Mi scusassero le Signorie Loro se anche stavolta mescolo la capra con i cavoli, i fischi coi fiaschi e le lucciole con le lanterne. Ma evidentemente in questo periodo mi piace così…

1)
Lo so da mò (nel senso: da lungi) che mi piace tornare nei luoghi dove ho avuto rare e saltuarie occasioni di passare tanto tempo fa.
L’Eremo delle Carceri e San Damiano ad Assisi, ad esempio, visitati la settimana scorsa in occasione di un viaggetto in Umbria compiuto un po’ per lavoro e un po’ per celebrare l’X-esimo compleanno di Donatella.

Potrei dire Assisi tutta ma quei due luoghi sono diversi dal centro urbano e dalla basilica di San Francesco, troppo rutilanti di turisti e turismo un tanto al chilo. L’Eremo nascosto nella lecceta e la chiesetta di Francesco e Chiara immersa negli olivi rivolti verso il tramonto sono invece poco affollati, quasi silenziosi (quasi) e mistici quel giusto per percepire almeno un poco della spiritualità lasciata in eredità al mondo dal santo più santo della cristianità.
Una sola volta andai all’Eremo prima di venerdì scorso: era il fine dicembre 1977, 34 anni fa; campo invernale con gli scout, ospitati nel geliderrimo convento di Rivotorto (bella chiesa, per altro) nell’invernale piana ai piedi del monte Subasio. Salimmo a piedi i tornanti che conducono all’eremo, e pioveva. Più che la cavità nella roccia dove dormiva Francesco e i colori cupi e folti della lecceta, di quella salita all’Eremo delle Carceri ricordo le calze fradice e zuppe che ci levammo appena entrati al coperto e tentammo di asciugare sopra le fiamme delle candele della chiesa. Poco mistico, come ricordo, ma si trattava pur sempre di nostra sora acqua la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta, e di frate focu per lo quale ennallumini la nocte.
San Damiano invece è almeno triplice: prima il medesimo campo invernale con gli scout, poi nel 92 durante un congresso di mineralogia ad Assisi, infine più recente e più presente nella memoria è la visita compiuta con Donatella agli inizi della nostra vita insieme, nell’agosto 2000 bound for le Marche in vacanza estiva. Sempre la stessa sensazione di pace e di raccoglimento in quel luogo così evidentemente benedetto da Dio. Uno di quei luoghi in cui la presenza di Dio nel mondo appare più evidente e duratura.

Il nostro viaggio di lavoro-piacere in Umbria è trascorso fra l’Orto Medievale di San Pietro ed Eurochocolate a Perugia, il Bosco di San Francesco del FAI ad Assisi e un po’ di turismo a Spello, Orvieto e Città della Pieve: abbiamo dormito all’agriturismo Torre Colombaia, fra i boschi e la campagna a sud di Perugia, prima azienda agricola certificata biologica dell’Umbria, ex-tenuta agricola e di caccia dei monaci benedettini e dopo di essi di una famiglia borghese locale; è un posto veramente piacevole dove pernottare e cenare, conversare e fare acquisti di farine e oli e pasta e vini; un paesaggio di brulli campi arati e boschi con fagiani, bello sotto la luce del sole limpido e sotto quella della luna quasi piena. E pazienza per il vento gelido di tramontana che ha flagellato Perugia e l’Umbria tutta per quattro giorni, con 6 gradi all’alba e al massimo 19 al mezzodì. Sembrava Genova a febbraio. Arrivare domenica pomeriggio a Sanremo e trovare 23 gradi senza vento è stata una gioia.

Al tavolo vicino al nostro la prima sera all’agriturismo c’era una signora francese di Lyon che era partita il 26 agosto da casa sua e stava per arrivare ad Assisi dopo un mese e venticinque giorni di cammino… A PIEDI da Lione ad Assisi! Accompagnata nell’ultimo tratto del percorso da suo figlio. Ma prima – se abbiamo capito bene – tutto da sola attraverso il Moncenisio, Susa, l’Alta Via dei Monti Liguri da Genova alla Lunigiana, poi non so che itinerario abbia percorso. Poche chiacchiere, non quante sarebbero state necessarie per capire le motivazioni del suo cammino, e le sensazioni e i pensieri.
Più intense le conversazioni con la cuoca, una gioviale signora che dalle isole Mauritius è finita in quel posto lontano da tutto a cucinare (bene) e ha un marito nigeriano e due figli circa ventenni nati in Italia che si sentono italiani, scevri per quel che abbiamo capito dalle nostalgie della patria lontana che attanagliano la loro madre.

2)
In questi mesi la mia collaborazione col Gazzettino Sampierdarenese mi porta a conoscere i pastori delle comunità religiose non cattoliche presenti a San Pier d’Arena, che sono più numerose di quante avrei supposto; per ora sto “battendo” le chiese protestanti, poi toccherà ai non cristiani, musulmani, buddisti, e mi dispiace che nel quartiere oggetto della mia indagine non ci siano sinagoghe né templi sikh.

Come succede sin dai lontani tempi in cui ero ricercatore precario mezzo geologo e mezzo fisico all’università, e come continua a succedere nell’attuale attività di “scrittore”, il mio lavoro mi piace parecchio e nella fattispecie il piacere viene dall’argomento che sta al centro delle conversazioni coi pastori che vado a intervistare: Dio. Che da sempre considero uno dei pochi argomenti di riflessione e di conversazione veramente importanti per un essere umano, credente o non credente che sia. Trovo anche sommamente interessante provare a capire come credono in Dio gli altri intorno a me, e mi piace parlare di queste cose con un ministro del culto, che almeno formalmente è un professionista del settore; e poco importa che costui si chiami pastore, prete, imam, rabbino, sciamano o quant’altro.

Trovo affascinante anche l’entusiasmo gioioso che hanno in generale i seguaci delle religioni “minoritarie”, quelle che contano pochi fedeli immersi in un mare di fedeli di una religione maggioritaria. In Italia, ad esempio, i protestanti persi in una massa di cattolici veri o presunti. L’entusiasmo di chi pensa di stare vivendo e realizzando un’avventura importante, magari difficile ma destinata – almeno nelle loro speranze – a crescere e svilupparsi per cambiare e migliorare il mondo. Posso immaginare la stessa gioia entusiasta negli animi dei primi cristiani del I secolo d.C., quelli che si riunivano a Gerusalemme, a Tessalonica e a Roma intorno a Pietro e a Paolo… Posso supporre la gioia (intrisa di paura) che vivono in questi giorni i cristiani copti in Egitto, cui auguro di riuscire a vivere in pace nella loro patria coi loro fratelli musulmani…
Tutt’altra cosa dalla condizione dei cattolici italiani ed europei contemporanei, troppo ammosciati dal disincanto agnostico, decadente e materialista della società in cui stiamo vivendo. Me compreso.
Mi piace ascoltare i pastori delle piccole comunità protestanti di Sampierdarena, felici di condividere la propria vita con Dio; una felicità che credo dovrebbe essere presente in qualunque credente, anche in quelli – come credo di essere io – la cui fede ha una forte componente razionale che affianca e talvolta sopraffà la componente emotiva.

2bis)
Mi piace ascoltarli e parlare con loro anche se non tutti si limitano a esporre il loro punto di vista ma qualcuno lascia trasparire la speranza ch’io mi converta e mi unisca alla loro comunità. Forse glielo dirò, un giorno, al pastore che spera ch’io m’unisca al suo gregge, che per me una religione più o meno vale l’altra, perché tutte le fedi religiose portano a Dio, se il fedele cerca Dio con animo sincero e convinto. E quindi non diventerò un evangelico pentecostale. Perché noi lo chiamiamo Dio, YHWH, Allah, Brahman, En Sof, Apeiron, Geova o Manitù ma Lui rimane sempre se stesso, e peggio per noi che – come dice Roberto Vecchioni – “cantiamo la stessa canzone con altre parole, e ci facciamo male perché non ci capiamo niente”. Non trovo grosse differenze fra il pregare Dio inginocchiandosi davanti alla vetta del monte Calvario incastrata dentro la basilica del Santo Sepolcro e il pregarlo oscillando in piedi contro il Muro del Tempio con una kippah in testa o prostrati a piedi scalzi sui tappeti della moschea di al-Aqsa proprio lì sopra a quel muro.

E l’Evangelo, come lo chiamano ‘sti simpatici signori protestanti, che viene predicato nelle loro sale del culto mi pare proprio lo stesso Vangelo della Bibbia cattolica che ho nella libreria di casa mia.

Oddio, diciamola tutta: da giovane in verità pensavo che se una persona dimostrava di essere intelligente e sensibile sarebbe stata migliore se fosse stata anche cattolica, come me. Fu dapprima l’Amica Silvia P. poi un collega di studi a farmi capire che queste erano emerite fesserie: ero a Trieste nel 1989, a una scuola estiva in fisica dello spazio: lui era un indiano cristiano del Kerala, terra dell’India meridionale dove secondo la tradizione il cristianesimo fu portato dall’apostolo Tommaso (autore vero o presunto di un importante vangelo apocrifo); gli avevo chiesto se era cattolico o protestante e lui mi rispose con tono tra l’ovvio e il seccato “What’s the difference? He’s the same Christ”.

3)
Leggendo Le Scienze di ottobre ho scoperto che recenti studi di linguistica – che si affiancano agli studi di genetica condotti già decenni fa da Luigi Luca Cavalli Sforza (che pur avendo due nomi e due cognomi è una sola persona) – pongono il luogo d’origine delle lingue umane nell’Africa meridionale, nelle terre oggi abitate dai popoli “san”, quelli che un tempo erano detti boscimani. Fra Botswana, Namibia e Sudafrica. Le lingue dei popoli San sono le più ricche di fonemi al mondo (ne hanno più di 100; per confronto, l’italiano ne ha una trentina) e ciò è indice di massima antichità, così come il loro dna presenta la maggior variabilità genetica fra tutti i popoli del mondo – altro indizio di massima antichità. I popoli più “poveri” linguisticamente sono quelli delle isole del Pacifico (l’hawaiano ha meno di 15 fonemi) che sono storicamente le terre raggiunte e abitate dall’uomo per ultime. Ciò porterebbe a localizzare la “torre di Babele” della Bibbia – ovvero il luogo in cui gli uomini iniziarono a parlare lingue diverse – nell’Africa meridionale.
A ben pensarci non è strano che sia lo stesso territorio in cui paleontologi e climatologi collocano la “rinascita” dell’umanità – avvenuta probabilmente grazie a un piccolo gruppo di sopravvissuti – dopo un evento climatico traumatico che rischiò di portare all’estinzione la specie umana; praticamente è il fenomeno che i miti antichi definiscono Diluvio Universale, da cui l’umanità rinacque grazie a Noè (cfr. “Eva mitocondriale”).

Quindi non solo per il diluvio universale ma anche per la torre di Babele parrebbe che la Bibbia non abbia raccontato balle ma si sia limitata a fissare per iscritto antichi miti orali che tramandavano la memoria di ancestrali accadimenti storici realmente avvenuti. L’unica imprecisione biblica è la localizzazione geografica dei fatti, ma è giustificabile considerato che sia la Bibbia sia i testi sumeri da cui probabilmente si è ispirata sono stati scritti da gente che viveva nella Mezzaluna Fertile e certamente non conosceva l’Africa Meridionale.
Ma anche se l’arca di Noè non approdò sul monte Ararat e la torre di Babele non si alzava verso il cielo di Babilonia che importanza ha? Entrambe condividono il medesimo ambito geografico anche secondo gli scienziati, e poco importa che l’ambito sia il Sud Africa e non la Mesopotamia.

4)
Né O si tosto mai né I si scrisse, che i neutrini partiti da Ginevra erano già arrivati al Gran Sasso, percorrendo il Tunnel Gelmini a velocità superiore a quella della luce! Bella questa cosa, bella e inattesa. Ci studieranno in tanti per tanto tempo, su ‘sta cosa inaspettata, chissà cosa ne verrà fuori, magari una nuova visione del mondo e della natura.

Quello che mi pare meno bello è la gioia che ha illuminato gli occhi e gli animi di parecchie persone al pensiero che questo scherzetto neutrinico possa sconfessare la teoria della relatività. La velocità della luce pare non essere la velocità limite nell’universo quindi Einstein non ha capito niente e ha detto un cumulo di fesserie…
E perché? Sarebbe come dire che siccome il movimento del pianeta Mercurio intorno al sole non è quello previsto dalla teoria della gravitazione “classica”, Newton era un povero mentecatto. No, è che la teoria newtoniana vale in certe situazioni e in altre “più estreme” non funziona più ma ciò non significa che sia tutta da buttar via; io che non sono il pianeta Mercurio rimango soggetto alla gravità newtoniana ma se di lavoro facessi il pianeta piccolo che gira molto vicino al Sole mi comporterei diversamente, sarei più relativistico; ma ognuno stia al suo posto e se ne faccia una ragione…
Probabilmente quei neutrini di Speedy Gonzales suggeriscono situazioni ancora più estreme, in cui la Relatività non vale più e vigono regole diverse. Prima o poi qualcuno capirà quali sono le regole che piacciono ai neutrini e (ritengo) si accorgerà che non mandano in vacca tutta la Relatività ma semplicemente la limitano nel suo ambito proprio, così come la Relatività ha limitato nel suo ambito la fisica classica newtoniana senza però ucciderla.

[Che poi non è detto che ‘sti neutrini svizzeri abbiano viaggiato più veloci della luce, magari hanno preso una scorciatoia nello spazio-tempo e sono arrivati prima non perché sono più veloci ma perché hanno percorso un cammino più breve; salvando così l’assioma relativistico dell’insuperabilità della velocità delle luce nel vuoto. Resterebbe da capire quali strane proprietà abbiano ‘ste particelle che riescono a far cose che i fotoni non sanno fare, ma l’idea della “scorciatoia” non è mica solo una mia bislaccata, ho visto che qualche fisico la ipotizza davvero]

Comunque, quello che mi perplime di tutta ‘sta faccenda è l’allegria con cui questa notizia neutrinica è stata accolta dagli “antirelativistici”, che nel mondo sono più di quanti immaginassi. Mi ha stupito questa cosa, e mi sono chiesto perché ci sia parecchia gente a cui non piace la teoria della relatività, che pur ha avuto nei decenni parecchie conferme sperimentali diverse e ripetute; mi sono venute in mente soltanto due ipotesi, e forse sono una peggiore dell’altra:

a) a qualcuno forse la relatività non piace perché sentir dire che “non esistono sistemi di riferimenti assoluti” manda in crisi il loro bisogno di certezze esistenziali. Se “tutto è relativo” persino nelle profondità estreme della natura, vanno in crisi coloro che hanno bisogno di ordine (di Ordine) e di certezze – meglio se imposte dall’esterno – per non cader preda delle proprie insicurezze, forse delle proprie paure. .

b) a qualcuno forse la relatività non piace perché Albert Einstein era ebreo.

Da un punto di vista filosofico, trovo più sensata l’ipotesi a)
Da un punto di vista storico, temo lo sia l’ipotesi b)

5)
So bene che di economia non ci capisco niente e non ho mai capito quasi nulla. Però resto confuso e turbato quando sento parlare di “crescita” (del PIL o di qualunque altra grandezza micro o macroeconomica) come obiettivo a cui qualunque stato, qualunque società deve tendere sempre, dovunque, comunque, costantemente. Bisogna “crescere”… Ora, mi pare che basti una conoscenza superficialissima della geografia per sapere che il pianeta sul quale tutti viviamo – e che finora è l’unico sul quale riusciamo a vivere e dal quale ricaviamo ciò che ci serve per vivere – non è infinito. Ha una superficie e soprattutto un volume facilmente calcolabile. Quindi è in grado di offrirci una quantità di risorse che sarà anche molto grande ma è e resterà finita. Un tot, e nemmeno uno iota di più.
Quello che invece finora non ha ancora fine è la crescita della popolazione mondiale. Ora siamo 7 miliardi, chi finge di essere esperto di queste cose dice che (a meno di sfighe cosmiche, guerre nucleari, impatti con asteroidi, epidemie inimmaginabili…) dovremmo arrivare a 9 o 10 miliardi per poi probabilmente stabilizzarci o magari iniziare a diminuire di numero.
Non so se 7 o 9 o 10 miliardi di persone siano davvero “tante” o “abbastanza” o “pochine” per le risorse disponibili sulla Terra, quello che mi pare però sicuro è che le risorse del pianeta sono quelle che sono e non di più. Possiamo inventarci un bulacco di fanfaluche ma siccome tutti per vivere dobbiamo in primis mangiare, in secundis soddisfare altri bisogni secondari-ma-importanti (avere una casa, vestirsi, istruirsi, muoversi ecc), più saremo e meno cibo e risorse avremo a disposizione pro capite e pro natione.

Quindi, come cacchio facciamo a “crescere” tutti? Il PIl dell’Italia deve crescere se no son cazzi, e deve crescere quello della Grecia se no accipicchia, e deve crescere quello della Francia e degli USA se no Moody’s e i suoi compagni di bisboccia ne declassano il rating, ma intanto sta crescendo anche il PIL della Cina, del Brasile, dell’India e della Corea, e sarebbe bello che crescesse anche quello delle nazioni africane così gli africani vivono meglio a casa loro e stanno là che sarebbero più contenti loro e pure noi…

E dove le pigliamo le risorse per far crescere tutti? Sulla Luna? No, non siamo ancora capaci. E allora? A me pare che l’unico modo per “crescere” sia “far diminuire” qualcun altro, sfruttando io le risorse che potrebbero far crescere te. Più o meno l’economia mondiale è sempre andata avanti così dalla preistoria, credo. E non riesco a capire perché adesso dovrebbe andare diversamente; il fatto che tutti abbiano l’imperativo categorico di diventare più ricchi non ci aiuta a diventare davvero tutti più ricchi. Anzi credo che noi europei siamo destinati a diventare ostentatamente più poveri, non credo che saremo mai più in grado di competere con i popoli emergenti, cinesi indiani eccetera, che ancora voglia di farsi un culo tanto per arricchirsi sperando di diventare prima o poi come noi occidentali, decadenti e agiati.
Insomma, mi pare che per alcuni periodi della loro storia gli europei abbiano avuto – quando dominavano il mondo – la botte piena e la moglie ubriaca ma quei tempi sono finiti e secondo me non torneranno mai più. Ora la botte è mezza vuota e la moglie piuttosto sobria, e ancora grazie che non siamo costretti a bere solo acqua.

Credo che avesse ragione il buon Padre Giacomo Grasso (O.P.) quando diceva, celebrando la messa sui prati del Mulino di Vara in mezzo a un po’ di ex-scout diventati adulti e genitori, che per sopravvivere noi europei dovremo accettare di ridurre il nostro tenore di vita. Era ancora il secolo scorso, quando lo diceva…

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