L’oro bianco dei nostri pascoli

Rivista: La Casana
Editore: Carige
Luogo di pubblicazione: Genova
Data: 2020, n°1
(pubblicato sotto pseudonimo)

Categoria: Tag: ID:3078

Descrizione

“Com’ero ai giorni del mio autunno, quando l’amicizia di Dio riposava sulla mia tenda, quando l’Onnipotente era ancora con me e i miei figli mi stavano attorno! Lavavo i piedi nel latte e la roccia mi versava ruscelli d’olio”

Nella Bibbia (Gb 29, 4-6) queste sono le parole usate da Giobbe per esprimere l’abbondanza di beni materiali e spirituali di cui godeva prima che iniziassero le sue sventure; “lavavo i piedi nel latte”: quale meraviglia più meravigliosa poteva immaginare un pastore mediorientale del V secolo a.C.?
Nel Bhāgavata Purāņa, uno dei numerosi testi sacri dell’induismo, ipoteticamente scritto intorno al 3100 a.C., si legge che ci fu una grande carestia e il re Prithu (considerato un avatar del dio Visnù e l’iniziatore della civiltà umana) armato di arco e frecce voleva costringere la terra a nutrire il suo popolo; la terra prese le sembianze di una vacca e lo implorò di risparmiarla in cambio del latte con cui avrebbe potuto sfamare tutta la gente. Da allora nell’India induista le vacche si mungono ma non si uccidono.

Nati, cresciuti e viventi come siamo in una “civiltà del latte” quali sono quelle mediterranee e indoeuropee, spesso ci stupiamo di apprendere che esistono popolazioni umane che non consumano e non sono in grado di digerire il latte e i suoi derivati; il latte non rientra nell’alimentazione naturale e storica dei popoli dell’Estremo Oriente, di gran parte dell’Africa centromeridionale e dei nativi americani. Questo semplicemente perché per tutti i mammiferi (e Homo sapiens è un mammifero come gli altri) il latte è un alimento necessario per i cuccioli ma solo per loro. I mammiferi adulti non consumano latte, sono intolleranti al lattosio, diventando adulti si perde la capacità di digerirlo (e quindi sbagliano coloro che danno il latte ai gatti adulti, ai quali piace ma fa male). Ma allora perché noi si? Perché le popolazioni umane che durante il Neolitico hanno sviluppato l’allevamento e la pastorizia si sono abituate al consumo di latte e per mutazioni genetiche avvenute probabilmente a partire da 7000 anni fa hanno acquisito la capacità di produrre anche in età adulta l’enzima lattasi, che ci permette di scindere il lattosio nei digeribili zuccheri galattosio e glucosio. Questo però è avvenuto solo nell’ambito dei popoli allevatori e pastori, in Vicino e Medio Oriente, in Europa e in alcune parti dell’Africa. Accidentalmente, qualche umano adulto appartenente ai “popoli del latte” perde questa capacità digestiva acquisita dai suoi antenati e “diventa normale” non riuscendo più a digerirlo.

Sia come sia, alla maggior parte di noi italiani il latte piace. E chi non ha problemi con la sua digestione fa bene a consumarlo. Il latte, bovino, ovino o caprino che sia, è un ottimo alimento sano, nutriente, gustoso in tutte le sue forme, naturale o trasformato in burro, panna, formaggio, yogurt. È un’importantissima fonte di approvvigionamento di calcio e fosforo e fornisce proteine, vitamine, zuccheri, lipidi.
Consultando siti di produttori e allevatori e banche dati nazionali si trova che ogni anno in Italia vengono prodotte poco più di dodici milioni di tonnellate di latte vaccino, dato che ci pone intorno al quindicesimo posto della classifica mondiale dei produttori di latte; circa il 45% della produzione italiana viene dalla Lombardia; altre buone regioni lattifere sono Emilia Romagna, Veneto, Piemonte; segue il gruppo. Siccome il latte italiano non è sufficiente al fabbisogno nazionale importiamo anche un milione e mezzo circa di tonnellate annue dall’estero, Europa centrale e orientale; straniero non significa che sia di minor qualità di quello italiano, naturalmente, ma il piacere… diciamo organolettico e psicologico di consumare latte, burro, panna, yogurt e formaggio prodotti da animali nostrani in allevamenti nostrani, prodotti come si dice a chilometri zero o quantomeno a “chilometri pochi”, fa valere la pena di mettere un poco di attenzione quando facciamo la spesa e andare a cercare latte e latticini di sicura produzione nazionale o meglio ancora locale.

Ecco, produzione locale…. Com’è la produzione lattiera in Liguria? Potremmo dire “lasciamo perdere…” qui siamo sulle duemila tonnellate annue, ultimi della classifica regionale con enorme distacco sulla penultima (Valle d’Aosta, 31.000 tonnellate). E non siamo una regione di grandi allevamenti nemmeno se si parla di pecore e capre, lo sappiamo.
Però com’è che si dice: poco ma buono, piccolo è bello, nel bidone piccolo sta il latte buono…. Dove si produce e come viene utilizzato il latte ligure? Le zone maggiormente “vocate” come si dice in gergo, sono, da levante a ponente, la val di Vara, la val d’Aveto, la valle Stura. La pastorizia è praticata anche a Ponente, nel Savonese e sulle Alpi Liguri. Ci sono consorzi di allevatori che commerciano direttamente il loro latte e i loro prodotti derivati, e aziende di trasformazione con una rete di distribuzione anche extra-regionale che hanno linee commerciali dedicate alla filiera latteo-casearia ligure.
In provincia di La Spezia la Val di Vara si è procurata da anni la fama di “valle del biologico”; il 4 gennaio di quest’anno l’autorevole quotidiano inglese The Guardian l’ha definita “la valle più verde d’Italia” inserendola nella “top list” dei venti luoghi del mondo da visitare nel 2020 (ancora non si immaginava l’arrivo del coronavirus…) per l’importanza dei suoi progetti di conservazione dell’ambiente e delle comunità; grazie alla visione di un “sindaco illuminato” (così dice The Guardian) e all’entusiamo di allevatori, contadini, ristoratori, albergatori e operatori turistici oggi più della metà dei terreni dedicati all’agroallevamento dell’alta valle sono coltivati con metodi biologici. Nel 2013 è nato il Biodistretto Val di Vara, con sede a Varese Ligure, che si prefigge – tra l’altro – di favorire, valorizzare, sostenere e promuovere lo sviluppo delle produzioni biologiche della vallata e delle relative filiere collegate, promuovendone il consumo anche oltre i confini del distretto, tutelare e preservare le tradizioni culturali locali, l’agro-biodiversità e l’ambiente naturale, favorire le attività e i progetti (anche a livello europeo) per l’innovazione in campo agricolo e zootecnico. Percorrendo le tortuose strade dell’alta valle è normale scorgere nei prati piccole mandrie di mucche che pascolano brade. Ma ben più antica del Biodistretto è la Cooperativa Casearia Val di Vara, nata anch’essa a Varese Ligure nel lontanissimo 1978, che trasforma in loco, nel proprio caseificio, tutto il latte prodotto dai soci producendo formaggi stagionati e freschi e ricotta. Nella media valle, a Brugnato, dal 1956 lavora anche un caseificio autonomo, il cui prodotto di maggior risalto è la mozzarella, classificata PAT (Prodotto Agricolo Tradizionale). Nell’edizione 2009 della manifestazione internazionale Cheese organizzata dalla Fondazione Slow Food, il Caseificio Esposito ha ottenuto il Premio Locale del Buon Formaggio per l’impegno e la passione nella diffusione della produzione casearia buona, pulita e giusta.
Entrando in provincia di Genova, come non salire nell’aperta, luminosa, fiorita, boscosa, profondamente appeninica Val d’Aveto? La patria della mucca Cabannina, unica razza autoctona dell’entroterra ligure, di taglia piccola, mantello bruno con una striscia (la riga mulina) color crema sulla linea dorso-lombare, rustica, con gli arti corti e robusti adatti all’alpeggio brado in montagna dalla primavera al tardo autunno; la “razza bovina cabannina” è un Presidio Slow Food. Un animale sia da carne sia soprattutto da latte; le cabannine producono molto meno latte dele altre razze lattifere e per questo hanno rischiato di scomparire: all’inizio del XX secolo c’erano circa 40.000 capi, ora sono poche centinaia; producono poco latte ma di altissima qualità, ricco dei profumi e dei sapori dei pascoli magri e ricchi di arbusti dell’Appennino Ligure, che dà vita a una linea di formaggi a latte crudo ormai ben sistemati nel mercato caseario regionale. Gli allevatori afferenti al Presidio sono distribuiti prevalentemente in Val d’Aveto ma alcuni hanno stalle e caseifici in altre parti del Levante ligure, nelle valli Vara, Sturla, Fontanabuona, Scrivia, Polcevera; non praticano alcuna forma di allevamento intensivo, lasciando lunghi periodi di “asciutta” alle vacche per farle riposare senza costringerle a una superproduzione, certamente più redditizia per gli allevatori ma foriera di malattie e malesseri per gli animali.
In Val d’Aveto però si allevano anche due classiche razze bovine da latte, la Bruna e la Pezzata Rossa, originarie di altre regioni ma da tempo ben acclimatate in zona; il loro latte viene usato dal Caseificio Val d’Aveto per produrre un formaggio a latte crudo di antiche origini, il San Stè, che prende il nome, facile capirlo, da Santo Stefano d’Aveto, capoluogo storico della valle, e il Sarasso, una ricotta salata e stagionata.
Tutti i liguri conoscono il Latte Tigullio, uno dei più celebri marchi commerciali della regione, col suo Centro Latte di Rapallo attivo dal 1954, nato come piccola azienda a conduzione familiare, cresciuto nel tempo sino a essere oggi una realtà industriale alimentare di ambito interregionale all’interno della società Centrale del Latte d’Italia S.p.A. Interessante particolarità tigullina è l’avere il sito web bilingue: alle pagine scritte in italiano si accompagnano quelle scritte in genovese.

Passiamo ora nell’altra metà della regione ma rimanendo ancora in provincia di Genova: Valli Genovesi è un progetto di filiera con i produttori di latte di Genova promosso dalla CIA Confederazione Italiana Agricoltori della Liguria per sostenere gli allevatori genovesi e salvaguardare la produzione locale e il suo valore etico, sociale e ambientale per l’economia dell’entroterra ligure. Circa il 30% della produzione di latte vaccino ligure viene dal Genovesato. La società G.Alberti & C. S.p.A, fondata a Imperia nel 1948 e con sede attuale a Pontedassio (IM), è titolare dal 2013 del marchio Valli Genovesi® e aderisce al progetto come azienda trasformatrice, ritirando più di venti quintali di latte al giorno dai produttori e inserendoli nel suo ciclo di lavorazione che comprende anche latte proveniente dal Piemonte; i suoi prodotti vengono venduti tramite la piccola e la grande distribuzione regionale. Lo stesso latte genovese rifornisce anche il caseificio Tentazioni Pugliesi con le sue due sedi di Marassi e San Pier d’Arena, realizzando un interessante connubio tra materia prima locale e tradizione casearia “svevo-normanna”. I (pochi) produttori sono concentrati nell’alta valle Stura in comune di Rossiglione, con una divagazione in alta Val Polcevera. Allevano vacche di razza Bruna Alpina che pascolano brade da primavera all’autunno; una razza bovina presente da secoli nel Genovesato: a Masone nel XVII secolo faceva capo una mandria di 170 animali e agli inizi del XX secolo fu fondata una cooperativa di allevatori e una piccola centrale per la distribuzione del loro latte e dei suoi derivati.

La Riviera di Ponente non è famosa per le sue mandrie…. un tempo, ad esempio a metà del secolo scorso quando Giacomo Alberti iniziò a Imperia la sua avventura imprenditoriale latteo-casearia, non mancavano gli allevatori nelle valli dell’entroterra ponentino, ma oggi le piccole mandrie che pascolano brade in estate tra i boschi e nei prati delle Alpi Liguri sono davvero da contarsi con le dita di poche mani. Dal 1955 esiste peraltro, oltre alla G.Alberti, un’altra affermata realtà imprenditoriale del settore nella metà occidentale della Liguria: la Frascheri S.p.A. di Bardineto (SV) nell’alta val Bormida di Millesimo, con un’ampia linea di prodotti destinati sia al consumo familiare che alle aziende professionali, pasticcerie e gelaterie. Latte 100% italiano, il che dice ben poco circa l’eventuale origine ligure di una parte di esso, ma siamo comunque soddisfatti della sua italianità (senza nessun tipo di “nostalgie” autarchiche, comunque…)

Ma il latte non è solo quello bovino… I numeri sono piccoli anche in ambito ovino e caprino, ma – di nuovo – a piccole quantità corrisponde alta qualità. L’allevamento di pecore e capre è prevalentemente praticato a Ponente, nelle Alpi Liguri e nel Savonese, senza per questo escludere del tutto Genovesato e Levante. L’Atlante Regionale dei Prodotti Tradizionali annovera una quindicina di formaggi classificati PAT Prodotto Agroalimentare Tradizionale, oltre al burro che è un elemento insolito nel panorama alimentare ligure dominato dall’olio extravergine d’oliva ma comunque presente nella cucina di entroterra. Di questi formaggi ben otto sono a base di latte ovino o caprino e le greggi più importanti per la produzione casearia ovicaprina ligure sono quelle, poche ma significative, delle pecore di razza Brigasca allevate sulle Alpi Liguri, nell’area tra Albenga-Sanremo e il Monte Saccarello. La pecora Brigasca, robusta razza autoctona delle montagne a cavallo tra Liguria, Piemonte e Francia (valli Argentina e Arroscia, Tanaro, Roia) è tutelata da un Presidio Slow Food e i suoi pochi ma convinti allevatori producono col suo latte ottimi formaggi: toma (o sora), ricotta e bruss (squisito ma riservato a palati forti). Ottimi formaggi caprini provengono da piccoli greggi dell’entroterra di Genova e Savona: Val Polcevera, Valbrevenna, Val Trebbia, alta Valle Scrivia, colline di Rapallo, Stella, Quiliano, Pontinvrea, Dego e Langhe Savonesi… Le razze più adatte sono la Camosciata delle Alpi, di colore bruno, e la Saanen di origine svizzera. Il latte di capra può essere assunto anche come bevanda, giacché risulta più assimilabile e digeribile di quello vaccino ed è più simile al latte materno rispetto a quello di vacca quindi più adatto per i bambini; un suo “difetto” può essere il suo gusto deciso a cui occorre fare l’abitudine.

Questo è, più o meno, il mondo del latte ligure. Una realtà regionale composta da diverse realtà locali indubbiamente piccole ma efficienti e motivate, il cui lavoro – degli allevatori e dei loro animali – oltre che utile e gratificante dal punto di vista alimentare e nutrizionale è anche prezioso per mantenere vivo e sano l’ambiente naturale delle nostre colline e montagne, che sono terre di pascolo da millenni, dai tempi dei nostri antenati Liguri che orgogliosamente le abitavano in epoca preromana.

Sitografia
www.biodistrettovaldivara.it
www.coopcasearia.it
wwww.caseificioesposito.com
www.fondazioneslowfood.com/it/presidi-slow-food/razza-bovina-cabannina/
www.cabannina.it
www.caseificiovaldaveto.com

Homepage


www.valligenovesi.it
www.lattealberti.it
https://caseificio-tentazioni-pugliesi2.business.site/
www.frascheri.it
www.fondazioneslowfood.com/it/presidi-slow-food/tome-di-pecora-brigasca/
www.agriligurianet.it
www.lamialiguria.it
www.formaggio.it
www.caseificiagricoli.it

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