Non è un cereale e non viene dall’Arabia…

Rivista: La Casana
Editore: Carige
Luogo di pubblicazione: Genova
Data: 2014, anno LVI, n°1
(pubblicato sotto pseudonimo)

Categoria: Tag: , ID:714

Descrizione

Una terra antica…

Strana valle, la Valtellina: in una catena montuosa in cui i fiumi scorrono da nord a sud, il suo Adda scende da est a ovest, perpendicolare al buon senso idrografico dei suoi colleghi delle alpi lombarde, e di esso stesso dopo che esce dal Lago di Como, in quel di Lecco.

Ciò non è per capriccio delle ninfe dei fiumi ma per una valida ragione geologica: la valle è una faglia tettonica della Linea Insubrica1 e il fiume si è semplicemente inserito in questo contesto geologico favorevole. L’andamento est-ovest della valle provoca condizioni ambientali diverse sul versante retico settentrionale, esposto a sud, più caldo e assolato, e su quello orobico meridionale, esposto a nord, più freddo e in ombra; l’uomo interviene su questo ambiente sin dai secoli preromani, quando qui si stanziarono popolazioni celtiche, etrusche e liguri. In Costa Azzurra sulla collina di La Turbie, a picco sopra il Principato di Monaco, svettano gli imponenti ruderi del Trofeo di Augusto eretto nel 7 a.C. al confi e tra Italia e Gallia per celebrare la sottomissione delle popolazioni alpine; qui i popoli della Valtellina sono ricordati col nome di Vennoneti. Coltivarono ed eressero villaggi sul versante retico, “solivo” e illuminato, lasciando ai boschi il versante meridionale “vago” e ombroso.

Che l’agricoltura di montagna non sia facile lo sanno bene i contadini che in tutto il mondo coltivano le terre alte. Agricoltura di sopravvivenza talvolta, talaltra anche agricoltura di nicchia e tutela di antiche biodiversità. Teglio è un vasto comune al centro della Valtellina che da esso prende il nome; il capoluogo si adagia su un ampio terrazzo solatio a 800 metri di quota; il suo territorio è abitato dal III millennio a.C. Un territorio vocato alla coltivazione del grano saraceno, un “non-grano” che coi popoli musulmani non ha nulla a che fare…

…per una pianta che non è ciò che sembra

Il nome scientifi o è Fagopyrum esculentum: deriva dal latino fagus (faggio), per via dei suoi frutti simili alle faggiole, e dal greco piròs (frumento). È una pianta erbacea annuale della famiglia delle Polygonaceae che compie il suo ciclo biologico in 70-90 giorni, alta dai 60 ai 120 centimetri. Non è una graminacea e non è un cereale, anche se da un punto di vista alimentare lo si considera tale per il suo seme ricco di amido e per l’uso che se ne fa in cucina. Ha fi bianchi o rosa con “eterostilia dimorfa”, ovvero vi sono fi con lunghi pistilli e corti stami e fi con pistilli corti e stami lunghi. L’impollinazione è entomofi a e anemofi a, avviene per azione sia degli insetti che del vento, e le piante sono auto-sterili, cioè la fecondazione non può avvenire tra fi della stessa pianta ma solo tra fi di piante diverse; si dice che l’impollinazione è incrociata. Il frutto è un achenio triangolare di colore bruno o nero, il seme ha le dimensioni di un granello di pepe ed è leggero: un migliaio di semi pesa circa venti grammi; non tutti i fiori però producono semi. Cresce rapidamente ma è molto sensibile all’umidità e alla siccità e apprezza il terreno ben concimato, arato e ricco di potassio; per ottenere un buon raccolto è anche importante avere sul campo alcuni alveari. Come farebbe l’umanità a nutrirsi se non ci fossero le api? Ma questo è un altro discorso…

Incerte le origini: in Siberia vive selvatico presso il lago Bajkal e il fiume Amur, ma si ritiene che il centro primario di addomesticazione fosse l’Himalaya orientale. Giunse in Europa nel Medioevo attraverso la Russia, dove è diffuso ancora oggi, mentre in Occidente si trova ormai solo in alcune zone della Francia e della Germania. In Italia si coltiva soprattutto nelle Alpi centro-orientali; due ipotesi si fanno per il suo arrivo sulle Alpi: le invasioni barbariche dell’Alto Medioevo o i commerci internazionali di Venezia. I suoi semi entrano nelle minestre di verdure e, macinati in granella, se ne fanno pizzoccheri, polenta saracena, sciatt e manfrigole, più vari piatti salati e dolci delle cucine slava, russa e giapponese. Alimenti buoni e nutrienti, perché il grano saraceno è ricco di sali minerali, in particolare ferro, zinco e selenio, e di proteine, soprattutto lisina un amminoacido che entra in molte funzioni vitali, dalla crescita dei capelli al funzionamento dei muscoli sotto sforzo e migliora l’assorbimento degli aminoacidi della carne. Inoltre è senza glutine, cosa che lo rende “di moda” a causa dell’aumento di casi di intolleranza e di celiachia. Interessanti le sue proprietà curative: contiene rutina che tonifi a le pareti dei vasi capillari riducendo il rischio di emorragie negli ipertesi e migliorando la microcircolazione nelle persone con insuffi za venosa; contiene anche D-chiro-inositolo (DCI), molecola complessa che interviene nella trasduzione del segnale dell’insulina e scarseggia in chi soff e di diabete di tipo II; c’è una particolare proteina del grano saraceno che può aiutare a ridurre il colesterolo. Ma ogni medaglia ha il suo rovescio: un suo eccessivo consumo provoca il fagopirismo, eritema cutaneo delle zone della pelle più esposte al sole, peraltro facilmente guaribile. Più gravi possono essere le reazioni allergiche: si sono registrati casi di anafi assi dopo il consumo di pizza preparata con la sua farina, come testimoniato da uno studio dell’Università di Torino.  …

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