Un mucchio abbastanza ordinato di atomi e molecole, che chiameremo Gianni Dall’Aglio tanto per distinguerlo da altri mucchi simili, passa un paio d’ore di cena piemontese di fine congresso parlando ed ascoltando tre altri cosi fatti così un po’ come lui, solo che sono donne, anche loro impelagate in faccende vagamente universitarie. Si parla di cristallografia, e di simmetria pentagonale (strana faccenda, questa) e di ricerca nello spazio, se e quando mai si farà davvero, e un po’ anche di trenette col pesto. Due sono geologhe senesi che conosco ed incontro da almeno quattro anni una o due volte all’anno e una è di Potenza, l’avevo già incontrata a Perugia l’anno scorso; sui trent’anni tutte. Si conversava, oltre che di geologia e affini, di politica (pochissima per fortuna), di vino (una fa il corso per sommeliers), di spettroscopia, di Parigi e Granada; i vicini di tavolo a destra erano italiani e con essi si conversava in italiano, a sinistra c’erano dei francesi e con questi in francese, ogni tanto facevano capolino i due russi e con loro si usava l’inglese; coi due spagnoli più in là si parlocchiava castigliano. Ad un tratto mi sono venuti in mente gli amici e le amiche che frequento solitamente: ottime persone, chi più chi meno intelligenti e simpatici, ma quasi tutti/e assai poco in grado di reggere un confronto con ‘ste tre “scienziate” (che poi non sono niente di eccezionale nell’insieme, voglio dire che come loro più o meno erano anche gli/le altri/e, se no non sarebbero state lì) in termini di varietà di conoscenze, di interessi culturali, di disinvoltura a conversare con sconosciuti stranieri. Non voglio far nessun paragone stupido, sia chiaro, dico solo che quel senso di vaga insofferenza annoiata che ogni tanto mi prende a Genova durante la vita solita concorda bene col senso di soddisfazione leggera che mi prende quando mi trovo attorno gente così. Non voglio fare lo schifiltoso, ma l’abitudinarietà di certi venerdì sera a chiacchierare a Castelletto o delle pizze della domenica, insomma, ogni tanto bisogna mandarla a fanculo se no ci si rincoglionisce: e quello che mi viene da pensare spesso è che ai miei cari amici del venerdì sera e della domenica non viene mai voglia di cambiare abitudini, invece; un po’ come quando nel lontano ‘87 andai tre settimane a Trieste ad uno dei miei primi congressi-scuole; andai in macchina, ma non per “tornare a Genova al sabato”, come disse una di queste deliziose fanciulle che ora frequento al venerdì e alla domenica e che mi paiono (ancora e sempre) un po’ più provinciali di come vorrei che fossero (e comunque deliziosa lo è davvero) ma più semplicemente per andare in giro per il Friuli e l’Istria con qualcuno dei compagni di corso. Si riesce a resistere tre settimane senza tornare a casa, no? Ma adesso basta che divento antipatico.

(Scritto il 24 aprile 1996)

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