi larghi ponti, Parigi la ricorda parecchio davvero.
Buda, sulla collina, col castello e le vie affiancate da bassi edifici colorati e barocchi, sembra invece un po’ la sorella minore di Praga. Ma solo la sorella minore; perché Praga è Praga e non come lei non ce ne sono altre. Così come di Roma c’è solo Roma, e di San Francisco c’è solo Frisco.

Comunque quattro giorni a Budapest si passano bene, anche se in primavera sarebbe stato senz’altro meglio, che si sarebbe potuto oziare nei caffè all’aperto, godersi il fiume col cielo sereno, passeggiare nei parchi pieni di verde e non sotto il solito cielo plumbeo invernale dell’Europa centrale, saltabeccando fra i -4 e i + 3 gradi. Che già non era poi freddissimo, a ben vedere.

Budapest: che si può dire di lei? Vediamo…

La Vàci Utca (leggasi Vazi Utza) vulgo la Via di Vàc, è la main street pedonale di Pest, affollata e rumorosa nella sera di San Silvestro come le Ramblas di Barcellona, gente che sale e scende, petardi, pernacchiette, il solito casino di tutti i capodanni di tutte le città del mondo, insomma…

As Etterem Matyas Panzio, cioè il Ristorante Mattia Panzio era quello del nostro albergo, un ristorante storico con sale affrescate che sembrano un castello, la storia del re Mattia dipinta e scritta sui muri. Cenone di Capodanno uso turisti ma in fondo siamo turisti, no? Orchestra tzigana che suona musiche ungariche e danzatori/trici in costume sicuramente tipico e molto colorato rosso e bianco. Turistico ma piacevole, dai!
Peccato aver frainteso, temevamo che i vini fossero extra e abbiamo tirato al risparmio sulla carisssssima lista dei buoni vini, prendendo un Tocai secco che con la cena di carni e salmoni c’entrava men che nulla, poi invece era tutto compreso, ci si sarebbe potuti lanciare sui più cari rossi, sarà per la prossima volta…

Peraltro i vini rossi ungheresi sono proprio buoni, assaggiati al bicchiere nei pranzi successivi.

La fisiognomica da ristorante, divertente all’estero, guardi i vicini di tavolo e giochi a immaginare da dove provengono. Di solito ci dai (a Genova = ci azzecchi, indovini), saremo anche tutti figli di un’unica Eva mitocondriale africana ma quanto siamo diversi per lineamenti del volto, modi di muoversi e abbigliamento!
Spiccavano qua e là alcuni voluminosi personaggi con la faccia da mafiosi russi e qualche non-sempre-graziosa “accompagnatrice” dei medesimi o di altri turisti occidentali più anonimi. C’erano anche parecchie brave persone, comunque. La grande maggioranza.

Le radio che trasmettono musica nei ristoranti per lo più mandavano in onda canzoni e brani degli anni ’70 e ’80. Cose tipo Flashdance, Barry White, Grease, cose così. Sarà che allora i sovietici gliele impedivano e ora si sfogano? A me è piaciuta ‘sta cosa, si torna giovani… Più l’onnipresente e ormai un po’ rompente Dido con la sua White Flag. Vodafone impazza anche in Magyarorszàg, nella musica e nelle pubblicità per strada.

Molte carte geografiche dell’Ungheria, nei musei, nei negozi, in giro. Ma non di quella attuale, carte del regno di Ungheria che fu, quello dell’imperial-regio governo degli Asburgo, l’Ungheria dell’800, che comprendeva la Transilvania e mezza Croazia fino a Fiume. Nostalgie della patria perduta, credo.

Il piccolo e carinissimo Museo della Posta in Andrassy Ut, con le tre anziane signore che lo custodiscono, divertite a sentirci bofonchiare viszontlátásra (arrivederci), credo siano state le uniche persone incontrate che non parlassero inglese o un po’ di italiano. Vecchi telefoni, divise di postini nei secoli, grammofoni, francobolli, diligenze postali, timbri, carte geografiche storiche…

I Minibus che dall’aeroporto ti portano e ti vengono a prendere a qualsiasi indirizzo della città, un servizio mica male! Sarebbe da introdurre in Italia.

La Budapest Kàrtya, documento che per ragionevole spesa ti dà per tre giorni tutti i mezzi pubblici della città gratis, ingresso gratis ai principali musei, sconti in alcuni negozi e ristoranti. Ho sentito poco fa al TG3 che la provincia di Imperia ha inventato la Riviera Card, che fa esattamente le stesse cose della B.K. Brava provincia di Imperia!

Iparmuvèszeti Mùzeum, museo delle arti applicate, con le maioliche colorate sulle cupole in stile turcheggiante e l’esposizione dei vetri liberty di Emile Gallè, semplicemente meravigliosi.

Magyar Nemzeti Mùzeum, museo nazionale ungherese, la storia patria narrata ai visitatori. Ci tengono molto alla loro storia, ‘sti ungheresi. Fanno bene, in fondo.

Szèpmùvèszeti Mùzeum, museo di belle arti, un fracco di quadri di tutt’Europa, di nostro fra l’altro c’è un Raffaello, un Leonardo, tre Bernardo Strozzi, eccetera eccetera… ci siamo fatti sfuggire il Novecento mannaggia, Magritte, Modigliani, Picasso, Chagall… poca roba, doveva essere, ma l’avrei vista volentieri. Fuga dalla temporanea su Monet, c’era una coda incommensurabile!

Borosdi Sòr, la birra Borosdi, ungherese e molto buona, un’ottima pilsen. Credo sia totalmente ignota qui da noi in Olaszország ed è un peccato.

La Tea Hàz di Vaci Utca, sembrava un posto carino e raffinato, forse un po’ etnicheggiante alla new age ma grazioso. Però non c’era un tavolino libero che fosse uno.

I due grandi ologrammi in luce bianca di un ragno immenso e di uno squalo (piccolo) nei meandri della Paris Udvar (una galleria Vittorio Emanuele in minore): d’altra parte l’Ungheria è la patria di Denis Gabor, l’inventore/scopritore dell’olografia. Ben undici premi Nobel scientifici vengono dall’Ungheria, mica bruscolini! E va ben che molti di essi sono ebrei, e per eccellere nella speculazione intellettuale e nella scienza il nascere ebreo è un ottimo punto di partenza. Al museo nazionale di cui sopra se ne vantano, giustamente, dei loro scienziati celebri.

Il ristorante Fatal è per coloro che aspirano all’obesità: ti danno porzioni che ci mangi in due e mezzo. Un po’ come dai “Fratelli” di Sanremo.

Kèk Ròsza ètterem, ristorante Rosa Blu, tranquilla trattoria semplice semplice e moderna dietro la sinagoga, accoglienza minimalista e cordiale. Bel posto. Per la verità non l’unico ristorante quieto, semplice e sorridente che abbiamo trovato. Anche quello verdolino davanti alla basilica di Santo Stefano non era malaccio, e aveva anche una graziosissima ragazza a servire i piatti. E l’altro, pure un po’ sul verdino, presso la Kalvin Tèr, ci siamo tornati due sere, comodo all’albergo.
Si mangia, volendo, molto pollame e molto fegato, da queste parti. Poi carni, gulash, pesce anche d’acqua dolce, nudeln (la solita pasta scondita e molliccia che a nord delle Alpi servono come contorno)

Grazie alla Guide Routard, sempre insuperabile nel consigliare posti dove mangiare bere e dormire in giro per il mondo. E alla verde del TCI, per le cose artistiche.

Il policromicissimo negozio di ceramiche della Vaci Utca è una macchia di colore nella precoce sera ungherese. Che essendo più a nord e più a est di noi, alle 4 calava la notte e tanti saluti a tutti.

Buda, c’è il panorama su Pest, sul parlamento simil Westminster, sul Danubio, c’è la chiesa di San Mattia tutta colorata, ci sono le messe cantate con l’organo, il museo con la corona dei re d’Ungheria antica e dorata, c’è il bastione di Pescatori che fa il verso al castello di Neuschwanstein, una pacchianata di fine Ottocento ma in fondo gradevole a vedersi, c’è il castello ex residenza sovrana ora museo, ci sono le strade eleganti e demodé.
Tutto ricostruito nel dopoguerra, che qui i cannoni russi, fra 44 e 45, avevano distrutto quasi tutto.

L’hotel Hilton a Buda, a fianco alla chiesa di San Mattia, perversione di architetti che hanno edificato il molto moderno intorno a un chiostro domenicano medioevale. Un obbrobrio? Forse che si, forse che no. Peraltro a Genova il Museo di Sant’Agostino e il palazzo di Giustizia sono uguali, due edifici moderni cresciuti intorno a due chiostri vetusti. Non stanno poi male, o almeno ci si abitua.

Le terme: quelle sontuosamente liberty dell’hotel Gellert e quelle del Szécheny Gyògy-es Strandfürdö, con la piscina all’aperto con l’acqua a 38 gradi. Gente in costume da bagno che entra ed esce dall’acqua che fuma mentre l’aria è a -1. Bizzarro assai! C’è anche un laghetto, nel parco intorno, che fumiga vapori, e ci sguazzano tiepide le anatre.

Tanti presepi nelle chiese, semplici e un po’ italian-style, ma circondati da folti abeti pieni di lucine bianche che profumano l’aria di bosco

Deàk Ferenc tèr (piazza Francesco Deak), incrocio delle tre linee di metropolitana, volente o nolente ci finisci sempre col passare.

La linea 1, gialla, col le sue stazioni piastrellate stile Ottocento, del 1896, la prima linea di metro dell’Europa continentale, precedente quindi a Parigi. Superficialissima, tanto quanto profonda è la linea 3, che sottopassa il fiume e ha lunghe, veloci e ventosissime scale mobili che vanno giù, e giù, e giù…

Margit-sziget, l’isola Margherita: l’isola Tiberina, l’Ile de la Citè, solo che è più grande e tutta verde, un grande parco pubblico. Stagione impropria l’inverno per godersela, l’abbiamo percorsa in bus senza scendere..
C’erano i resti romani di Óbuda poco a nord, anfiteatro e altra roba, ma l’abbiamo lasciati per il prossimo giro ungherese, in primavera magari.

L’Andrassy Ut, 3 km di viale fra palazzi da sciùri del primo ‘900 e villette adibite ad ambasciate, percorso tutto a piedi sotto la nevicata (sostenuta ma non tremenda) di domenica mattina 4 gennaio.

La basilica di Santo Stefano, primo re cristiano d’Ungheria, nel 986 circa. La chiesa è della solita fine ‘800-primo ‘900. Ha un cupolone che troneggia su Pest, la San Pietro del Danubio, per dire… Crollò due volte durante la costruzione, questa cupola, sbagliavano la pietra che usavano come materiale da costruzione, troppo friabile… ci son voluti tre architetti e 50 anni per capirlo e per completarla.

Vàsàrcsarnok, il mercato coperto simil bazar di Istanbul, solo che è un po’ alimentare e un po’ esageratamente souvenirturistico; quello di Istanbul me lo ricordo molto più interessante. Però qui ci sono dei banchi rutilanti di salumi rossi e piccanti che gridano bestemmia al cospetto di Allah.

Il castello fintoantico di Vajdahùnvad, una specie di compendio di architettura storica magiara nel bel mezzo del parco delle terme che fumano. Tutto fintissimo (il solito tardo ‘800) ma bello, sembra vero! Veri i merli che saltabeccano fra gli agrifogli, i cani che alzano la zampa sui cespugli, le comitive di turisti intabarrati sotto la neve, i pattinatori sul laghetto gelato, i venditori di souvenirs e cartoline.

Nyugati Pàlyaudvar, stazione ferroviaria dell’Ovest, progettata dallo studio Eiffel di Parigi ai suoi tempi. Bella e parigina davvero. C’è dentro anche un Mc Donald, culturalmente è una bestemmia, ma è un bel Mc Donald. Sbirciato dentro per fare foto, mica ci abbiamo mangiato!

La sinagoga di Dohàny Utca, in stile neo-moresco a righe rosse e gialle come la Catalogna, dice che è la seconda più grande sinagoga del mondo. Qual è la prima?

I tram gialli e legnosi come un vecchio tram dev’essere. Piacevoli da saltarci su e giù fingendo che fossero gratis, tanto c’era la Budapest Carta.

I quartieri socialisti della prima periferia, li abbiamo appena sbirciati. Sembrano uguali a tutti i quartieri socialisti d’Europa, da Bratislava a Berlino a Mosca a Varsavia…

Invece verso l’aeroporto, e anche a nordovest di Buda, li si vede dall’aereo, ci sono zone di villette e giardini radi stile inglese assai più gradevoli. Forse un po’ più sciatti che a Londra, ma è anche inverno…

L’orgoglio con cui ti si informa che Budapest è una città molto grande, è vasta 500 kmq e ha circa 2 milioni di abitanti, conta 23 distretti di cui Buda è uno e Pest al massimo altri 2, eccetera… Al giovane, simpatico, loquace e obeso tassista che ci portava all’aeroporto a fine vacanza non ho detto (sarei stato spocchioso) che in fondo è solo il doppio della superficie del comune di Genova, e che il comune di Roma è 1300 kmq, quindi grande più del doppio della sua Budapest.

Jó napot kivanok, jó estét kivanok, köszönöm, viszontlátásra, e pochissime altre parole dell’ugro-finnica lingua magiara che abbiamo usato fluentemente. O quasi. Peraltro tutti disinvolti con l’inglese e molti con l’italiano.

“Un filo di fumo ” romanzo di Andrea Camilleri edito nel 1980, che mi son letto con divertito sollazzo viaggio facendo. Per me, il più bello fra i (non troppi) romanzi di Camilleri che ho letto finora. Vigàta, come sempre, ma nel 1891, niente Salvo Montabano. Storie di commercianti di zolfo. Una satira che castigat ridendo mores con ferocia, i mores su cui satireggia sono quelli della borghesia di paese siciliano ma ci si può trovare molto di genericamente siciliano e molto di genericamente piccoloborghese. Stupendo, nel suo genere.

Lo pneumatico a terra dell’aereo Swiss-non-più-Air che nel viaggio back home ci portava da Zurigo a Nizza. Un’ora di ritardo totale per la sostituzione e altri cazzilli vari, la prima volta che mi capita di imbattermi in un aereo con le gomme a terra. Meglio le ruote dei motori, peraltro…

E molte altre cose ancora, di cui non narrò perché s’è fatto tardi e sarete stufi…

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