Descrizione
Un industriale illuminato
“L’uomo, creatura essenzialmente libera, amante d’aria e di luce e bisognosa di svilupparsi al sole nel salutare travaglio della sua genitrice, la terra, è costretto invece dalla civiltà (vedi contraddizioni in termini!) ad accomunarsi con altri suoi simili, fino a diventare un semplice organo di una macchina enorme, a servire soltanto come un ingranaggio;…”
Sembrano parole di un filosofo o di un sociologo ma sono state scritte centovent’anni fa, nel 1894, da un imprenditore industriale che definire “illuminato” è quasi banale. Si chiamava Silvio Benigno Crespi, era nato a Busto Arsizio nel 1848 e all’epoca era il Presidente dell’Associazione fra Industriali Cotonieri e Borsa Cotoni. Dopo essere uscito dal lago di Como, a Lecco, l’Adda scende verso il Po fra rive boscose scavate in una roccia dura ma ben lavorabile, il Ceppo dell’Adda. Il corso del fiume è ricchissimo di testimonianze industriali storiche: mulini, antiche fabbriche, centrali idroelettriche (bella la centrale Taccani di Trezzo) canali navigabili (come il Naviglio della Martesana che giunge a Milano), lo spettacolare ponte in ferro di Paderno, il traghetto a fune “leonardesco” di Imbersago… A est dell’Adda l’autostrada A4 Milano-Venezia attraversa l’Isola Bergamasca, un bassopiano di forma triangolare delimitato da due fiumi, l’Adda a ovest e il Brembo suo affluente a est, e dalle Prealpi a nord, che comprende una quindicina di comuni; il suo vertice meridionale è separato dalla pianura circostante da una costa alta qualche decina di metri; lungo questo dislivello correva il Fosso Bergamasco che dal 1427 al 1797 segnò il confine tra Ducato di Milano e Repubblica di Venezia.
Il più bel villaggio operaio d’Italia
Tra i due fiumi e il Fosso c’è un “villaggio ideale”, Crespi d’Adda, frazione di Capriate San Gervasio in provincia di Bergamo, più noto come Villaggio Crespi, che nel 1995 l’UNESCO ha inserito nel Patrimonio mondiale dell’Umanità. Percorrendo l’unica strada di accesso al villaggio si notano la torre di un castello in stile eclettico primo Novecento e le ciminiere di una fabbrica. Lanciano un messaggio chiaro: “qui c’è una fabbrica e c’è un padrone”. Questo è il più bel villaggio operaio d’Italia, “fratello” del celebre New Lanark scozzese e fra i meglio conservati grazie anche al suo isolamento geografi o fra i fiumi e i boschi. Crespi d’Adda è la memoria di un momento storico in cui si è cercata l’armonia fra l’uomo e l’industria. Un esperimento di “utopia urbanistica” che ha avuto successo ma che come tutte le cose umane non poteva durare in eterno; ora la fabbrica è chiusa e il villaggio è una borgata come tante ce n’è, con 450 abitanti e pochi servizi. Ma la memoria di ciò che fu non è svanita, rimane l’architettura voluta da quel geniale imprenditore tessile di un secolo fa, rimangono i suoi abitanti di oggi – in gran parte discendenti degli operai di allora che quella memoria portano nel futuro.
I Crespi erano una famiglia di imprenditori del cotone di Busto Arsizio, dove erano noti come “Tengitt”, tessitori. Cristoforo Benigno Crespi, nato nel 1833, aiutava il padre Antonio nel commercio di tessuti ma poi costruì stabilimenti tessili a Vaprio d’Adda, Vigevano e Ghemme. Il 25 luglio 1878 inaugurò l’opifi tessile cotoniero di Crespi d’Adda, (“una vera manna caduta dal cielo” scrisse un parroco), in una posizione ideale per disponibilità di terreno, abbondanza d’acqua come fonte d’energia, manodopera a basso costo e distanza dal caos delle città; qui introdusse i più moderni sistemi di filatura, tessitura e finitura. Una centrale idromeccanica (idroelettrica dal 1909) forniva energia alle macchine tessili azionate da operai specializzati provenienti da Busto Arsizio e da operai generici assunti fra i contadini della zona. Per tutti c’era la sistemazione stabile nei “palasòcc” (tre grossi edifi plurifamiliari) vicini alla fabbrica, una mensa e un piccolo albergo per i tecnici che venivano da fuori. Il giovane fi di Cristoforo Crespi, Silvio Benigno di dieci anni, fu colui che diede inizio al lavoro gettando la prima manciata di cotone nei macchinari. Passando gli anni, l’opificio in riva all’Adda produsse tessuti di altissima qualità e crebbe di dimensioni dagli iniziali 5000 fusi tessili si arriverà col tempo a 80.000, con ben 4000 lavoratori. Intanto Silvio Benigno cresceva, a ventun’anni si laureò in giurisprudenza, andò in Inghilterra a seguire gli sviluppi dell’industria cotoniera ed entrò nell’azienda paterna che ben presto dirigerà. Per l’Isola Bergamasca basta povertà basata su agricoltura stentata, cave di puddinga, bachicoltura e piccolo artigianato; era arrivata la civiltà industriale, con le sue luci e le sue ombre. …