Frèrë Mounèini: sembra un’imprecazione e invece è il nome “dialettale” di Ferrera Cenisio, comune di Moncenisio, borgo di montagna con le case in pietra, le meridiane sui muri, la fontana sulla piazza del municipio e un frassino secolare presso la chiesa. Ferrera è in Piemonte, sta appena sopra Susa, nella valle del torrente Cenischia, affluente di sinistra della Dora Riparia. Qualche censimento fa ebbe il titolo di comune meno abitato d’Italia (33 residenti se non ricordo male; oggi ne conta ufficialmente 46, che non ne fanno una metropoli…).
Il nome dialettale ha sonorità poco italiane, anche se sono comuni in queste montagne del profondo Piemonte: qui si parla il franco-provenzale, ovvero la terza lingua neolatina della regione francese, sorella della lingua d’oc – il provenzale dei trovatori e dei càtari – e della lingua d’oil, il francese vero e proprio. Questa terza lingua neolatina francese ha avuto poca fortuna letteraria e storica ed è rimasta a livello di dialetto, diventando il patois parlato nelle valli del Torinese, in Val d’Aosta, nella Savoia e in qualche cantone svizzero. Che poi, cos’è che decide quali fra le migliaia di idiomi parlati nel mondo sono “lingue” e quali rimangono “dialetti”? Nemmeno i linguisti hanno le idee chiare in merito, e forse la migliore distinzione rimane quella data dal caustico Noam Chomsky, padre della linguistica contemporanea, che diceva che le lingue sono dialetti che hanno una bandiera e un esercito.
Ma è ora di lasciare la tranquillità assolata e fresca di Ferrera Cenisio per salire verso un magnifico grande lago artificiale con le acque di un azzurro che sembra dipinto da Giotto: il lago del Moncenisio dal 1947 è in Francia perché fa parte di quelle piccole parti di territorio piemontese e ligure che dopo la seconda guerra mondiale sono state cedute ai “cugini d’oltralpe” come risarcimento per averli ignobilmente attaccati nel 1940. Francia politicamente ma Italia geograficamente, ché le acque dell’azzurrissimo lago scendono nel Cenischia, quindi nella Dora Riparia, quindi nel Po… Il lago è circondato da prati verdissimi e fioriti, vi si può pescare, campeggiare e picniccare sulle sue sponde, farne il periplo in bici o a piedi (anche in auto, con qualche sobbalzo), e con poca fatica si raggiunge il vicino passo del Moncenisio, 2083 metri di prati ventosi dove pascolano mucche placide e sostano ciclisti ardimentosi che si fermano a far pipi: chissà, forse è un rito apotropaico per chi valica queste Alpi su due ruote. Il Moncenisio è un passo tra i principali delle Alpi occidentali e ha un certo valore storico perché è uno dei valichi da cui può essere passato Annibale coi suoi cartaginesi e i suoi elefanti nel 218 a.C. durante la seconda guerra punica. Fra il 1861 e il 1947 sul passo corse il confine fra Regno d’Italia e Francia e i francesi hanno conservato diligentemente i vecchi cippi di confine datati 1861, solo aggiungendoci una lapide in memoria dei soldati francesi morti sulle montagne durante l’ultima guerra.
Scendendo di nuovo in Italia vale la pena fare una tappa nel “capoluogo” della valle della Dora Riparia: Susa, graziosa piccola città alpina, temporibus illis abitata da popolazioni liguri e celte; nel I secolo a.C. era la capitale del regno di Donno, alleato di Cesare, cui seguì il re Cozio (quello che da il nome alle Alpi Cozie); i romani la chiamavano Segusium: fu annessa all’impero da Nerone nel 63 d.C. e arrivarono le terme, il foro, il teatro, e nel II secolo le mura per difendersi dai barbari, ché la decadenza dell’impero era ormai iniziata. Della Susa romana rimane imponente l’arco di Augusto, eretto nel 9 a.C. da re Cozio in onore del primo imperatore, e la Porta Savoia che si apriva nelle mura tardoimperiali. Lì vicino, fra la porta romana e i portici del centro storico – bassi nel più puro stile piemontese, c’è la maestosa cattedrale di San Giusto, nata romanica intorno al 1020 ma poi si sa come vanno queste cose, le chiese si fanno e si disfano e insomma… però è una gran bella chiesa!
Vorrei ricordare ancora due luoghi degni di visita; uno è sopra Bardonecchia ed è una delle più alte strade carrabili d’Europa: si sale su asfalto dai 1300 metri di Bardonecchia ai 1620 della pietrosa borgata di Rochemolles, indi la strada prosegue sterrata (larga e facile) sino ai 2156 metri del rifugio Scarfiotti con le sue alte e spumeggianti cascate. Da qui i tornanti si fanno vieppiù sconnessi (però una Panda 4×4 li percorre agevolmente) e salgono, salgono…. Fra prati radi e pietraie sempre più aride, fra grida di marmotte e voli di corvi, la strada sale ai 2993 metri del colle Sommellier, dove c’è un laghetto e c’erano i ruderi del rifugio Ambin, sul crinale di confine verso la Francia. In realtà al di sopra dei 2700 metri la strada è stretta e molto pietrosa e bastano pochi piccoli nevai che il sole estivo non abbia sciolto a dovere per bloccare la salita anche dei più rombanti SUV. Ma il paesaggio è bellissimo e aspro, e terminare la salita a piedi è molto più naturale, no?
L’altro luogo mirabile è nella bassissima val di Susa, quasi a Torino: il centro storico di Avigliana s’inerpica sulla collina sino all’asimmetrica piazza del Conte Rosso coi bei palazzi medievali e la trecentesca Torre dell’Orologio, primo orologio pubblico del Piemonte; alzando lo sguardo si ammirano i ruderi del castello, del marchese Arduino III. Da lassù si gode un bellissimo panorama sui due laghetti glaciali di Avigliana, sulle colline moreniche circostanti e sulla onirica, maestosa, inquietante Sacra di San Michele.

(Pubblicato, quasi identico, nella rubrica “Vagabondando” del periodico “Viaggia l’Italia, n°42, autunno 2008)

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