Forse è naturale assimilare l’ignoto al conosciuto, trovare somiglianze e analogie fra ciò che si incontra la prima volta e ciò che ci è familiare. A me succede spesso quando mi trovo in località di mare, mi viene da paragonarle e confrontarle con i luoghi noti della Liguria.

La baia di Jeranto si presta bene a questo gioco: è uno dei pezzi forti turisticamente e naturalisticamente del comune di Massa Lubrense (NA), estremo lembo occidentale della penisola sorrentina, e si affaccia di sguincio verso i faraglioni di Capri, aperta verso il mare a sudovest, quindi tecnicamente è già costiera amalfitana.

E’ di proprietà del FAI, il Fondo Ambiente Italiano, che non senza polemiche l’ha preservata da possibili peggiori destini, custodendo la sua natura molto mediterranea e i ruderi di una “industria” ormai abbandonata e cadente.
La si raggiunge soltanto in barca o a piedi, un po’ come San Fruttuoso e la sua baia nascosta fra la giungla del monte di Portofino. Ma a differenza di San Fruttuoso di Capodimonte, a Jeranto non ci sono case, né abbazie né trattorie né nulla. Solo una piccola spiaggia ciottolosa e macchia mediterranea che scende arida e ripida dalle pendici della penisola.

Il sentiero (o almeno uno dei possibili sentieri) parte da Nerano, frazione agricola di mezza collina con bella vistamare, e per il primo tratto procede in leggera salita. Non ci si stupisca del fatto che per scendere da un borgo di collina al mare si debba camminare in salita: anche la Riviera Ligure è piena di sentieri che alla fine scendono ma sulle prime scarpinano in su, contro ogni apparente logica orografica. Ma, a differenza del diavolo (“forse tu non pensavi ch’io loico fossi”…) il mondo non è sempre logico.
Comunque il percorso è non ripido e alquanto ameno, bene illuminato dal sole e con belle viste sul mare e sulla costiera, in mezzo a una vegetazione verde di alberi ed erbe che a fine maggio profumavano e coloravano di molti fiori. Un paesaggio che fa pensare a quello delle Cinqueterre, almeno nelle loro parti più agresti e selvagge. Come il tratto del sentiero costiero fra Monterosso e Vernazza, o la parte finale di quello tra Corniglia e Manarola.
Dopo meno di un’oretta di cammino da Nerano si giunge in vista di una torre in pietra alta su una scogliera a picco, che sembra aspettare i saraceni, e da lì iniziano gli accenni di discesa verso la baia, vuoi fra erbe selvatiche vuoi fra fasce di olivi ben coltivati.
Come è inevitabile in questi casi, tutta la salita blandamente accumulata nel tratto iniziale del percorso viene restituita violentemente alla fine con una discesa a precipizio, spezzagambe e apparentemente infinita. Aria, sole, erba, vento, luce, sassi, ròtule… il mare appare blu e invitante là in basso, e più scendi più ti sembra lontano, come se a ogni gradone sassoso su cui appoggi i piedi lui si ritraesse indietro, beffardo.

Ma alla fine ce la fai, e poggi le stanche estremità inferiori sulla ghiaietta della battigia, apprestandoti a qualche ora di ozio balneare e magari qualche bagno nel mare finalmente a portata di piede.

Poco importa la plastichetta abbandonata qua e là sulla spiaggia, o i sacchetti galleggianti nel bagnasciuga fra bianchicce schiumette. Problemi di poco conto, le correnti vanno e vengono, il mare è ovunque un po’ più sporco o un po’ più pulito a seconda dei venti e delle giornate.
Anche nonostante questi piccoli inconvenienti moderni, la baia di Ieranto è comunque un grazioso, raccolto, luminoso, angolo di Mediterraneo e non stupirebbe vedere apparire dietro il profilo della scogliera, all’ingresso della baia, una vela e uno scafo antichi da cui sbarcassero Ulisse e i suoi marinai reduci dai vagabondaggi egei. Probabilmente l’Itaca achea assomigliava molto a questa propaggine di penisola sorrentina, con il mare roccioso, la vegetazione incolta, le grida dei gabbiani come unico rumore e gli olivi scuri sulle fasce alte della collina, coltivati con sudore plurimillenario.

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