Le Cinque Terre bisogna andarci d’inverno. Anacoluto, figura retorica certamente assai efficace se utilizzata da qualche scrittore famoso, Manzoni Gadda Biamonti, certamente assai meno, fors’anche scorretta, se la uso io, ignoto ai più.
Le Cinqueterre, bisogna andarci d’inverno. Affermazione azzardata, oltre che anacoluta, giacché io le conosco solo invernali, ne ignoro l’estate e perfino la tarda primavera. Ma mi piacciono d’inverno, anche se le vigne sono spoglie sequele di pali ritti sulle fasce con viluppi marroncini di rametti insecchiti senza foglie. Ma d’inverno – spesso – c’è un sole che riscalda senza sudare, c’è gente si, ma non troppa nemmeno nelle feste natalizie, lungo i sentieri ci si saluta Buongiorno Gutentag come in montagna, c’è il mare mosso rumoreggiante e azzurro di un grigio che sembra l’Atlantico del Finisterre su cui il sole basso lancia accechii improvvisi fra le nubi umidicce. Qualche volta, con la tramontana, l’aria si terge tutta, e al di là del mare azzurrissimo appare l’altra metà della Liguria, tutta la Riviera di Ponente, con le sue Alpi Marittime (anzi, oggi i geografi hanno suddiviso la catena alpina in un fotio di sottoAlpi, le Marittime dei beitempiandati – colle di Cadibona/colle della Maddalena – son state divise in Alpi Liguri e Alpi Marittime “stricto sensu”, è nato un bordello di nuove denominazioni. Federalismo geografico. O forse solo Ufficio Complicazioni Affari Semplici. Ma tanto le montagne restan quelle). Comunque quando è molto sereno al di là del mare c’è la provincia di Imperia, i monti di Cuneo, un po’ di Provenza. E viceversa.
Sabato 4 u.s. c’era foschia, vento di mare umido e nuvolaglia, sole a vaevieni, niente grandi panorami, piuttosto davvero un paesaggio da Atlantico celtico, o da Pacifico nordcaliforniano, la successione dei contrafforti che scendono in mare ingrigiti dalla schiuma salata nel controluce del sole, le onde, gli spruzzi, l’imperio dei comandi, il celere obbedir. No, questi non c’entrano.
E lungo il sentiero, il lungo e fangosetto sentiero costiero n°2 Monterosso-Vernazza-Corniglia-Manarola-Riomaggiore, le solite 4 ore e mezza circa di saliscendi fra ulivi, vigneti, euforbie in foglia, lecci, viluppi di salsapariglia (si, quella dei Puffi), prati spessi e morbidi di oxalis dai fiori gialli distesi sotto gli olivi, gatti semirandagi gioviali e affamatissimi, e i paesi sempre bellissimi, Vernazza in primis, ruvidi e colorati.
Affinché si adempissero le Scritture e Uge (ma non solo lui) tornasse a casa contento, la tradizione è stata rispettata: scesi dal treno a Monterosso si è preso caffè e cappuccino al solito bar della Marina con le foto b/n dell’alluvione antica, si è acquistata la focaccia nella panetteria in quel caruggio interno, poi si è pranzato al sacco sul solito belvedere di Corniglia – un po’ più di lato del solito causa vento – si è scavalcato il cancello che ufficialmente tenta di impedire (ah,ah!) l’accesso al tratto di sentiero fra la stazione di Corniglia e Manarola – vietato per frane ma in realtà perfettamente percorribile e sicuro – infine si è giunti a Riomaggiore sedendosi quel giusto prima del treno al solito bar col verandino in legno su a metà paese.
Unica novità eclatante a me nuova i cartelli Parco Nazionale delle Cinqueterre e i 3 euro di biglietto da pagare a Manarola per percorrere l’ultimo tratto, la Via dell’Amore che porta a Riomaggiore, di gran lunga la tratta più insulsa – oltre che la più breve – dell’intero percorso. Insulsa perché troppo civilizzata, cementata, lastricata, graffitata, affrescata, una cagata. Piena di belle (?) dame impellicciate e taccate e signori con la pancetta, tuttunaltromondo dai chilometri di natura solitaria e aspra delle altre 3 tratte di sentiero precedenti. Ma s’haddafà, se no non sarebbero 5 le terre, no?
Però per me il meglio rimane sempre l’inizio, da Monterosso a Vernazza, e Vernazza in toto, con la piazzetta sul mare che sembra quasi Portofino, e la chiesa sul mare più della piazza, con la mezza facciata in pietra scura, anzi verde di Levanto, elegante e austera fra le case tutte colorate.

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