Nell’accogliente cornice del centro storico di Cuneo, capoluogo della Provincia Granda, insomma, lungo tutta via Roma fino a Piazza Galimberti, ovvero la main street della Cuni veja, palazzi con portici bassi dai pilastri tarchiati a sorreggerne le arcate, very old Piemonte, balconcini in ferro battuto nero, e in mezzo alla strada bancarelle bancarelloni e “stands” dove si va beh i marroni e le castagne, ma i dolci, i vini, le marmellate, I FORMAGGI, la frutta, le patate, le erbe, le papere e gli asinelli e i vitellini, i libri scritti in occitano (peraltro facilissimo da leggere se solo si mastica un po’ delle altre lingue romanze – c’è dentro un po’ di tutto nella fonetica e nella grafia, dall’italiano al francese al catalano, persino suoni portoghesi..), insomma tutto il Piemonte di montagna a dar bella mostra di sé.
E una marea di gente che passeggiava guardava acquistava annusava sorseggiava commentava conversava in numerosi accenti e dialetti diversi, qualche straniero pure, insomma è stato il trionfo dell’idea platonica della prodottotipicità, una città al servizio dei produttori delle “cose buone di una volta”, oggi peraltro assai opportunamente forniti di siti internet, email, certificazioni biologiche e presidi Slow-Food.
Mi ci son trovato benissimo, lì nel centro di una delle città più piemontesi del Piemonte che è mezza mia patria fifty-fifty con la Liguria, e così circondato da tutte quelle delizie eno-gastronomiche “locali” e “tipiche” che mi piacciono tanto, sia dal materiale punto di vista dello stomaco che da quello più intellettuale della mente. Però mentre sguazzavo fra tome di malga e liquori d’erbe della val Maira mi chiedevo se tutto questo ambaradan, oltre ad essere l’espressione trionfante della solida tenuta (se non addirittura della rivincita) dei valori tradizionali non-globali eccetera sul appiattimento culturale del mercato globale rieccetera, non fosse anche semplicemente una moda. Il Castelmagno stagionato e le castagne di Mondovì ottengono tanto successo perché sono buoni e sani ma anche perché ci son tanti radical-chic che se la tirano da amanti degli alimenti naturali – carissimi – perché se dici che fai la spesa al Lidl fai la figura di uno che avvelena la famiglia o del poveraccio che non arriva a fine mese con lo stipendio. Boh, non so. Io so di essere un po’ radical-chic e intellettualmente con la puzzetta sotto il naso, oltre che sincero amante dei formaggi dei pastori; Donatella forse è più concreta: adora i salumi e sbava per quelli artigianali-locali-tipici-genuini ma il suo caffè solubile lo compra al Lidl o all’Eurospin senza problemi. Comunque i salami di Monsù Pautasso e le patate di Entracque erano lì e c’era la gente in fila a comprarli. Ciò basti.