È solo marzo ma San Francisco ha già quell’aria inizioestiva che anche in Liguria ogni tanto càpita fuori stagione e che fiorisce i ciliegi e sveglia gli scoiattoli, e gli orsi, se ci fossero. Ma anche gli uomini se ne rallegrano. Dal Point Cliff parte un sentiero che si inoltra nel vasto parco che arriva al Golden Gate Bridge, forse cinque chilometri pedonaljoggingciclabili. Ne ho percorso un pezzo. E come pensavo, ma più di quanto pensassi, sono stato felice. Beh, quasi. Localmente felice. Una felicità olfattiva. Che con gli occhi ok, vedi i pini sul mare, il ponte tutto rosso, le colline oltre il medesimo, le barche a vela e le onde, bello bravi. Ma gli odori, l’odore della primavera-estate era esattamente quello che ci voleva. Sullo sfondo l’aroma “salso” del mare, che con la brezza ti entra nelle froge (se sei un cavallo) e ti profuma la faccia e le braccia e la barba, che poi senti il salino anche dopo due ore se tiri su col naso, un po’ come dopo che vai a cavallo e c’hai l’odore di bextin addosso fino a sera e la doccia non te lo toglie. Ma l’aroma salso è meglio. Appena sovrapposto ad esso, anzi mescolato insieme, il profumo dei pini, quello tipo Pino Silvestre Vidal, te la ricordi la pubblicità col cavallo bianco che galoppava e la musica tàda dàda dadàn, eri una bambina piccola allora. Il profumo di pinete sul mare fa estati di gioventù, fa Maremma per niente maiala, fa l’Argentario dell’80, una giornata passata in giro sulle strade del promontorio dopo una notte di guida su da Amalfi e Uge che stava male per il caldo e si sdraiava sull’asfalto e diceva che vedeva Santa Teresa che pulisce i mobili e noi ridevamo e io gli facevo le foto con le gambe in alto. Fa una notte all’addiaccio sotto lecci rutilanti di uccelli canori notturni a Piombino nell’86, fa un pomeriggio su una spiaggia maremmana con Silvia sotto i pini con un libeccio che portava via e i cavalloni, altro che profumo salso sulla pelle, lì erano croste di sale che ti venivano addosso. Poi dal terreno sale su l’odore della terra umida, molto umida, che le nebbie notturne devon essere proprio nebbiose, ohibò. Questo è un odore più terragnolo, l’odore del mio bosco di Ormea dopo la pioggia, di innumerevoli gite e campi con gli scouts, e mi ricorda i jeans sporchi di terra, che mi ci pulivo le mani su dopo che avevo preparato la merenda con la marmellata per i ragazzi. L’odore del Rio Molinassi, su pei boschi della Val Polcevera dove andavo per la tesi, fra scroscìi di acque e stormir di fronde, dove si faceva il bagno, e giocavamo ad arrampicarci sui massi di basalto, con Lele e Paola, e a fotografarci dal basso che sembrava fossimo a chissà quali altezze.
Da poco più sopra si diffondono le fragranze delle erbe selvatiche, con o senza fiori. Camminandoci quasi dentro le sento bene che mi avvolgono. Questa è la Sardegna, i campi incolti che affiancano le spiagge, dove l’erba secca si mescola ai fiori e le cicale, càntano, rònzano, zìrlano, chiùrlano, gnònfalo, spèppolano che cavolo di suono fanno le cicale e dico ecco, questa è l’estate io sono qui Dio ti ringrazio, e sul Point Cliff non ci sono le cicale, forse è troppo presto, ma le fragranze sono le stesse e mi vien voglia che diventi agosto ma quest’anno non come l’anno scorso, che in Kamciatka c’era poco sole e gli orsi non speppolano. Belli, ma stavolta forse vorrei sentire qualcuno che gnonfala nell’erba inaridita e gialla. E poi c’è un odore come di menta, che è il giardino di casa del nonno a Ormea, anni fa, ché ora la menta non c’è più, e mi manca tanto anche la lavanda, che stava sotto il vecchio pero, quello che poi l’han tagliato, e il cespuglio di lavanda era profumatissimo ma il nonno lo volle togliere perché attirava troppe api, ma da allora ogni volta che sento questo profumo mi ritrovo bimbo otto-dieci-dodicenne a giocare in giardino con Silvana e la Sandra e Ugo e Serena (chissà che fine han fatto Ugo e Serena, li riconoscerei?) che quando veniva la fine di settembre e si doveva tornare a Genova eran tristezze e magoni per due giorni. Anche tre.
Mezz’oretta di profumi, e ho rivissuto dieci estati tutte insieme. Canticchiando, chissà mai perché, Luce dell’est, a te che sei il mio presente, a te la mia mente.
Al ritorno ho preso l’autobus in La Playa Street.
(Scritto il 1 marzo 1994)