“La razza in estinzione” è una canzone dell’ultimo disco (disco?) di Giorgio Gaber, che si chiama “La mia generazione ha perso”. E’ una canzone disillusa e amara che ben si adatta ad una persona come Gaber che è ormai un po’ in là negli anni e ha alle spalle un passato di artista abbastanza impegnato, e come molti diventando anziani si disilludono e si incarogniscono un po’. Una bella canzone che dice cose che spesso condivido, pur non essendo dell’età di Gaber. Sarà che sono molto maturo…..

Ma non mi piace là dove dice “la cultura per le masse è un’idiozia, la fila coi panini davanti ai musei mi fa malinconia”. Eh no, posso capire che la cultura per le masse sia un po’ più superficiale della cultura per gli intellettuali; massificandosi la cultura, come tutto quanto, si annacqua, ma malinconia no. Mi sembra un atteggiamento snobistico ed elitario assai poco adatto a un personaggio che ha fatto dell’attenzione al sociale il tema portante della sua opera artistica e la ragione del suo successo di pubblico.

Portare la cultura alle masse, e scusatemi la terminologia un po’ veterocomunista, mi pare un’ottima idea per contribuire al miglioramento della qualità della vita delle masse stesse, e non mi pare cosa da poco.
Certo che la cultura può interessare le masse se queste hanno soddisfatto i bisogni primari: “primum vivere deinde philosophari”, si diceva, no? Ma per le masse tutto sommato sazie o quasi satolle dell’Italia contemporanea un po’ di philosophari ci sta pure bene.

Tutto ciò per introdurre la giornata del FAI di domenica 24 marzo. Che mi pare proprio un’idea intelligente, e gradita al pubblico, per portare la cultura alle masse, per dirla alla Gaber. Rendere visitabili luoghi e monumenti d’Italia che solitamente non lo sono, raccontare e descrivere cosa questi luoghi e questi edifici rappresentano, sono stati e hanno significato nello scorrere della storia italiana è un’attività che rende il Fondo Ambiente Italiano meritorio e lodevole, ancor più, secondo me (benché le due cose siano strettamente legate) ancor più del mero acquisire la proprietà di alcuni di questi beni artistici e gestirli. Che tramandarli integri alle generazioni future è una bella cosa, ma a beneficiare di ciò sono soprattutto i beni artistici stessi, mentre offrirli alla conoscenza e al godimento di chi non li conosce è azione educativa e utile socialmente.

Domenica 24 sono andato, neosocio, con Donatella, vecchia socia, a Diano Castello, località scelta dalla sezione FAI della provincia di Imperia per la giornata di quest’anno. Diano Castello è uno dei migliori borghi medievali dell’entroterra ligure, entroterra vicinissimo al mare, come si può evincere dal nome: Castello significa borgo fortificato eretto su un’altura appena all’interno della costa, dove la popolazione della riva e del fondovalle sottostante aveva trovato rifugio nei secoli perigliosi dell’Alto Medioevo, quando il pericolo delle scorrerie dei pirati saraceni era costante e difficile da fronteggiare. Abitare su un colle entro una cinta di mura con una buona visuale sull’orizzonte marino aiutava a sopravvivere, insomma. Come Diano sorsero numerosi altri borghi, lì in zona ricordiamo solo il Castello di Andora, assai meno conservato di Diano, a tutt’oggi, Cervo, Ventimiglia Alta, la Pigna di Sanremo, e va be’, non si finirebbe più.
Diano ebbe poi i suoi momenti di gloria, come capoluogo della Valle di Diano, comunità un po’ autonoma in ambito genovese, e divenne una piccola potenza marinara, al punto che fornì una nave armata ed equipaggiata alla flotta genovese che sconfisse i pisani alla Meloria nel 1284. Sulla facciata del municipio c’è un bell’affresco (un po’ stinto) che ricorda il contributo dianese a quel glorioso episodio di guerra marinara.
Il paese conserva tratti di mura, porte, chiese, palazzi con atri, e alcune “lone”, suggestive cisterne sotterranee per la raccolta dell’acqua piovana, che su quelle colline aride e poco piovose è sempre stata un bene prezioso.

L’attività della giornata è consistita nel descrivere ai visitatori, a gruppi o sciolti, il perché e il percome delle varie emergenze artistiche e storiche della città, e a Dona e me (con altri volontari-ciceroni) è toccata la chiesa romanica di San Giovanni Battista, in cima al paese, anticamente fuori mura, oggi in restauro, con l’annesso oratorio di San Bernardino, e si è parlato di affreschi del Quattrocento, di navate scomparse, di soffitti lignei dipinti, di formelle restaurate, di immagini di santi e di artigiani, di pittori piemontesi che operarono nel Ponente ligure e così via.

Giornata piacevole e interessante, in cui abbiamo incontrato e conversato con gente variamente interessata e variamente esperta di queste cose, di arte e di storia locale, dai quasi sposini di Spezia alla vecchietta autoctona di 83 anni con fazzoletto bianco in testa al maturo esperto d’arte piemontese. Chi era un habitué delle giornate FAI, chi era capitato lì quasi per caso, alcuni si sono iscritti sulle ali dell’entusiasmo, altri erano già soci. Di solito i visitatori si sono dimostrati assai interessati alle notizie storiche e artistiche che venivano date, chi chiedeva, chi commentava, chi citava. Qualche critica, sull’organizzazione o che altro, ma veramente poche.

En passant è stato (almeno per me) utile il passaggio della professoressa Verda Scajola, socia e volontaria FAI ma quest’anno giunta in loco in veste più ufficiale, che ha espresso i suoi dubbi sulla datazione quattrocentesca di un paio dei soggetti delle formelle lignee del tetto di San Giovanni, dubbi che ho colto e citato successivamente raccontando della chiesa a un gruppo di visitatori successivi.
E il tempo bellissimo, ventoso ma assolato e secco e’ stato d’aiuto a rendere la giornata piacevole e l’umore alto.

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