Nel mare ci sono i coccodrilli: è il titolo di un libro che fu regalato da non ricordo chi (probabilmente qualcuno presente tra Voi Lettori, a cui chiedo scusa) a me o a Donatella qualche Natale fa. La storia di un ragazzo afgano, Enaiatollah Akbari, che a nove anni di età viene costretto da sua madre a lasciare la famiglia perseguitata dai talebani per andare…. dove andare? Bah, fuori dall’Afghanistan, verso – forse – un destino meno cupo. Dopo otto anni trascorsi via via in Pakistan, Iran, Turchia, Grecia, arriva in Italia dove riesce a stabilizzarsi. Arriva in Italia avendo prima percorso tutto il cursus honorum (et disonorum) di qualsiasi migrante che cerca di raggiungere l’Europa dall’Asia. Lui è di quelli che ce l’hanno fatta ed è riuscito a raccontare la sua storia, con un tono sempre leggero, ironico e autoironico anche nel narrare i momenti più tragici e difficili, uno stile di narrazione piacevole da leggere pure per me che non sono un appassionato di biografie e storie personali. Il libro si conclude con la telefonata che Enaiat riesce a fare a sua madre rimasta nel villaggio afgano: né lui né sua mamma riescono a parlarsi, travolti dall’emozione di ritornare in contatto dopo otto anni senza essersi visti né sentiti, otto anni senza sapere nulla l’uno dell’altra.
Due citazioni dai pensieri di Enaiatollah; la prima mi sembra una buona risposta ai tanti europei, me compreso, che con raziocinio e buon senso si chiedono “ma questi che ci vengono a fare in Europa dove nessuno li vuole?”; la seconda si riferisce a due persone che si sono dimostrati – in tempi e luoghi diversi – inaspettatamente e gratuitamente gentili con questo ragazzo afgano spaesato e solo:
“la speranza di una vita migliore è più forte di qualunque sentimento. Mia madre ha deciso che sapermi in pericolo lontano da lei ma in viaggio verso un futuro migliore era meglio che sapermi in pericolo accanto a lei ma nel fango della paura di sempre”
“Ho pensato che [questo ragazzo italiano] forse era un parente della nonna greca; tanta gentilezza secondo me la si tramanda solo con l’esempio”.
La terza e ultima citazione è di un libro ben differente ma credo che non sia per nulla fuori tema: si tratta del versetto 13 della sura 49 del Corano: “Oh uomini! Vi abbiamo creati da un maschio e una femmina, e abbiamo fatto di voi popoli e tribù, affinché vi conosceste a vicenda. Presso Allah, il più nobile di voi è colui che Lo teme. In verità Allah è sapiente e bene informato.”
Ecco, conoscersi a vicenda; conoscersi, conoscerci, questo è quello che siamo chiamati a fare reciprocamente tra popoli e tribù del mondo. Non a ignorarci, disprezzarci, odiarci, talvolta ucciderci per le reciproche differenze come facciamo da sempre, da Caino e Abele a Kim Jong-un e Donald Trump, Abu Bakr al-Baghdadi e Marine Le Pen…
(Scritto il 26 aprile 2017)