Se le grandi aziende fossero riconoscenti verso coloro che le rendono ricche, io dovrei essere nominato per acclamazione nel consiglio d’amministrazione di Arcaplanet, con tutto il cibo che acquisto nei suoi negozi per la pentabanda felina sanremese.

Un giorno chiacchieravo con la cassiera, le parlavo di Polvere e dei suoi dieci chili (e qualche etto) di peso. Dietro di me c’era una signora che è intervenuta con tono sbigottito e rimproverativo dicendomi “Se vuole che il suo gatto viva a lungo, viva vent’anni, deve farlo dimagrire, deve metterlo a dieta!”. Le ho risposto d’istinto (e forse con tono irritato) “Io non voglio che viva vent’anni, io voglio che viva felice”. La signora si stette zitta, come diceva De André, e io tornando a casa col mio fardello di scatolame pensavo…

Pensavo che l’universo in cui viviamo dovrebbe avere circa 13 miliardi di anni. Il pianeta Terra che abitiamo potrebbe avere 4 miliardi e mezzo di anni. La vita sulla Terra dovrebbe essere comparsa intorno ai 3 miliardi e mezzo di anni fa. Tra gli esseri viventi attuali, si ritiene che alcune spugne possano vivere sino a 15000 anni, il più vecchio albero vivente pare sia un pino in California di quasi 4000 anni. Due battiti di ciglia, al confronto con la scala temporale astronomica. Ma due battiti enormemente lunghi rispetto al più longevo essere umano e al più longevo felino di qualunque parte del mondo. Per cui, cosa significa veramente per un gatto (e per un essere umano) “vivere a lungo”? “A lungo” che? A breve. Comunque si vive “a breve”. Anche il Piccolo Grande Uomo Jack Crabb/Dustin Hoffman coi suoi 121 anni visse una vita effimera rispetto al pino californiano, alle spugne e alla Terra nel suo insieme.

E allora? Vale la pena mortificarsi e soffrire, o addirittura mortificare e far soffrire qualcuno, per raccattare qualche anno in più di vita infelice? Non dico che concordo con la scelta di Achille, vita breve e gloriosa contro vita lunga e anonima, ma forse una vita più breve e ragionevolmente felice è meglio di una vita pseudolunga ma infelice. Almeno per me e per Polvere.

Certo, se Dio mi darà la salute fisica e mentale fino a 121 anni beh, non mi lamenterò di certo, ma se per ottenere la longevità dovessi privarmi di troppe cose per me importanti (tra il serio e il faceto: il formaggio, il vino buono, i 50.000 km/anno in auto, ma soprattutto la lucidità mentale) allora no, non ci sto. Non credo che il gioco varrebbe la candela. Idem per Polvere e tutti i miei gatti: sono sicuro che tutti e cinque sono arcicontenti delle loro vite, di quello che fanno, dove lo fanno, come lo fanno; sono vite ricche e varie, piene di azioni (o di sonno, dipende dai momenti), di relazioni sociali intra-e interspecifiche, di stimoli, e anche di cibo a volontà; sono in pace con l’universo. E se per mantenere la sua felicità Polvere ha bisogno di pesare dieci chili e mangiare tanti croccantini, che pesi e che mangi quello che vuole. Tanto anche se vivesse venticinque anni, trent’anni, rispetto ai tempi della Terra e dell’Universo sarebbe sempre un soffio, un attimo, come quelle particelle virtuali che appaiono e subito scompaiono nel vuoto quantistico. E allora perché dovrei rattristarlo costringendolo a dieta privandolo di ciò che gli rende la vita degna di essere vissuta?

Dice bene il profeta Daniele, che nella sua visione definisce Dio “Antico di giorni” (Dn 7,9); e chi mai qui sulla Terra può sperare di diventare un “antico di giorni”? Certo non Polvere anche se perdesse un paio di chili, certo non io anche se rinunciassi a un po’ di formaggio. E allora goditi la breve vita, caro Polvere, coi tuoi croccantini e il tuo corpaccione grigio, che quando ti siedi sull’uscio di casa a sorvegliare il giardino sembri uno di quei cinghiali che piacciono tanto a Obelix. 

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