La terza vita di un piccolo agrume verde

Rivista: La Casana
Editore: Carige
Luogo di pubblicazione: Genova
Data: 2018, n.1

Categoria: Tag: , ID:2733

Descrizione

La prima cosa che si nota con piacere è il verde degli alberi che fermano l’avanzata dei condominî in stile “edilizia-del-geometra-anni-Sessanta” verso l’entroterra. Evviva Slow Food, se il Presidio del Chinotto di Savona è servito a contenere la prepotenza delle seconde case nella piana di Pietra Ligure, oltre che a ridar forza alla coltivazione di un agrume di antico lignaggio che era caduto un poco in disgrazia. Pensare che fino a un paio di secoli fa chi viaggiava per mare lungo la costa della Riviera di Ponente rimaneva affascinato dal profumo che dagli agrumeti delle brevi piane costiere si diffondeva nell’aria fino al mare aperto…
Chinotto, per i dotti Citrus myrtifolia o Citrus x myrtifolia: forse di origine cinese, come quasi tutti gli agrumi del resto. In area mediterranea si trovano alberi di chinotto soprattutto in Italia (Liguria, Toscana, Calabria e Sicilia) e in Costa Azzurra (che è un po’ la parte francese della Liguria). Però il chinotto di Savona è una cosa diversa: probabilmente origina da una mutazione dell’arancio amaro e Giorgio Gallesio, principe dei botanici del XIX secolo, nativo di Finale Ligure, lo aveva chiamato “chinotto comune di Savona” per differenziarlo dal C. myrtifolia; oggi si chiama Citrus aurantium varietà amara sub-varietà sinesis. È diverso dal chinotto “qualsiasi” perché è senza semi, ha la buccia sottile e viene propagato per innesto su arancio amaro. Ciò implica come condizione al contorno che il chinotto di Savona sia una varietà totalmente domestica, non esiste un chinotto di Savona selvatico perché non riuscirebbe a riprodursi. Non esiste nemmeno un chinotto di Savona forestiero, nel senso che al di fuori della sua terra d’elezione che è la costa tra Varazze e Pietra Ligure dal livello del mare e i 300 metri di quota, non riesce a fruttificare. Evidentemente le condizioni ambientali, pedologiche, climatiche di questa ristretta zona di Riviera Ligure di Ponente sono le uniche acconce a questa esigente varietà di agrume. Insomma, il chinotto di Savona è veramente soltanto “di Savona”.
Nei secoli passati i chinotti di Savona avevano un mercato internazionale: quando si navigava a vela i viaggi transoceanici erano lunghi e uno dei pericoli peggiori per i marinati era lo scorbuto, causato dalla carenza di vitamina C; avere un’abbondante scorta di agrumi nella stiva era l’unico modo per affrontare questo rischio mortale e i chinotti, essendo piccoli – pochi centimetri di diametro – e ben stivabili nelle botti erano l’agrume ideale: “facevano la dose” e si conservavano bene per lungo tempo in salamoia (o più semplicemente in acqua di mare). La Royal Navy, la marina militare inglese, veniva a Savona a comperare i barili di chinotti e c’è chi dice che l’Invincibile Armada spagnola fu sconfitta dagli inglesi nel 1588 anche perché i marinai di Elisabetta I erano più sani dei marinai di Filippo II grazie al consumo di chinotti savonesi. Magari è un po’ un’esagerazione ma si sa come funzionano le leggende, c’è sempre un fondo di verità….
Poi sono arrivati i frigoriferi, gli integratori alimentari, e i marittimi odierni non hanno più bisogno di farsi grandi scorte di agrumi a bordo. Finiti i tempi del chinotto curativo, dalla seconda metà dell’Ottocento agli anni Trenta del Novecento i chinotti ebbero un periodo di gloria in ambito dolciario: nel 1877 l’azienda Silvestre-Allemand & Co., fondata da imprenditori della Savoia, iniziò la produzione di chinotti canditi a Savona, che ebbero un rapido successo di critica e di pubblico; la sua eredità fu presa dalla Augusto Francesco Besio, una delle più antiche aziende savonesi, che ancora oggi trasforma i chinotti, tanto che ancora oggi è possibile e piacevole nei bar di Savona chiedere un caffè accompagnato da un chinotto candito; un’interessante consuetudine decisamente molto locale, già a Genova a nessuno verrebbe in mente. Negli anni Trenta del secolo scorso vendere i chinotti a Savona (si vendevano a numero, non a peso) poteva servire per pagarsi le nozze: il ricavato permetteva di acquistare l’abito da sposa, la cucina, la camera da letto e pagare il pranzo nuziale; un detto contadino recitava che “i chinotti quando hai bisogno ti aiutano”. Come tutte le cose umane, anche il periodo d’oro del chinotto candito ebbe termine e alla fine del secolo scorso i piccoli agrumi verdi onusti di storia si vendevano a fatica; è stato grazie a Costa Crociere e a Slow Food se all’inizio del XXI secolo è iniziata la terza vita del chinotto di Savona: Costa Crociere ha deciso di acquistarli come prodotto tipico da proporre ai suoi clienti stranieri e nel 2004 Slow Food ne ha fatto un Presidio, uno dei quindici – attualmente – Presidî liguri.
Oggi il Presidio ha circa 1500 piante coltivate da piccole aziende agricole distribuite tra Varazze e Pietra Ligure; sono aziende a conduzione familiare che si tramandano la tradizione di nonno in nipote, di suocera in nuora, ma nei secoli d’oro nel Savonese c’erano ettari ed ettari di chinotti. Un tentativo di ricreare, anche a scopo didattico, un “paesaggio a chinotti” è stato intrapreso nel 2014 dal Comune di Quiliano, che ha piantato alcune decine di piante di chinotto nel Parco di San Pietro in Carpignano.
Passeggiando nell’agrumeto nella piana di Pietra Ligure apprendo che è raro trovare veri campi di chinotti, piuttosto gli alberi vengono piantati in filari al limitare di orti e campi o lungo i vialetti, a fungere quasi da siepe di separazione; sono privi di spine, caso raro tra gli agrumi, e sono lentissimi a crescere, piante che superano il secolo di vita raggiungono al massimo i tre metri e mezzo di altezza. La produzione non è assolutamente costante, dipende molto dalle condizioni meteo-climatiche, ed è anche per questo forse che è difficile trovare un “chinotteto” puro, non darebbe sufficienti garanzie di reddito, quindi la coltivazione del chinotto va accompagnata a quella di altri agrumi.
Caratteristica importante del chinotto è che non si mangia crudo, avrebbe un gusto troppo amaro e acido poco gradevole. Si trasforma in molti modi diversi e il lavoro dei trasformatori è tanto importante quanto quello dei coltivatori per la sopravvivenza e il successo di questo agrume. Generalmente si raccolgono i frutti tra settembre e ottobre quando sono ancora acerbi di colore verde, e con essi si fanno marmellate e altri prodotti. Le marmellate a produzione artigianale si possono preparare in due momenti di maturazione diversi: il migliore è quando è ancora verde, ma è possibile una seconda raccolta quando il frutto è maturo per preparare un marmellata meno amarognola con sapore meno intenso, che a molti ricorda il gusto dell’arancia amara. Non esiste una ricetta consolidata e ufficiale, il gusto del frutto dipende dalle annate quindi la giusta quantità di zucchero può variare di anno in anno e l’unica ricetta valida è quella empirica: si fanno diverse prove e si capisce qual è la migliore in quell’anno, con quel raccolto. Si procede col metodo “della nonna”: si prepara nelle pentole, si chiudono i vasetti a mano. Con tutti i crismi e i requisiti sanitari moderni, certamente, debitamente certificati e controllati, ma il metodo rimane quello antico.
Poi i canditi, che per i chinotti sono in realtà “la morte loro”, il modo più celebre e blasonato di prepararli e consumarli; anche qui esistono due tipi di lavorazione artigianale: quella “all’italiana”, più lenta, più personale, che crea un chinotto candito con le migliori qualità organolettiche, e quella un pochino più veloce e di serie che fornisce i canditi per le pasticcerie e per i panettoni e i pandolci. La canditura all’italiana prevede che i chinotti vengano spazzolati, lavati, bucati e messi nell’abbattitore perché “frollino” e diventino morbidi. Li si buca affinché quando il frutto viene messo dentro lo sciroppo per osmosi l’acqua interna esca ed entri lo sciroppo zuccherino, che viene preparato a 50 Brix. E qui…. cos’è mai il Brix?? È un’unità di misura che prende il nome dal matematico e ingegnere tedesco del XIX secolo Adolf Ferdinand Brix: misura la quantità di sostanze solide disciolte in un liquido; un grado Brix (°Bx) indica l’1% in peso secco di sostanza solida nella soluzione. Nel nostro caso, zucchero dentro l’acqua. Lo sciroppo va a bollore e viene versato sui chinotti, si raffredda in 6-8 ore e quando è freddo si fa la spillatura, cioè si rifà il procedimento, due volte al giorno per 10-12 giorni fino a raggiungere una concentrazione di 70°Bx. Poi sono pronti, e lo sono anche per essere immersi nel maraschino, perché il chinotto nel liquore (in questo liquore) è un altro bel sistema per apprezzare la bontà di questo strano agrumello verde.
La fantasia però mette le ali… ecco arrivare il nettare (succo di chinotto e acqua, ché il succo da solo sarebbe troppo denso e concentrato, imbevibile) che si beve come bibita o si usa per far ghiaccioli, e il chinottello (parente stretto del limoncello e come questo ottimo digestivo); il nostro agrume si accoppia volentieri col gelato fior di latte e lo yogurt bianco, si accompagna egregiamente coi formaggi sia freschi sia stagionati e con il cioccolato fondente, e c’è anche chi prepara la Sachertorte con la marmellata di chinotto: farla a regola d’arte è un lavoro lungo, ci vogliono tre o quattro giorni affinché il gusto del chinotto “prenda” la torta, ma chi l’ha assaggiata dice che ne vale la pena. Poi, novità delle novità fornita di brevetto, il Chin’oro, a base di olive taggiasche e chinotti di Savona che vengono franti assieme per dar vita a un condimento adatto al pinzimonio e a piatti di carne e di pesce crudi o anche cotti ma tiepidi: si sente l’oliva e poi arriva il sapore dell’agrume… Da provare.
C’è anche chi si avvicina al chinotto con un approccio più scientifico e ci dice che esso, come l’arancia amara, contiene sinefrina {4-[1-idrossi-2-(metilamino)eti]fenolo / C9H13NO2}, una molecola che potrebbe funzionare come stimolatore del metabolismo e quindi avere effetti dimagranti. Più in generale esiste il progetto Interreg italo-francese “Mare di agrumi” in cui è coinvolto il Dipartimento di Farmacia dell’Università di Pisa che studia le proprietà mediche di alcuni agrumi mediterranei: clementine e cedri della Corsica, chinotti e arance pernambucco della Liguria di Ponente, cedro limonato della Toscana, pompia della Sardegna (vedi La Casana 2-2012 “Dove la bruttezza fa rima con dolcezza”). Un modo moderno di proseguire una delle più antiche e più nobili attività intellettuali dell’umanità, quella di indagare le proprietà curative delle piante.

Ringraziamenti:
a Luca Ottone e al suo agrumeto a conduzione familiare che crea una piacevolissima macchia di verde intenso dietro ai condominî di seconde case di Pietra Ligure
a Mery De Milato dell’Azienda Agricola Parodi di Finalborgo che coltiva e trasforma chinotti nella valle del torrente Aquila
all’Azienda Agricola La Magnolia di Roviasca sopra Quiliano per avermi fatto conoscere la formaggetta di capra col chinotto

Chinotto di Savona

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