Io dico, seguitando, che sono numerose nel “mondo Dall’Aglio” le vite che pur potendo apparire minori sono comunque nobili e interessanti.

Alcuni di voi già sanno che nei monti di Ormea c’è “il Bosco” che mio padre acquistò trentacinque anni fa per il puro e sanissimo piacere di possedere un terreno pieno di alberi. Un bosco, appunto. Tra le cose ereditate da mio padre per genetica, per educazione, per cultura, per successione c’è la passione per gli alberi quindi io lo ringrazio spesso per avermi reso proprietario di un pezzo di questo “Bosco”; l’altra parte è di mia sorella. Mio padre ci passò millanta pomeriggi estivi nel suo bosco, a tagliar legna, a fumare seduto all’ombra (e a farsi venire, fumando, il cancro ai polmoni, ma su questo sopravvoliamo), a conversare con mia mamma che lo accompagnava (e talvolta anch’io, e anche Donatella), a respirare aria buona.

Nel Bosco c’è la Baita: un’ex stalla a cui fu ricostruito il tetto e il piano superiore, ci dormimmo un paio di volte con amici (siete qui tra Voi Lettori) e sacchi a pelo quando si era più giovani, mio padre ci mise un tavolo e una stufa a legna ma non divenne mai un luogo dove abitare, tranne appunto quelle due notti accampate: senza elettricità, senza acqua tranne la vasca esterna [vedi sotto] e raggiungibile in auto solo con la Panda 4×4. Però divenne una dimora sontuosa per i ghiri che presero dimora nei buchi e negli anfratti delle tegole, delle pietre e dei mattoni. Mio padre una volta decise di scacciarli “rovinano i muri e sporcano”, cercò di affumicarli per costringerli a fuggire, quelli uscivano dai buchi dei muri tossendo, scendevano a terra, uscivano dalla porta, si arrampicavano sul vecchio melo lì vicino e dai suoi alti rami scendevano sul tetto e rientravano… Mezz’ora di questo giochetto poi mio padre si arrese. Da allora nessuno ha mai più provato a disturbare i ghiri; nella prima delle due sere-tra-amici in cui dormimmo lì dentro uscirono a frotte a scrutarci, camminando curiosi sui muri con le loro code folte; poi verso mezzanotte rientrarono nelle loro tane e buonanotte.

Non so quanti siano e a che generazione siano arrivati. Quando vado a salutare il Bosco tiro sempre due colpi di ramazza dentro la baita per pulire le tracce delle loro attività. Già da molti anni si sono fatti un buchetto circolare in una finestra di legno, immagino per poter uscire ed entrare comodamente senza dover passare dal tetto. Un mattino ne ho visto uno, probabilmente disturbato dal mio andirivieni, o forse sofferente d’insonnia, è spuntato da non so dove a guardarmi aggrappato al muro, ci siamo fatti due chiacchiere telepaticamente poi si è convinto che non ero pericoloso perché è tornato a rintanarsi con la massima calma, senza fretta.

(Scritto il 28 luglio 2017)

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