Descrizione
Nelle Città Invisibili di Italo Calvino si legge che durante una delle loro abituali conversazioni notturne Marco Polo confessò all’amico imperatore Kublai Khan che in tutte le città dell’impero che andava visitando egli in realtà ricercava la sua Venezia, e confrontava quelle a questa. Credo che tutti facciamo qualcosa di simile quando viaggiamo: cerchiamo altrove la nostra terra, i paesaggi a cui siamo abituati, e confrontiamo l’Altrove in cui stiamo viaggiando con il Qui che ci portiamo dentro l’anima, quello che gli inglesi chiamano “home” e i tedeschi “Heim” e per il quale non esiste purtroppo in italiano un nome altrettanto preciso.
Un Altrove poco lontano dalla mia “home” (che è la Liguria) ma molto diverso da essa è l’entroterra laziale. La Tuscia romana, ad esempio, ovvero la regione intorno a Viterbo.
Tuscia degli Etruschi, colline sulle quali, isolati e ben distanti fra loro, svettano borghi bruni di pietra e mattoni che trasudano Medioevo, collegati da strade quasi senza traffico che attraversano foreste disabitate d’uomini e popolate di animali selvatici. La Selva del Lamone sta al confine con la Toscana; trascorrervi un’intera notte di primavera può essere un’esperienza emozionante: dentro il folto degli alberi il buio è totale ed è appena rischiarato dalle stelle nelle radure o negli slarghi della strada. La notte del Lamone è la notte vera, quella che Dio immaginò quando creò le stelle e la luna, quella dove acquistarono la loro vista così acuta gli Elfi tolkieniani del Signore degli Anelli, quella dove “come cambia i colori qui / la luce della Luna” come canta Ivano Fossati. Tutt’altra cosa rispetto alle notti cittadine, piene di luci artificiali e di rumori umani. I rumori, già, i suoni della Selva del Lamone… Grugniti, squittii, ragli, grida animalesche nel senso letterale del termine circondano le orecchie dello spaurito viandante che si trovi ad attraversare le foreste della Tuscia in una notte senza luna. La sensazione (veritiera) di essere circondati da innumerevoli specie animali che vivono la loro vita notturna, la loro movida, totalmente indifferenti se non ostili all’uomo; sono le “fiere” dei miti pagani e delle fiabe e sentirle vivere e “parlare “ a così breve distanza intorno dà la sensazione di trovarsi davvero dentro la Natura, là dove l’uomo è un di più, un inutile e poco significante accidente dell’evoluzione.