“Sarà come l’arca di Noè, il cane il gatto io e te”. Così cantava l’uggioso Sergio Endrigo – buonanina – molti anni fa.
“Più o meno come fa un piccione, lo so che è brutto il paragone…” E questo è Povia, che avrebbe potuto scegliersi un nome d’arte un po’ meno maffo. Mi fa pensare al Poviu Sergiu, personaggio semileggendario dei tempi dei campi estivi dei lupetti alla Casa Romana di Vara Inferiore; quando si faceva il bagno nelle freschissime pozze del giovane torrente Orba dopo aver sudato a tagliare l’erba delle fasce su cui, pochi giorni dopo, avrebbero giocato e cantato i bambini.
L’arca di Noè a cui sto pensando ora è il giardino di Sanremo, che non è solo un’entità botanica: esso è arca di Noè perché nel verde e fra i fiori cammina, striscia e svolazza una quantità di animali visibilmente soddisfatti dall’offerta ricettiva ed enogastronomica di questo luogo ameno.
Quest’abbondanza e varietà di vita animale è cosa molto bella e fonte di grande soddisfazione spirituale, sia per me che di quel giardino sono utente e residente part-time nonché saltuario bracciante-giardiniere non specializzato, sia per Donatella che di esso è proprietaria, mente, braccio, mamma, sorella.
Perché il giardino è casa (tana sotterranea, rifugio nel disordine della legnaia, nido nel folto dei cespugli o sugli alberi), è ristorante, sia “biologico” (semi, bacche, insetti, lombrichi e quant’altro di vegetale e animale vive spontaneamente ed è commestibile) sia “nouvelle cuisine” (i croccantini dei gatti, apprezzati da una fauna variegata e inimmaginabile, i ciotolini di latte un po’ invecchiato, i piatti di pane secco…); ed è fonte per dissetarsi e lavarsi nelle 5 piccole “fontane”, in realtà 3 ex-ciotole per cani, un ex-mortaio da pesto (bello solido, in marmo pesante) e un vero abbeveratoio per uccelli di fattura inglese, largo e piatto, elegante.
Naturalmente nell’arca ci sono i due gatti, a Voi Lettori già noti: Musetto (bella femmina tricolore, pigra e dormigliona ma abilissima e cinica cacciatrice di topolini quando le viene l’uzzolo) e il soriano Codamozza dagli occhi che ammaliano, lontano parente di Romeo er mejo gatto der Colosseo, nel senso che non dimentica la sua natura di felino maschio e olim randagio, e alterna giornate “borghesi” di ozio e coccole casalinghe in cui si sveglia solo per mangiare e farsi grattare la pancia, con giorni nomadi e proletari in cui dà sfogo alla sua virilità selvaggia chissà dove, chissà con chi. Visto che non può concupire Musetto (della quale è ostentatamente innamorato) essendo ella sterilizzata.
Per loro il giardino è un’indispensabile estensione della casa, comodo per sonnecchiare all’ombra nelle giornate estive più calde o al sole tiepido invernale, o per qualche caccia notturna ai piccoli roditori, ma i veri “animali del giardino” sono altri: sono uccelli, ricci, lumache…. zanzare….
All’inizio furono i merli. Neri maschi dal becco giallissimo e l’occhio tondo e indagatore, femmine in livrea grigia e becco lungo. Chiacchieroni e loquaci. Nidificano nel folto di plumbaghi e gelsomini e in tarda primavera vedi goffi merlotti giovani, cicciotti e impacciati, che imparano a volare, i genitori prontissimi a lanciare acuti gridi di allarme se li vedono in pericolo. Abbiamo un po’ imparato il linguaggio dei merli e quando sentiamo un grido d’allarme usciamo a vedere che pericolo c’è: spesso è semplicemente un gatto che passa, totalmente indifferente ai volatili coi quali condivide il giardino. Ma il genitore merlo non si fida e si mette in allarme se Codamozza si sdraia leoninamente assonnato sotto l’albero sul quale sta il nido.
I merli cacciano lombrichi nel terreno, sono visibilmente felici quando per qualche lavoro di giardinaggio smuoviamo il terreno e appena ci spostiamo piombano a tirar lunghe beccate nella terra in cerca di cibo vivo. Mangiano anche gli onnipresenti datteri delle palme, becchettano il pane secco e sono ghiotti dei croccantini dei gatti che riempiono stabilmente un dispensatore posto a ridosso del portone di casa; i merli salgono i gradini saltellando come pinguini sino al portone, beccano un croccantino e volano via con la preda, totalmente indifferenti all’eventuale gatto sdraiato nella cesta sita a 10 cm dalla mangiatoia. Indifferenza ricambiata, per altro. I gatti si lasciano portar via il cibo dagli uccelli con sovrano disinteresse.
I merli bevono e fanno lunghi e rumorosi bagni nelle ciotole piene d’acqua, che vanno riempite almeno una volta al giorno: sono uccelli igienisti, molto puliti. Spruzzano, sbattono le ali, scrosciano, poi saltano su qualche tavolino o su una sedia, si scuotono ali e piume, e volano via rinfrescati e puliti. A volte c’è coda al bagno e mentre qualcuno si lava, nel vialetto intorno alle ciotole stazionano altri uccelli che aspettano il loro turno.
Ma mica solo i merli: circa le stesse cose (croccantini, bagni, nidi, buoni rapporti coi gatti) le fanno anche storni, cince, pettirossi, gazze… le gazze sono più grosse e più casinare, banchettano a croccantini conversando ad alta voce ma non si lavano nelle “piscine” che per loro sono piccole. Un mesetto fa era buffo vedere le gazzettine bambine che andavano a scuola: c’era un adulto che andava qua e là seguito da 4, 5 cuccioli, e volavano e si posavano e rivolavano, ed era tutto un parlare animatamente fra loro. Ci siamo convinti che fosse una specie di scuola.
Robin è il pettirosso. Spero per lui che siano più d’uno, almeno una coppia, ma di solito se ne vede uno alla volta; è curioso come una portinaia, può stare a due metri da te che traffichi in giardino anche per mezz’ora, attratto – penso – solo dal gusto di vedere cosa succede lì. L’anno scorso un Robin andava a prendere briciole dalle mani di uno degli operai che lavoravano nel piazzale, sfacciato e coraggioso. Un pettirosso da combattimento, dicevano Fabrizio De Andrè prima e Maurizio Maggiani poi.
Poi ci sono i gabbiani. Loro volano alto, e meno male perché i gabbiani reali sono grossi e prepotenti. Belli, ma bulli del quartiere. Hanno una varietà di voci e di suoni incredibile, tutti ahimè sgraziati e spesso lamentosi; se si posano lo fanno sul tetto o in cima alle palme, non hanno nessun rapporto con le basse quote del giardino. Salvo qualche piccolo che ancora incapace di volare passeggia. “Piccolo” è eufemistico, son grossi quasi come tacchini, grigi (bianchi lo diverranno da adulti), seriosi, si muovono a passettini rapidi, con la faccia ingrugnita; talvolta c’è un genitore che lo sorveglia dall’alto, e francamente è bene starci attenti perché un assalto di un gabbiano reale incazzato che difende il figlio non credo che sarebbe una bella esperienza da provare. Non volano i gabbiani cuccioli ma nuotano nella grande piscina dell’Hotel Mediterranée con molta disinvoltura. All’alba, prima che arrivino i bagnanti.
Da pochi anni sono comparsi i pappagalli. Quattro all’inizio, ora non so se di meno o di più, di un bel verde intenso, loquaci e starnazzanti come pappagalli, chissà da dove sono arrivati, ma d’altronde a Genova ce ne sono folte colonie in molti quartieri da molti anni, ci possono stare anche a Sanremo. Non frequentano il giardino in basso ma svolazzano a volte fra i rami alti delle palme e degli eucalipti, passaggi rapidi e brevi soste.
Almeno una volta all’anno appare in giardino un fagiano. Da dove venga e dove vada non lo so però passa. Alcuni li abbiamo fotografati mentre giravano stupiti; poi svolazzano verso la passeggiata, verso gli altri giardini, insomma spariscono e addio.
Poi i piccioni: lo so, i piccioni fanno un po’ schifo, sono bruttini, con quel colore grigio smog, han fama di sporchi, cagano troppo, non hanno né la grazia minuta dei merli e dei pettirossi né la maestosità altera e scostante dei gabbiani reali. Se fossero esseri umani sarebbero impiegati di basso livello di mezza età, pancetta, calvizie e forfora sui radi capelli sopravissuti, andrebbero in vacanza nella pensione Marisa di Loano la settimana di ferragosto e le domeniche d’inverno passeggerebbero sul lungomare con la radiolina all’orecchio….
No. No.
I piccioni sono animali simpatici, ammirevoli, teneri, degni di affetto e rispetto come i loro colleghi uccelli più “belli” e più “nobili”. D’accordo, accetterei senza problemi che un merlo o un pettirosso mi salissero su una mano a becchettare semi e briciole ma mi farebbe un po’ sgiaj (lo diceva la mia nonna piemontese, “fè s-giaj” significa far senso, ribrezzo, schifo. Non so se sia termine piemontese al 100% o derivi dagli antenati occitani) se mi venisse sulla mano un piccione. E infatti non capisco quei barbari di turisti giapponesi o germanici che si fanno fotografare circondati di piccioni svolazzanti in piazza San Marco e a Roma. O magari nella genovese De Ferrari.
Però i piccioni sono uccelli degni d’ogni rispetto. Affettuosi, con uno spiccato senso della famiglia, sono monogami e fan coppia fissa per tutta la vita, con gioia di Ruini e del Papa. A noi sembrano tutti uguali (come i negri, come si usava dire in tempi politicamente scorretti. Cfr. “Angelo negro” di Fausto Leali, canzone credo dei primi anni 70 che se venisse scritta adesso farebbe scandalizzare i benpensanti di destra e di sinistra, ma allora era un timido inizio di uguaglianza razziale nella musica italiana. I tempi cambiano si sa. Prima c’era Bongo bongo bongo, sdare bene solo al Congo..).
No, i piccioni non sono tutti uguali, non sono più sporchi di me dopo una domenica pomeriggio di giardinaggio ed è facile distinguerli se li osservi con attenzione. Soprattutto la faccenda della monogamia me li rende simpatici: ma ci sarà qualche coppia che si separa, divorzia, si fa le corna o davvero finché morte non li separa…?
Dormono appollaiati in affollato condominio sulle palme del lungomare, di giorno vanno in giro per gli affari loro, alcuni hanno imparato a venire a mangiare il pane secco che lasciamo in fondo al giardino, lo condividono con merli, passeri e gazze, forse anche con qualche topino, ne abbiamo visto uno una volta, piccolo e tenero, faceva tenerezza col suo pezzetto di pane fra le zampine; insomma, anche i piccioni sono creature di Dio e sono i benvenuti in giardino, finché non scagazzano troppo.
Contrastanti stati d’animo quando vedo un gabbiano che insegue e afferra al volo un piccione, poi scende a terra per mangiarselo: i gabbiani sono quasi gli unici nemici naturali dei piccioni quindi è utile che se ne cibino e tengano un poco sotto controllo il numero, ma non dimenticherò facilmente la scena di quel gabbiano che afferrò in aria un piccione di una coppia che stava volando insieme sulla piscina del Mediterranee, e pensai subito a come doveva sentirsi l’improvvisa vedova (o vedovo) dopo l’attacco mentre il marito/moglie diventava cibo per il mostro bianco… ma è la natura, mors tua vita mea.
Infine c’è chi non vola: i ricci, le lumache.
Ragione di incontro con entrambi sono i soliti croccantini e il latte dei gatti e in generale le ciotole di cibo dei gatti un po’ andato, che i due schizzinosi felini ormai disdegnano ma appaiono ghiotte leccornie sia per Maigret e la Signora Maigret, sia per le decine di lumache che affollano la breve scalinata fra giardino e portone di casa mentre su Sanremo calano le prime ombre della sera, come diceva Nick Carter.
Le lumache sono le lumache vere, quelle marroncine viscidiccie senza guscio, che compaiono soprattutto nelle sere invernali e si tuffano ghiottissime sia nel recipiente dei croccantini sia nelle ciotoline del latte. Lasciano lunghe strisce luminescenti sul loro cammino e al mattino non si vedono più. Ce ne sono di grosse lunghe 10 cm e di piccine quasi invisibili. I saggi del giardinaggio dicono che le lumache vanno eliminate perché sono dannose per le piante, ma che danno fanno se si nutrono di avanzi della cena e cibo per gatti? Noi non le eliminiamo e stiamo attenti a non calpestarle.
I coniugi Maigret sono, a tutt’oggi, due ricci grassi e robusti che vengono alle 21,30 precise, con incredibile puntualità, a sfrugugliare i soliti croccantini – che masticano con evidente rumore di mascelle – e il latte e quant’altre schifezze carnose si offra loro. Appena appena timidi, accennano a nascondersi fra i vasi e le piante se si tenta di avvicinarli ma non sembrano veramente spaventati, solo prudenti.
Sono gli eredi di una famiglia di almeno quattro ricci che veniva con altrettanta assiduità negli stessi orari alcuni anni fa e che fotografammo con facilità; poi in seguito ad alcuni grossi lavori nel giardino non si erano più visti, ora eccone altri, chissà se sono gli stessi o se è un nucleo familiare nuovo. L’importante è che ci siano. E’ bellissimo affacciarsi nel primo buio e vedere queste ombre scure che trafficano sulla scala intorno alle ciotole. Ci piacerebbe capire dove hanno la tana, sotto quale mucchio di legna, anche per non rischiare di disturbarli troppo durante il letargo invernale, bisognerebbe mettere una telecamera a infrarossi sul portone e seguirli nei loro vagabondaggi notturni. Per ora ci accontentiamo di osservarli a distanza mentre cenano, sperando che aumentino di numero, magari arrivino con qualche riccetto appena nato.
Nell’arca ci sono anche bellissimi gechi grigi, timide lucertole, minuscole e organizzatissime formiche argentine (quelle di Italo Calvino, sono miriadi e onnipresenti in estate ma non fanno danni), e le zanzare tigre che nessuno vorrebbe, ma forse ora è bene che smetta, ho scritto abbastanza…
(Scritto il 2 agosto 2006)