Descrizione
Trentacinque anni fa c’era un prodotto alimentare in scatola che aveva come slogan pubblicitario “né carne né pesce”. Si chiamava… chi ha la giusta età dovrebbe ricordarselo. Era il suo punto di forza, l’essere né-né, perché significava essere “un po’ di entrambi”.
A volte succede anche per le città. Metti Piacenza: è in Emilia, ma a nord del Po che la bagna c’è la Lombardia; i piacentini hanno un accento che suona abbastanza emiliano ma anche un po’ lombardo; è amministrativamente legata a Bologna ma molto più vicina a Milano; fu un punto di raccordo della viabilità padana ai tempi dei romani che la fecero capolinea della Via Emilia e snodo della via Postumia e la stessa importanza ha mantenuto ancor oggi, considerando che l’Ikea ha qui uno dei suoi maggiori centri di smistamento europei; una perenne situazione di ubiquità geografi che è uno dei caratteri forti di questa città al centro della Pianura Padana
UNA CAPITALE… O FORSE NO
Ci fu un momento in cui Piacenza stava anche per diventare una capitale: nel 1534 Alessandro Farnese divenne Papa Paolo III e fece ciò che facevano tutti all’epoca, ovvero favorì i suoi parenti: nel 1545 nominò uno dei suoi due figli, Pier Luigi, Duca di Parma e Piacenza, intendendo così creare uno stato satellite in Italia settentrionale, non si sa mai in futuro potesse tornar utile… Piacenza era la città più importante, per posizione strategica, popolazione e prosperità economica quindi divenne la capitale del nuovo ducato; ma la nobiltà locale fu molto ostile tanto che due anni dopo il duca fu assassinato e Piacenza passò al Ducato di Milano. Tornò ai Farnese nel 1556 grazie a Ottavio, figlio di Pier Luigi, che però non si fidava dei piacentini e decise di stabilirsi a Parma. Sua moglie – Margherita d’Austria, figlia naturale dell’imperatore Carlo V e politica di levatura internazionale – non era altrettanto diffidente perché nel 1558 decise la costruzione di un palazzo di famiglia a Piacenza che ampliasse la cittadella eretta nel XIV secolo dai Visconti di Milano. Lo progettò Jacopo Barozzi detto il Vignola – era nato in terra di ciliegie nel 1507 e aveva lavorato a Roma, a Parigi e a Bologna – ma i lavori andarono avanti molto lentamente (a spese della municipalità piacentina) sino al 1602 sotto il duca Ranuccio I, quando la costruzione fu definitivamente interrotta; meno della metà del progetto del Vignola era stata realizzata. Morto nel 1731 l’ultimo duca, Antonio Farnese, iniziò la decadenza del gigante incompiuto: nel 1736 fu spogliato dell’arredamento da Carlo di Borbone, nuovo duca di Parma e Piacenza ma soprattutto re di Napoli, che usò le opere d’arte del palazzo per abbellire la reggia partenopea; poi fu saccheggiato dai soldati di Napoleone nel 1803, trasformato in caserma dagli austriaci nel 1822, rimase a uso militare per il Regno d’Italia sino alla seconda guerra mondiale, divenne rifugio per gli sfollati, infine passò al Ministero della Pubblica Istruzione nel 1961. Chi entra in città da nord, dalla Lombardia, poco dopo aver passato il ponte sul Po incontra questo palazzone in mattoni, fuori scala rispetto agli edifici del centro storico di questa che – emiliana o lombarda che sia – è inequivocabilmente un’elegante e signorile città padana. Palazzo Farnese si è saggiamente riciclato in “contenitore culturale” e ospita alcuni piccoli musei che forse non sono di così chiara fama da attirare frotte di turisti giapponesi o americani ma peggio per loro, ché nelle sale degli appartamenti ducali e dei numerosi locali di servizio abitano meraviglie della storia e dell’arte italiane, suddivise tra Armeria, Sezione Storica del palazzo, Sculture, Affreschi, Fasti Farnesiani, Vetri e Ceramiche, opere d’arte contemporanea sparse, Museo del Risorgimento, Pinacoteca (col celebre “Tondo di Botticelli”), Museo Archeologico – col misterioso “Fegato Etrusco” – e Museo delle Carrozze, uno dei più prestigiosi d’Italia. …