Quest’estate ho fatto un salto (anzi, un paio di salti) in Valle d’Aosta al Festival musicale Combin en Musique. È una serie di eventi musicali con qualche divagazione “off” in altre forme di espressione artistica, organizzati da musicisti e operatori culturali genovesi in tre piccoli comuni non lontani da Aosta: Ollomont, Valpelline, Doues. Ci sono musicisti famosi, tipo Dado Moroni, e altri con un fanclub più ristretto; mi sono goduto l’ascolto della musica e dei diversi modi di esprimerla, la visita a una mostra di pittura, i panorami dei prati a 2000 metri con le montagne intorno, le chiacchierate e le cene con gli artisti e gli organizzatori.
Il 5 settembre, come evento post Festival, c’è stato un concerto “unplugged” (cioè soltanto voce, chitarra e bicchiere di vino rosso valdostano Torrette DOC) del cantautore genovese-torinese Federico Sirianni. Con elegante modestia lui si è definito “di nicchia” e ha presentato una delle canzoni in scaletta come il suo “pony di battaglia” non essendo così famoso da potersi permettere un cavallo vero. Però per temi trattati e per stile musicale è a pieno titolo membro della cosiddetta “scuola genovese”, quella di Fabrizio De Andrè, Ivano Fossati, Gino Paoli, Bruno Lauzi, e via andare sino a Max Manfredi. Concerto all’aperto nella piccola piazza di Doues, pubblico su panche di legno e artista su sedia stile Ikea, i monti intorno, aria fresca, poche nuvole dai colori settembrini.
Prima l’avevo ascoltato una volta sola, l’estate precedente al Ducale a Genova durante il Festival Internazionale di Poesia e mi aveva incuriosito l’anticipazione che aveva fatto in merito a un suo lavoro in corso d’opera, Maqroll, ispirato al protagonista di un’opera dello scrittore Álvaro Mutis (quello, en passant, da cui De Andrè ha tratto la sua “Smisurata preghiera”); dopo lunga attesa finalmente ‘sto Maqroll è uscito in forma di breve libro + cd musicale e a Doues è stato presentato.
Maqroll il gabbiere, ovvero il marinaio addetto alle manovre delle vele in cima ai pennoni delle navi; quello che sulla nave vede per primo, vede più lontano. Maqroll testimone dell’incollocabilità, spaesato, sempre in movimento da un porto all’altro come Ulisse che – Dante docet – dopo l’arrivo a Itaca decide di imbarcarsi di nuovo “per la sola ragione del viaggio: viaggiare” (questo è Faber), sempre in movimento da un naufragio all’altro come Sindbad, anche se la barca “non se la sente ancora di affondare”.
Non sono un critico musicale e molti critici hanno scritto a lungo su Federico Sirianni, quindi butto giù solo due miei pensieri da dilettante e amen: nella sua chitarra e nella sua voce da narratore cantastorie, bassa e calma, ho trovato argomenti (i fighi dicono “tematiche”) e sonorità diciamo fossatiane e tardogucciniane, squisite citazioni che rimandano a Guccini, De Gregori, Fossati sparse qua e là con leggerezza e perfino riferimenti… diciamo evangelico-deandreiani (“quello che hai da fare, acqua cattiva, fallo presto”, che porta alla Dolcenera di Faber e al dialogo tra Gesù e Giuda alla fine dell’Ultima Cena).
Apprezzabile il rimando alle due colonne portanti della vita di ogni artista: “Pane e passione”; che in realtà sono portanti per ogni essere umano, ché senza passione anche il lavoro più bello e remunerato può diventare odioso.
Credo di comprendere il Nostro anche quando dice “Scrivo per sopravvivere e per non morire” (e mi è venuto in mente Elias Canetti).
Molto bella – a conclusione del concerto – “Dio dei baraccati”, i senzatetto dei portici di Via Sacchi a Torino: “Dio, se esisti fai quello che puoi e nel tuo business plan mettici anche noi”.
Mi piace “Dio, fai quello che puoi”. Ma questo sarebbe un altro discorso, magari un’altra volta…