All’inizio del passaggio pedonale che dalla valletta Puggia, ove sorge l’osceno edifizio che ospita i dipartimenti di Fisica, Chimica, Matematica e Informatica dell’Università di Genova, mena lo studente e il docente verso corso Europa, svalicando il blando crinale di San Martino, vive un ciliegio selvatico che tutti gli anni, ai primi sentori di primavera, esplode in un trionfo di fiori bianchi. Cosa che in questi anni di effetto serra vero o presunto succede intorno al 10 di febbraio. Quest’anno, poveretto, ne sta vivendo di cotte e di crude. Non solo lui, in vero, visto che di ciliegi in fiore ce ne sono ormai parecchi in giro per la città, e pure i più rari mandorli e peschi sono o stanno fiorendo. E in certi anfratti riparati, come ogni anno, ci sono già le prime foglie verdi chiare. Ma va beh, divago. Torno al dunque.
Dicevo del ciliegio di Fisica. Il più aitante dei tre che vivono lì.
Beh, st’entusiasta della vita aveva il primo, unico e solingo fiore aperto già il 17 gennaio, proprio il giorno della prima nevicata. Avrà battuto i petali dal freddo, sto fiore un po’ belinun! Fatto sta che la neve di gennaio passa, il Nostro fiorisce tutto, e si becca l’altra nevicatona, quella della notte tra martedì 27 e mercoledì 28 febbraio. Ma ieri, sciolta la neve e tornato (provvisoriamente, ché ora già ripiove) il sole, rieccolo lì tutto splendente, più bianco di un detersivo, fitto di fiori che se uno stringe l’occhio e taglia via il DiFi dal campo di vista gli sembra di essere nei prati di Serra Riccò a Pasqua, con tutto quel bianco sui rami e l’erba verde giovane intorno al tronco. E gli vien (anzi, alla genovese: ci vien voglia) di mangiare fave e salame di Sant’Olcese con un bicchiere di bianco della Val Polcevera, che a Bolzaneto c’è Bruzzone che lo vende, e sembra un bel posto pieno di vini liguri e non solo e poi ci torno quando c’avranno anche il rosso, della val Polcevera, a fine marzo.