Descrizione
In qualunque buona libreria è possibile trovare almeno un volume che abbia per titolo o nel titolo un “elogio della lentezza”. Perché ogni tanto qualcuno decide che “andare piano”, sia in senso fisico che spirituale, sia un valore, una qualità, una virtù, un elemento di saggezza.
Vien da riflettere sui vantaggi del pensiero lento, un pensiero che assecondi i tempi naturali della più affascinante macchina esistente in natura, il cervello umano, che sono poi i tempi naturali di Homo sapiens, un animale a cui Dio sive Natura ha dato due gambe per spostarsi (e non quattro ruote o due ali), una voce e un udito che funzionano bene solo sino a qualche decina di metri di distanza, due occhi per vedere sino a un pochino più in là.
La lingua italiana contemporanea ama infarcirsi di termini inglesi, vuoi per ragioni di dominanza politica, economica e culturale delle nazioni di lingua inglese, vuoi per autoctono provincialismo; sta di fatto che questo concetto positivo di lentezza pare venga espresso più efficacemente se si usa il vocabolo inglese “slow”. Universalmente noto è Slow Food, italiano d’origine ma ormai totalmente internazionale nelle opere e nei progetti. Forse meno note del Cibo Lento ma altrettanto importanti per la costruzione di una società in armonia con sé stessa e col mondo sono le “città lente”, o per usare la terminologia ufficiale, le “Cittàslow”.
CITTÀ LENTE DEL MONDO
Esiste un’associazione “lenta” che riunisce circa duecento città sparse in trenta nazioni dei cinque continenti: il Movimento Cittàslow è nato nel 1999 dall’intuizione dell’allora sindaco di Greve in Chianti (FI), fatta propria dai sindaci delle città di Bra (CN), di Orvieto (TR) e di Positano (SA), e accolta da Carlin Petrini, Presidente di Slow Food. Come si legge nel sito dell’associazione, l’obiettivo è “allargare la filosofi di Slow Food alle comunità locali e al governo delle città, applicando i concetti dell’ecogastronomia alla pratica del vivere quotidiano”. Per diventare e rimanere membri dell’associazione, le città devono essere abitati di gente “curiosa del tempo ritrovato, dove l’uomo è protagonista del lento, benefi succedersi delle stagioni”; persone – e amministratori pubblici che pongano attenzione alla propria salute fisica e alla genuinità dei prodotti agroalimentari del loro territorio; le città devono essere ricche di tradizioni artigiane, opere d’arte, piazze per incontrarsi, luoghi dove si fa cultura, botteghe, caffè e ristoranti attenti alle tradizioni della cucina locale, devono avere nel loro territorio “luoghi dello spirito” e paesaggi naturali ben preservati; la popolazione deve vivere con spontaneità i riti religiosi, rispettare le tradizioni e apprezzare la gioia di un vivere lento e quieto. Oggettivamente difficile che tutto questo possa accadere in una metropoli, più facile che tutto ciò funzioni in centri urbani di minori dimensioni. Sta di fatto che un’ottantina di queste duecento città “lente” sono in Italia, fatto comprensibile tenendo conto che l’associazione è nata qui.
LEVANTO LENTA E RITROVATA
Una sola però è in Liguria: è Levanto, centro principale di quella meraviglia della natura e della fatica umana che è la Riviera Spezzina, quel tratto di borghi antichi, rocce, alberi, vigneti, mare e sole che sono le “Dieci Terre” da Deiva a Portovenere, di cui le Cinque più famose sono solo una parte, ché tutto il resto è affascinante allo stesso modo. …