Bisogna arrivarci dal nord, con gli occhi e la memoria pieni dei colori e dei profumi dei boschi e del mare della Costa Smeralda. Che vien da pensare che la Sardegna sia tutta un trionfo di verde, il verde del mirto e delle sughere, il verde del mare, coi suoi riflessi così tropicali.
Invece la Sardegna è anche terra di steppe, di erba secca e terra bruciata dal sole, di grossi borghi color mattone persi nel nulla, con strade che svaniscono nel deserto giallo del Campidano. Fa un certo effetto, passare dal trionfo verdeblu della Gallura al paesaggio quasi da pastore errante dell’Asia della pianura fra Oristano e Cagliari. Sembra un’altra isola, un altro mondo.
Se si esce dalla Carlo Felice a Sanluri, si prende la statale 197 verso Villamar, Barùmini, Gèsturi e si sale a tornanti verso la Giara. Sa Jara manna, la Giara grande. Un altopiano basaltico, dal cui ciglio il grosso borgo di Gèsturi appare basso e lontano, una pianura a 600 metri sul mare, mirti verdissimi, erbe secche nel pieno dell’estate ma fiorite in primavera, vacche e tori al pascolo brado, sughere a perdita d’occhio, coi loro tronchi denudati e rossicci, e pile di corteccia accatastata dopo la raccolta e pronta ad essere caricata sui camion, il sughero la ricchezza della campagna sarda, non c’è plastica in grado di sostituirlo.
Qui ce n’è un’altra, di ricchezza, oltre al sughero: i cavallini. Arcinoti, i cavallini della Giara di Gèsturi: piccoli, selvaggi, diffidenti, dalle ignote origini storiche e biologiche, formalmente hanno dei proprietari ma vivono bradi sull’altopiano, pascolando nella macchia e nascondendosi nel sughereto rado. Vengono turisti da mezz’Europa a vederli, o meglio a cercare di scorgerli. Si va a cercare i cavallini della Giara come in altri boschi si va per funghi: “andiamo di qua, passiamo di là, magari laggiù li troviamo”. Si può andare in cerca dei cavallini a piedi, in mountain-bike, a cavallo, in fuoristrada. A cavallo è meglio, si è più alti e più veloci che a piedi, più silenziosi che in macchina, ci si stanca meno che in bici (va be’, il sedere, un po’, dopo un’ora di sella, se non si è abituati… ma poi passa). Al passo fra un sasso e un cespuglio, al piccolo trotto lungo la strada bianca, e attenti alla testa sotto i rami delle sughere, i cavalli non ci badano alle zucche dei cavalieri! E Gianni, il papà-padrone dei cavalli, porta in giro i clienti parlando e raccontando vita, morte e miracoli della Giara, di chi ci vive e lavora intorno, e dei cavallini, selvaggi e sfuggenti come elfi del bosco.
Perché i cavallini se ne infischiano dei neosposi liguri che hanno lasciato gli agriturismi e le spiagge della Costa Smeralda per salire quassù, a conclusione del loro viaggio di nozze; non sanno nulla di quella coppia di parigini di mezza età che posteggiano il camper e montano a cavallo, la prima volta nella loro vita, per vederli da vicino; ignorano i quattro ragazzi milanesi che vanno a scovarli in bici, perché uno di loro di salire su un cavallo “vero”, così alto, proprio non ne vuol sapere. E chissà dove sono ora quegli olandesi che hanno lasciato l’auto proprio dove gli operai caricano le cortecce di sughero sui camion…
Lo stallone è nero e attento, osserva i cinque cavalieri che si avvicinano e quando decide che sono troppo a ridosso (30 metri?) un breve nitrito e la sua famigliola di giumente coi piccoli si raduna, lui scatta verso il bosco e loro dietro, in salvo, lontano da quegli intrusi curiosi… Si, sono piccoli, mica come i ponies, ma insomma, piccini. Giada, la cavalla che mi porta in giro, non è enorme ma appare ben grossa di fronte a loro. Giada ha partorito da poco, allatta ancora il puledrino, che ci segue per tutto il giro, e nei momenti di sosta si attacca ai capezzoli e succhia, indifferente a me che sono in groppa a sua madre.
Vita felice, quella dei cavallini della Giara? Eh! Parrebbe, ma mica per tutti. Non parlo di quelli che cadono sotto i colpi dei cacciatori di frodo, il problema peggiore per gli elfi della Giara è la siccità: l’altopiano è alto e arido, le uniche riserve d’acqua sono alcuni laghetti pluviali che nelle stagioni umide forniscono da bere quanto basta per i cavallini e per i bovini che vivono quassù, ma d’estate si prosciugano, si restringono, e l’acqua non basta per tutti. E qualcuno, ogni anno, muore di sete. Cinquanta? Dicono lassù che una cinquantina di cavallini, quest’anno, rischia la morte per sete.
E, a parte le considerazioni sul destino personale dei cinquanta morituri, questa mi pare un’offesa a un patrimonio naturalistico e culturale cui qualcuno, potendo, dovrebbe porre rimedio. I cavallini della Giara di Gèsturi sono una ricchezza per l’Italia e per la Sardegna, sia in senso lato, giacché la bellezza del mondo sta anche e soprattutto nella sua varietà, e l’unicità dei cavallini è un contributo alla bellezza del mondo, sia in senso stretto, diciamo pure in senso utilitaristico: i cavallini della Giara oggi più di ieri e senza dubbio domani più di oggi, richiamano appassionati e turisti. La Sardegna ha trovato nel turismo marino una delle sue maggiori ricchezze, ma il suo entroterra non è da meno. Sa Jara è un patrimonio da valorizzare e far conoscere. E per valorizzarlo e farlo apprezzare al meglio, a mio parere, occorrerebbe anche provvedere alle necessità elementari dei suoi unici e affascinanti abitanti, i cavallini. Ai quali, in fondo, serve solo un po’ più di acqua nei paulis, i laghetti nei quali si abbeverano, durante i mesi di siccità.
(scritto il 3 settembre 2001. Pubblicato su “Viaggia l’Italia” n°30, autunno 2005, Clementi Editore, Genova)