La vita quotidiana, la mia come quelli di tutti, è composta in gran parte da ciò che chiamo manutenzione e per il resto da sviluppo. La manutenzione è tutto ciò che serve puramente a sopravvivere, lo sviluppo crea qualcosa di nuovo. Esempi: fondamento della manutenzione è la trilogia “pappa nanna cacca”, come diceva Ermanno buonanima, indispensabile per vivere e sopravvivere fisicamente; ma manutenzione è anche leggere i quotidiani per restare decentemente collegato al mondo in cui si vive, fare quel minimo di attività sportiva per non incartapecorirsi troppo, vedere qualche amico alla sera per non abbruttirsi lo spirito con l’isolamento sociale, mettere insieme qualche legame sentimentale per soddisfare lo spirito ed il corpo, lavorare quel minimo per tirar su qualche soldo senza i quali ok per la nanna, ma la pappa sarebbe un problema, e conseguentemente anche la cacca. E tutta ‘sta roba occupa un sacco di tempo e di pensieri. Che poi si potrebbe discutere se una vita dedicata soltanto alla manutenzione sia da disprezzare, o non vivano poi bene (meglio) coloro che quando hanno la pancia piena, una donna purchessia nel letto e uno stipendio fisso al 27 del mese si sentono realizzati e soddisfatti. Magari passando la domenica pomeriggio passeggiando in Corso Italia con la radiolina per le partite. Ma non ne discuteremo.
Poi c’è lo sviluppo. A rischio di retorica, ciò significa: lascia il mondo un po’ migliore di come l’hai trovato. Educa il mondo. E qui ci si può sbizzarrire, perché se decidi di far qualcosa per migliorare il mondo, tanto vale che siano cose piacevoli, divertenti ed arricchenti pure per te. Anzi, finisce che prima cerchi ciò che da soddisfazione a te, poi sei più contento se ti accorgi che ste cose servono anche a migliorare sto mondo in cui ci capita di vivere. Presempio, io: beh, dividiamo in due parti, il lavoro e il tempo libero.
Apro una parente, come direbbe Totò: ben si sa che l’ozio, lungi dall’essere il padre dei vizi, è invece una delle massime conquiste dell’intelligenza umana; e ben lo sapevano i Romani, che infatti davano al vocabolo otium un significato positivo: un modo di coltivare il benessere dello spirito, riflettendo sul senso delle cose e della vita, osservando il mondo che ci circonda ed il suo divenire, meditando sulle passioni, insomma con l’ozio si diventa saggi. Tu m’insegni che all’ozio essi contrapponevano il negotium, esattamente il non-ozio, che solo la moderna etica capitalista-protestante ha trasformato in un termine positivo di attività pratica produttrice di benessere materiale mentre in origine stava ad indicare ciò che le incombenze spicciole della vita ci impongono di fare a discapito della cura dell’anima. Fine della parente, come direbbe Antonietta.
Continuiamo: per quanto riguarda il lavoro-negotium, beh, cerco ben di restare aggrappato all’università e alla ricerca giusto perché così spero, o almeno mi illudo, di fare qualcosa che più o meno possa essere di qualche utilità “all’umanità”. Detto così é retorico da fare schifo, ma credo che tu capisca benissimo cosa intendo. Insomma, innanzitutto occorre essere molto presuntuosi ed avere un alto concetto di sé stessi. Cosa che io, ahimè (ahimè?) ho. Perché se presumi di te stesso puoi pensare che saresti sprecato in un lavoro qualsiasi, tipo l’impiegato in banca, metti, lì che ci sia Tizio o che si sia Caio il lavoro è circa lo stesso e chiunque lo può svolgere. La “Scienza” ah no, lì ci vuole il Genio, la Fiamma dell’Intelligenza, insomma non si può mica prendere un passante qualsiasi e dirgli “tu, va a fare ologrammi di cristalli di clorato di sodio, oppure studia i linfociti così e cosà” e quello va e fa. Eh, che diamine. Esagero di nuovo, ma il concetto mi sembra chiaro: certi lavori richiedono un contributo personale ed originale dell’intelligenza del lavoratore (qualunque cosa questa intelligenza sia) maggiore di altri in cui è necessaria e sufficiente una professionalità più di massa, standard. Poi, se io sono davvero la persona adatta al posto giusto non lo posso veramente sapere, posso solo presumerlo, ma il gusto che provo nel lavorare qui deriva proprio dall’idea che “ci metto del mio”. E quindi non si tratta solo di lavorare per portare a casa dei soldi (pochi) per sopravvivere ma anche di fare agire creare operare puffare qualcosa che forse chissà può contribuire al miglioramento del mondo. Piccolo piccolo, poco poco, ma meglio che niente. Che poi questo lavoro mi dia un sacco di libertà e di opportunità interessanti (viaggi, conoscenza di gente varia e diversa, assenza di vincoli rigidi anche nella quotidianità) è anche una cosa molto bella e molto comoda, ma in fondo meno importante.
Lavoro-negotium come forma di sviluppo, dunque. Tiremm’innanz.
Poi per me c’è un’attività che sta a metà tra lavoro e sollazzo, tra negotium e otium, e che davvero vorrei che fosse oltre che piacevole per me anche educativa per altri. In generale credo che quando è svolta da gente tosta lo sia, se poi anch’io possa riuscire a renderla utile per la mia parte è un altro paio di maniche, vedremo. Trattasi delle fotografie. Io sono molto convinto che il rapporto tra Homo Sapiens e pianeta Terra debba essere alquanto migliorato; è un tema di moda, tra l’altro. Credo che il sistema che richiede più tempo e fatica, forse, ma in grado di dare risultati più duraturi e solidi sia quello di convincere intimamente la gente della bellezza del mondo, del valore non solo estetico e spirituale ma anche, come dire, fisico, della bellezza della natura, e anche economico perché no, insomma che in un mondo bello, ricco e vario ci vive meglio chiunque, per quante grandi sfighe uno debba sopportare. In ultima analisi bisogna convincere, per esempio, gli ultras di Quarto Oggiaro, i cacciatori della Val Brembana, gli skinheads disoccupati di Tor Bella Monaca, gl’impresari edili abusivi di Gela, i professionisti lombardi con villa in Costa Smeralda, che permettere alle tartarughe di nidificare a Lampedusa o ai lupi di vivere tranquilli in Val Borbera o contrastare gli incendi in Sardegna o sorvegliare il passo dei rapaci migratori sullo stretto di Messina contro i bracconieri o abolire le spadare nel Mediterraneo, tutta sta roba rende migliore la vita anche a loro, pure se non vedranno mai in vita loro una tartaruga o un lupo o un falco pecchiaiolo. Perché oltre ad essere peccato causare sofferenza inutile ad altri esseri viventi, bravo Budda e bravo Zoroastro che lo dicevano già ben prima e meglio di Gesù, i benefici del vivere in un mondo ricco e sano si fanno sentire anche giù giù nei meandri più cupi delle schifezze degli uomini, pur se a prima vista non ci se ne accorge. I think. Ma per convincere la gente che le cose stanno così occorre conoscere. Insegnare ed imparare. Ammirare. Bisogna insegnare ad osservare, a guardarsi attorno, a cogliere la bellezza anche nei particolari, nei luoghi dove sembrerebbe non esserci. Per esempio, la città è la negazione del cielo, il cielo in città quasi non si nota, osservandolo distrattamente, spiaccicato tra profili di edifici e fumi e luci artificiali. Ma volendo porci attenzione é possibile accorgersi dei colori delle nuvole anche in Via Venti, o dei gabbiani che volteggiano sulla fontana di De Ferrari la sera, illuminati dai fari che li rendono quasi fosforescenti, o di Venere e Giove che brillano sopra il porto al tramonto. Ed allora ci si accorge che l’anima del mondo la si può trovare anche dentro una città moderna, che forse è quanto di meno spirituale esista. Dio si presenta ad Elia non nel tuono o nella bufera ma in un venticello leggero e tiepido. Alla gente delle città moderne Dio si presenta anche in un albero di fichi che nasce su un muro dietro un cartellone pubblicitario o, ma solo per pochi eletti, in una faina che attraversa Via Piaggio in tarda sera davanti alla macchina. Basta volerlo trovare, Dio. Lui c’è. Sto divagando.
Stavo dicendo che alcuni, anch’io nel mio piccolo, traggono giovamento dall’osservare e conoscere quella figata immane che é la natura e l’universo, e credo che ciò possa succedere a tutti se opportunamente stimolati, anche ai più insensibili materialoni e a me piacerebbe contribuire alla crescita della gioia che la convivenza con la natura può portare alla gente. E siccome pare che riesca a fare fotografie non proprio schifose mi piacerebbe che le mie foto fossero un mezzo per qualcuno per accrescere il suo amore per la natura ed il mondo. L’altro giorno si diceva di Hermann Hesse: ben, lui ha passato la vita a scrivere libri per raccontare alla gente quanto il mondo e la natura, e l’umanità come parte di essa, meritino di essere amati e rispettati. Cià pure preso il Nobel. Bravo, beato lui. Io più modestamente mi accontenterei di trovare il modo per cui attraverso qualche mia fotografia qualcuno pensasse “ma che bello! E non me n’ero mai accorto”, e dopo aver pensato ciò tornasse a casa più contento e magari amasse di più i suoi figli e i vicini di casa. E anche questo sarebbe “sviluppo”.
Ancora sviluppo: rapporti interpersonali non limitati ai comuni aspetti dell’amicizia ma come voce della coscienza del mondo. Non si capisce niente, mi spiego meglio: amici veri, io ne ho pochi. Conoscenti tanti, credo proprio di non fare molta fatica a conoscere e a rendermi abbastanza simpatico a chi voglio conoscere, ma perché la conoscenza diventi vera amicizia ci vuole tempo, voglia e soprattutto quella corrispondenza biunivoca spontanea ed incontrollata che io trovo raramente. E mi sta bene così, sia chiaro, non ho mai creduto a quelli che dicono di avere mucchi di amici, non credo che sia possibile idem sentire con più di poche persone. O si è così superficiali e sciatti da accettare ed interpretare come amicizia qualunque comunanza di interessi anche di poco conto, ma spero che non sia il mio caso. Poi ci sono diversi modi di sviluppare l’amicizia a seconda di chi è l’amico/a. E a volte l’amica e l’amicizia con lei sono tali per cui si cambia nome e si dice amore. Ma molto raramente, e con fatica, diciamolo pure. Fatica, via, d’altronde non mi è mai capitato di innamorarmi a prima vista e forse non vorrei nemmeno che mi succedesse. Sia come sia, l’amicizia/amore, se ben gestita, è sviluppo, perché attraverso il manifestarsi e il crescere di sì nobili sentimenti il mondo procede. Cioè, di un unico sentimento che si manifesta sotto due aspetti leggermente diversi ma fondamentalmente simili e interlacciati. Love makes the world go round, diceva quello, no? Mi accorgo ora che ciò che ho finora chiamato sviluppo non sono altro che diverse manifestazioni dell’unico sentimento di amore che fa girare, dovrebbe far girare il mondo. Bene, mi piace.
Ci sono diversi modi di sviluppare, di cercare, l’amicizia. Vedi, non so cosa ne possa pensare tu, ti conosco troppo poco, ma scriverti tutta ‘sta roba è uno dei diversi modi, per me. Quando faccio o penso o comunque vivo qualche fatto o pensiero particolarmente “bello”, che in qualche modo sento che mi arricchisce o mi rallegra, insomma i momenti positivi della vita sono bellissimi di per sé, nel momento in cui io li vivo, ma sono ancora più belli se c’è qualcuno che li condivide. Che li vive insieme a me percependoli con la stessa mia gioia. O con lo stesso mio dolore se sono negativi. A volte, per caso o per la natura stessa dei fenomeni, essi vengono vissuti da qualcun altro insieme a me, e va tutto bene. Altre volte sono io solo di fronte all’avvenimento, alla sensazione, al pensiero. E in questi casi mi viene voglia di rendere partecipe qualcun altro di quelle sensazioni che io ho vissuto o sto vivendo, perché anche costui ne goda, se vuole. E così ne godo di più anch’io. In questo caso mi trovo di fronte però ad un problema di scelta e ad uno di comunicazione: devo decidere in quale modo comunicare l’esperienza e a chi. Siccome grazie al Cielo siamo tutti diversi, non esiste (né in pratica tra i miei “amici” in carne ed ossa né in teoria tra alcun gruppo di persone) qualcuno che abbia, come dire, gli stessi canoni estetici e spirituali e cose così per cui tutto ciò che piace a me piace anche a lui nello stesso modo e ciò che non interessa a me non interessa a lui, eccetera. Quindi bisogna accontentarsi di approssimazioni. Anche in fisica succede così, la maggior parte delle funzioni un po’ complicate mica si definisce tutta per benino, si approssima per punti, o per serie troncate, e si sta contenti così. Allo stesso modo non si cerca l’Amico Ideale, né la Donna Ideale, basta che le differenze tra l’Amico o la Donna Reali e quelli Ideali siano minori di un certo valore prefissato. Comunque nel momento in cui, per fare degli esempi, osservo un tramonto di fine estate sulle colline delle Langhe, vedo un film appassionante, mi imbatto nelle frasi autoreferenziali, leggo un bel libro, mangio un buon cibo esotico, ascolto un commento politico arguto, faccio un sogno dal significato incerto, raccolgo corbezzoli sotto la luna e così via, in quel momento cerco anche qualcuno cui condividere e raccontare quell’esperienza positiva. A volte la vivo in compagnia di qualcuno “giusto” e questo è sufficiente, a volte sono da solo o con gente non “idonea” (perdonami la schifosa prosopopea ma c’è, e non serve che finga di essere ciò che non sono); quindi mi viene voglia di comunicarla a chi sia in grado di capirla ed apprezzarla come si deve. Al telefono la sera dopo, per lettera, per cartolina, davanti a una birra, a cena, in palestra….E siccome conosco i miei polli, so che se parlo a Raffaella di cosa ho sognato ieri notte mi starà a sentire attenta fino alle 3 del mattino, ma se le racconto le frasi autoreferenziali mi sorriderà con compatimento e non capirà come io possa esaltarmi per quella roba lì; e Federico mi tiene venti minuti in piedi davanti alla Vespa col casco in testa per parlare dell’editoriale di Montanelli ma se dico che mi è piaciuto il cibo eritreo penserà boh, davvero? e insomma, tot capita tot sententiæ, no?
E adesso? Beh, adesso c’è che mi sto chiedendo cosa hai capito finora. Cosa sono riuscito a spiegarti. E non lo so. Però so che ogni volta che ti lascio un messaggio tu mi ringrazi di quello che ti ho scritto. E io sono contento che tu sia lì, con la Vespa blu e gli occhi azzurro husky, che mi leggi e mi guardi. Sei il sostegno delle mie vaghezze. Insomma, ecco. E sono già a metà di pagina 4. Se sei arrivata sin qui, brava.

(Scritto nel 1995 o giù di lì)

error: Il contenuto è protetto!

Su questo sito utilizziamo strumenti di prima o terza parte che memorizzano piccoli file (cookie) sul tuo dispositivo. I cookie sono normalmente utilizzati per consentire il corretto funzionamento del sito (cookie tecnici), per generare report sull’utilizzo della navigazione (cookie di statistica) e per pubblicizzare adeguatamente i nostri servizi/prodotti (cookie di profilazione). Possiamo utilizzare direttamente i cookie tecnici, ma hai il diritto di scegliere se abilitare o meno i cookie statistici e di profilazione. Abilitando questi cookie, ci aiuti a offrirti un’esperienza migliore.

Alcuni contenuti o funzionalità qui non sono disponibili a causa delle tue preferenze sui cookie!

Ciò accade perché la funzionalità/il contenuto contrassegnato come “%SERVICE_NAME%” utilizza i cookie che hai scelto di mantenere disabilitati. Per visualizzare questo contenuto o utilizzare questa funzionalità, abilita i cookie: clicca qui per aprire le tue preferenze sui cookie.