Descrizione
Come si distingue un’isola da un continente? Geograficamente è facile: se l’influenza climatica del mare si fa sentire sino nell’interno, quella terra è un’isola.
Se essa è così vasta che ciò non avviene allora è un continente; sono fondamentalmente le dimensioni dunque a distinguere geograficamente l’una dall’altro. Ma culturalmente? Da un punto di vista meno geografico ma più umano? Qui il discorso si complica, perché vi sono nel mondo isole che per condizioni culturali, storiche, economiche e ambientali lasciano il mare là dov’esso è, intorno alle coste, e nell’interno elevano al cielo un vero “continente” di natura e di cultura assolutamente non marittime. La Sardegna è la seconda isola del Mediterraneo per estensione ma da un punto di vista più ampiamente culturale e ambientale è un autentico piccolo continente, con insediamenti umani storicamente e profondamente legati alla terra e con “uno dei patrimoni arborei monumentali più ricchi e strabilianti” d’Europa. E questa è la sua grandezza, il suo valore, un valore ben maggiore di quello turistico estivo balneare che tutti da più di mezzo secolo le riconoscono grazie all’affascinante bellezza delle sue coste e del suo mare. La Sardegna è molto più che un’isola ed è immensamente di più che una mera isola-per-le-vacanze. Questo i sardi lo sanno, ovviamente, ma “in Continente” alcuni lo ignorano. E non sanno cosa si perdono.
Le stagioni sono quattro e l’estate non è la migliore per visitare la Sardegna. Assai preferibile è la primavera, quando tutta l’isola si ammanta di un tappeto ininterrotto di erba verdissima che copre ogni lembo di terreno fra le strade e nelle città, nelle campagne, sotto gli alberi dei boschi e lungo le spiagge meravigliosamente prive di bagnanti e automobili; e dentro quest’erba spuntano milioni di fiori policromi e profumati. Erba fiorita a perdita d’occhio, pecore al pascolo brado, muretti a secco, nuvole spinte dal vento… la Sardegna primaverile assomiglia più all’Irlanda che a se stessa in versione estiva.
Viaggiare è un’attività dello spirito; è una disposizione dell’anima, qualcosa di diverso e di più complesso del semplice “andar là” – sia questo “là” la spiaggia di Rimini o il deserto del Taklamakan. Non occorre però chiamarsi Bruce Chatwin per riuscire a essere almeno un po’ viaggiatore e non solo un semplice turista; può bastare un trenino rumoroso e rollante che scarroccia attraverso le campagne e le foreste del profondo interno della Sardegna …
Nel 1883 la rete della Compagnia Reale delle Ferrovie Sarde era costruita e funzionante ma restavano prive di collegamento numerose zone dell’isola quali le Barbagie, l’Ogliastra, il Sulcis, il Nuorese, la Gallura; mancavano i collegamenti fra queste terre e i porti e quindi col resto del mondo. Si decise perciò di progettare e realizzare con criteri economici una rete ferroviaria complementare per collegare quelle regioni isolate e impervie alla ferrovia principale appena nata. Si adottò lo scartamento ridotto con uso di materiale rotabile piccolo e leggero e si tracciarono linee che seguissero l’andamento piano-altimetrico, soluzioni queste che resero più agevole la penetrazione anche nelle più montuose zone interne. Senza scendere in troppi dettagli ingegneristici e storici, basti dire che la legge 3011 del 22/03/1885 diede “facoltà al Governo di far concessioni di strade ferrate secondarie nell’isola di Sardegna” e già meno di tre anni dopo, il 15 febbraio 1888 entrarono in funzione le prime due linee, la Cagliari-Isili a sud e la Monti-Tempio a nord. Entro pochissimi anni si inaugurarono le altre linee (Bosa-Macomer-Tirso-Nuoro, Sassari-Alghero, Isili-Sòrgono, Ozieri-Tirso, Mandas-Arbatax); nel 1894, a conclusione dei lavori, la Società Italiana per le Strade Ferrate Secondarie della Sardegna (SFSS) si trovò a gestire una rete di 590 km di ferrovie secondarie, realizzate (o tempora, o mores!) con tre anni di anticipo sulle scadenze previste. Le linee secondarie sarde crebbero e si allungarono col passar dei decenni, fra nuovi ingressi di capitale e fusioni societarie, sino a costituire una rete di quasi 1000 km di strade ferrate attraverso tutta l’isola. Arrivò poi la seconda guerra mondiale che portò bombe e distruzione su molte stazioni e tratti di linea, e ne seguì il boom economico degli anni ’50 che portò al trionfo – in Sardegna come in tutta Italia – del trasporto su gomma a discapito di quello su rotaia. Iniziò dunque lo smantellamento di alcune linee e il progressivo trasferimento alle Ferrovie dello Stato delle competenze delle due società ferroviarie isolane allora esistenti. Dal giugno 2008 però la rete ferroviaria secondaria dell’isola è tornata a essere amministrata dai sardi attraverso l’Azienda di Trasposto Regionale della Sardegna SpA, e qui ha inizio la sua seconda vita. Perché oggi queste linee a scartamento ridotto antiche di più di un secolo (ne restano oltre 600 km) hanno parzialmente mantenuto le originarie ragioni d’essere di collegamento verso regioni isolate: anche se non portano più la posta e le merci né i ferrovieri si occupano del rifornimento delle cisterne dell’acqua, questi piccoli treni continuano a svolgere servizio di trasporto pubblico locale su alcuni tratti, mentre lungo altri si sono messi al servizio dei turisti ed escursionisti sardi, continentali e stranieri che desiderano conoscere l’isola attraverso punti di vista insoliti e inattesi. Percorrendo a bassa velocità la Sardegna interna i Trenini Verdi attraversano paesaggi di vera wilderness poco o per nulla accessibili con altri mezzi; sono un modo al tempo stesso antico e moderno, obsoleto e rinnovato di conoscere il territorio. Il treno attraversa territori ricchissimi di vegetazione e scarsi di popolazione, dove la linea ferrata, i ponti e le piccole stazioni – alcune restaurate e colorate, altre un po’ in abbandono – appartengono al paesaggio esattamente come i campi, le foreste, i laghi artificiali e le creste rocciose delle montagne (come altitudine assoluta i rilievi della Sardegna andrebbero piuttosto definiti “alte colline” ma l’aspetto roccioso, il paesaggio naturale, la scarsità o l’assenza di manufatti umani li rendono assai più “montagne” di quanto formalmente siano). …