E’ un bisogno fisico, per me, oltre che psicologico e spirituale, quello di trascorrere almeno qualche giorno in montagna in estate. Perché vivere al mare è stupendo da settembre a maggio, ma d’estate.. beh, il mare d’estate è un po’ roba per turisti…
Un borgo di una ventina di case raccolte intorno al campanile, muri in pietra e balconi in legno, tetti ristrutturati ahimè in lamiera, una fontana che getta acqua fresca, decine di rondini perennemente in andirivieni verso il condominio di nidi aggrappati sotto al cornicione della facciata della chiesa. Intorno al villaggio prati, marmotte, montagne, boschi, piccoli nevai lontani, 4 km di strada tortuosissima che scende fra i larici verso la statale del colle della Maddalena, invisibile giù in basso. Last but not least: qua i telefonini non prendono.
Ferrere di Bersezio, si chiama il minuscolo paesello, a quasi 1900 metri di quota. Comune di Argentera, Valle Stura di Demonte, provincia di Cuneo, Piemonte (Ferrere, Argentera… nomen omen: sono montagne ricche di metalli, le Alpi Marittime. O almeno lo sono state per i Ligures preistorici, per i Romani e per i montanari dei secoli preindustriali)
Il rifugio Becchi Rossi occupa un edificio basso a ridosso della chiesa ed è tenuto da un gestore gioviale dallo spiccato accento piemunteis e dal tono di voce allegro e profondo. Sono qua per la terza volta in sei anni, insieme al solito gruppetto di tranquilli escursionisti genovesi-sanremesi con cui almeno una volta all’anno cerco di scarpinare un po’ lassù per le montagne, fra boschi e valli d’or.
Qua si respira aria fresca dimèntichi delle afe costiere, si dorme in cameroni con letti a castello con la coperta di lanaccia ruvida, si mangia bene – cucina rustica e saporita che trova l’approvazione anche di Donatella, tanto abile cuoca quanto esigente verso le cucine altrui.
E’ sempre bello ritornarci, e pazienza se venerdì pomeriggio una frana da temporale ha bloccato la statale costringendo gli undici liguri in viaggio di avvicinamento a fermarsi due ore al bar di Sambuco in attesa dello sgombero dei massi caduti. Il gestore ci ha aspettato, su al rifugio, per servirci la cena calda.
Sabato, fra le varie gite possibili nei dintorni abbiamo scelto di salire al lago di Oserot, piccolo azzurro laghetto carsico a 2300 metri di quota, sul versante nord della valle, a monte di Bersezio (1600 metri).
Tre ore di salita (brevi soste comprese) lungo un bellissimo sentiero nella più pura montagna cuneese: mucche all’alpeggio, prati da sfalcio coperti di alte erbe e fiori molto policromi, ripide salite fra pini mughi e larici aromatici (amo il profumo dei larici, e camminare sotto quegli alberi eleganti e gentili è per me un rechercher le temps perdu di squisito piacere); poi piccole sorgenti, ampi panorami e infine, verso i 2400 metri del Passo di Rocca Bancia, prati d’alta quota col blu delle genziane, l’azzurro dei nontiscordardime, il bianco delle stelle alpine e il giallo dei… boh, cos’erano quei fiorellini gialli così brillanti? Non ricordo.
Oltre il passo la vista si allarga verso le circostanti vette di dura roccia e incerte pietraie, e lì sotto appare il laghetto, dalle acque per nulla fredde e piene di girini; ottimo sito per la pausa pranzo, con un occhio al cielo a sprazzi nuvoloso e qua e là piovviginoso.
Peccato solo che appena prima di iniziare la pappa, appoggiando troppo bruscamente lo zaino su un masso, sia riuscito a rompere la bottiglia di barbera d’Asti in esso contenuta, inzuppando lo zaino medesimo e privando la comitiva di 0,75 litri di buon vino che dalla Coop di Sanremo mi ero camallato sin lassù. Però i compagni ne avevano altre due, bottiglie di vino, quindi il danno è stato limitato.
Poi la discesa, parte al sole parte sotto una pioggia breve ma fitta, percorrendo un tratto della GTA (Grande Traversata delle Alpi) su un tracciato verdissimo d’erbe umide e quasi ripido come la salita ma un po’ incassato in un vallone e quindi assai poco panoramico.
A 1700 metri si incontrano i ruderi molto ruderosi del borgo di Servagno, un po’ tristi, coperti d’erbacce (ma perché “acce”? Anche loro hanno la loro dignità di creatura di Dio) e alberi un tempo domestici e ora rinselvatichiti.
Lì sarebbe stato bello non smarrire il sentiero di mezzacosta che riporta a Bersezio ma non siamo stati così abili, pagando la disattenzione con un’ora di saltabecchi fra i massi di una vecchia frana coperti di pini disordinati, faticando e imprecando, osservando la statale giù in basso che sembrava irraggiungibile.
Fu raggiunta, ovviamente, ritrovando il giusto sentiero verso la fine. In tempo per imbatterci in una sorgente dissetantissima e deliziosa, non so dire se per reali qualità organolettiche della sua acqua o se per sete e stanchezza personale. Comunque era proprio un’acqua buonissima!