La montagna è là dove finisce il pane e incominciano i necci

Rivista: La Casana
Editore: Carige
Luogo di pubblicazione: Genova
Data: 2013, anno LV, n°3
(pubblicato sotto pseudonimo)

Categoria: Tag: , ID:708

Descrizione

Era conosciuta con uno pseudonimo, diciamo così, d’arte: Beatrice di Pian degli Ontani. Figlia di uno scalpellino… rimasta orfana di madre quand’era piccola, faceva la pastora e, come spesso accadeva in quei tempi, era analfabeta, eppure aveva la straordinaria dote di sapere “cantare in poesia”, e cioè improvvisare in ottava rima

Un intellettuale del tempo la descrive così, a 56 anni: ‘Ha un par d’occhi grandi e nerissimi, e suol piantarveli in faccia senza mai abbassarli: piuttosto costringe i vostri a inchinarsi ammirati’… Si sposò a vent’anni con un contadino ma la sua vita non cambiò e scrive un altro: ‘era fuor d’ogni agio, sempre in lotta con gli elementi…’. Nel 1836 una piena si portò via la casa e distrusse i campi, solo la famiglia si salvò a fatica… Mi sembra una figura emblematica di tutte le donne di quel periodo, sospese fra la durezza di quella vita e l’eleganza innata dei momenti solenni, la foto importante da tramandare o il poetare a braccio, sapendo che, allora, il più di questa poesia si perdeva per l’aria.

Si chiamano Sestaione, Lima, Orsigna, Reno, Limentra… sono i torrenti dell’Appennino Pistoiese, alcuni diretti a sudovest verso l’alto mar Tirreno, altri a nordest verso l’Emilia e l’Adriatico. Siamo in Toscana e il palazzo dei Capitani di Montagna del delizioso borgo di Cutigliano, in stile rinascimentale fiorentino, ben lo dimostra. Però è una Toscana molto diversa da quella dei turisti giapponesi e americani, senza cipressi né cascine al sommo di colline arate, non è il Chiantishire degli inglesi. L’Appennino è un mondo a sé, fatto di boschi di castagni, faggi e altissimi abeti bianchi, di borghi di alta collina grigi di pietra serena… Il mondo d’un popolo che ha sviluppato nei millenni una cultura “di montagna”. In montagna si nasceva, si cresceva, si viveva (e si emigrava), ci si sposava, si lavorava, si procreava, si invecchiava e si moriva; dalla montagna ci si procurava il cibo e il necessario per vestirsi, per costruire le case e per arredarle, gli attrezzi per il lavoro. E non era una vita facile, come ben ricorda il vate di Pàvana. Chi erano, gli abitanti di queste montagne che salgono alle spalle della bella (e meno nota di quanto meriterebbe) città di Pistoia? Alieni, in un certo senso: gente che ha vissuto in modi che alla maggior parte degli italiani del XXI secolo apparirebbero quasi incomprensibili. E che viceversa non sarebbe in grado di comprendere il nostro modo di vivere di oggi. Alieni che in realtà sono nostri parenti stretti, strettissimi: gli ultimi a vivere nei modi e coi mezzi della gente di montagna furono i nonni e i bisnonni delle giovani generazioni attuali; antenati quasi diretti di coloro che twittano con gli amici di Facebook, scaricano app sull’i-pad e si perdono se sull’auto non c’è il navigatore, neanche Pontepetri fosse un villaggio della Sogdiana a ore di cammello dall’oasi di Piteglio.

Fu la seconda guerra mondiale a segnare il confine, la cesura, il cambio di epoca. L’epoca nuova, col boom economico degli anni Cinquanta e Sessanta, portò gli abitanti della montagna a dimenticare la vita dei non facili tempi passati e le magnifiche sorti e progressive dell’Italia moderna imponevano che gli oggetti della vita antica venissero gettati via e dimenticati. Bisogna che la cronaca diventi storia per rendersi conto di quanta importanza per la cultura e la memoria dei popoli abbiano anche le cose minute, gli oggetti d’uso quotidiano, le cianfrusaglie senza valore. Onore dunque al merito di alcune lungimiranti menti dell’Assessorato alla Cultura della Provincia di Pistoia che intorno alla fine degli anni Ottanta decisero di inventare l’Ecomuseo della Montagna Pistoiese, il cui slogan “Il futuro della memoria” spiega ciò che c’è da spiegare: “uno strumento per conservare, valorizzare e tramandare il prezioso patrimonio di paesaggi, tradizioni e tesori di particolare interesse naturalistico, storico-artistico e antropologico della Montagna Toscana”. Uno strumento con due scopi: da un lato si rivolge ai discendenti diretti di coloro che vissero su queste montagne, ché non si dimentichino dei loro antenati. Dall’altro si rivolge ai turisti, invitandoli a non essere gente che “non si cura di lor ma guarda e passa” ma piuttosto, dopo aver goduto il fresco dei boschi e le sagre estive, conosca e apprenda e per quanto possibile si senta coinvolta e si immedesimi in modi e abitudini di vita così lontani da quelli odierni. Era l’anno del Signore 1543: in Firenze governava Cosimo I de’Medici, di cui gli storici dipingono un ritratto non privo di chiaroscuri ma su cui concordano abbia reso la Toscana una nazione moderna, al passo coi tempi. Modernità che nell’Appennino pistoiese si manifestò con la nascita del primo polo siderurgico toscano, sorto intorno al forno fusorio, alla Ferriera Sabatini, presso le rive del giovane fiume Reno (quello di Bologna, eh! Non il Rhein svizzero-franco-tedesco….). 

Oggi si costruiscono oleodotti, gasdotti e rigassifi per trasportare le fonti di energia dai giacimenti alle aree industriali; allora si faceva il contrario, si impiantavano le industrie là dove c’era l’energia. E siccome le fonti d’energia erano l’acqua e il legno, si costruivano gli impianti industriali in montagna. La materia prima, il ferro, arrivava dall’isola d’Elba via mare poi via fiume, risalendo l’Arno e l’Ombrone pistoiese, infi a dorso di mulo. I muli, docili e silenziosi TIR dei secoli passati, senza i quali la storia dell’Europa sarebbe stata diversa… Le prime ferriere non piacquero agli abitanti locali, perché la legna dei boschi veniva riservata all’industria e perché essi venivano assunti come operari di basso livello, giacché i capimastri provenivano tradizionalmente da Brescia. L’antenato pistoiese delle acciaierie di Piombino fu operativo sino al XVIII secolo, poi in Inghilterra si iniziò a usare il coke come combustibile e i magli mossi dai mulini ad acqua di Pracchia della Montagna Pistoiese non furono più economicamente competitivi, poco a poco la siderurgia pistoiese scomparve, anche perché ben pochi investimenti furono fatti per tenere gli impianti locali al passo con l’evoluzione tecnologica. Scomparve la siderurgia ma non la mentalità industriale, giacché nel 1910 a Campo Tizzoro, pochi chilometri da Pracchia, furono costruiti gli stabilimenti della S.M.I., Società Metallurgica Italiana per la produzione di munizioni; nacque un paese intorno agli stabilimenti che furono molto importanti durante le guerre mondiali e furono fino agli anni ’80 il cuore dell’economia locale; poi il declino l’ha portata alla chiusura definitiva nel 2006 e alla riconversione dell’area. Ma questa esperienza ha lasciato utili tracce nella popolazione locale, che ha acquisito un’abitudine a “pensare insieme” che ha facilitato l’accettazione dell’Ecomuseo e la comprensione del suo significato.

Quello “del Ferro” è uno dei sei Itinerari dell’Ecomuseo ma altrettanto meritevole d’attenzione è l’Itinerario del Ghiaccio. …

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