“Mi è andato il cane sotto il camion quella sera, ho pianto come un vecchio sopra una bandiera, se fosse stato un compagno basco avrei pianto di meno” Così dicevi e mi chiedevi “Professore, dimmi se sono un qualunquista, un uomo a ore…”
Roberto Vecchioni: Canzone per Francesco, dall’album Elisir del 1976. Dove Francesco è Francesco Guccini, ça va sans dire. 

Nutro grandissima stima per Guccini ma qui mi pare faccia una figura da stoltolone. Uno stolto “impegnato” come andava di moda in quegli anni, ma sempre stolto era. Questo suo dubbio “sono un qualunquista, un uomo a ore?” mi pare una sciocchezza perché è ovvio che ogni essere umano è emotivamente più coinvolto nelle disgrazie degli esseri viventi a lui più vicini piuttosto che in quelle di persone lontane e sconosciute. E per Guccini il cane era emotivamente molto più vicino a lui di qualsiasi “compagno basco” a cui lo univa solo un’affinità ideologica. Cioè teoria e razionalità, mentre il legame col cane era emotivo, più profondo, più esistenziale. 

Succede lo stesso per chiunque in qualsiasi occasione, privata e pubblica, locale e internazionale. Certo, noi siamo Homo sapiens, mica bestie qualsiasi; noi cogitamus ergo sumus, noi ci distinguiamo dagli (altri) animali perché abbiamo raziocinio e intelligenza e non ci lasciamo guidare solo dall’istinto. Siamo corpo ma anche mente e spirito, magari anche anima, forse addirittura immortale. Quindi si dà per scontato che nelle nostre scelte si debba perseguire al meglio la via della ragione, si debbano fare scelte razionali e “giuste”. 

Giuste in che senso? Beh, ad esempio il contesto culturale, religioso, etico in cui viviamo noi europei ci insegna che tutti gli uomini sono uguali e quindi se alcuni miei simili (alcuni miei fratelli, per usare la terminologia cristiana) scappano dalla loro patria in guerra, dalle bombe e dalla fame, la decisione razionale, etica e “giusta” sarà di accoglierli e dar loro conforto materiale e spirituale. Che abbiano la pelle bianca e parlino una lingua indoeuropea e provengano dalle pianure a nord del Mar Nero, o abbiano la pelle nera, parlino lingue africane e provengano dalle steppe a sud del Sahara non fa differenza, siamo tutti Homo, tutti “fratelli”. Tutti accolti a braccia aperte. 

Invece si fanno comitati d’accoglienza ai bianchi che fuggono in pullman dall’est Europa e pazienza se quelli neri che fuggono dall’Africa annegano in mare. Non mi piace essermi accorto che da quando c’è la guerra non si parla quasi più dei migranti africani. Ma la differenza di attenzione verso migranti africani e profughi ucraini non è – secondo me – un problema di governi, di partiti, di destra e di sinistra… è una questione di emotività, di irrazionalità animale, quella che condividiamo ad es. con gli elefanti e le scimmie e le api che si prendono cura della propria famiglia, il proprio branco, il proprio alveare ma si disinteressano a ciò che accade ai loro simili distanti e sconosciuti. 

Credo che se i membri di una specie vivente si facessero carico (da soli o in gruppo) del dolore di tutti gli altri membri della stessa specie, questa non sopravvivrebbe a lungo nella biosfera. La Natura lascia indietro i deboli e indubbiamente il metodo funziona, visto che la vita esiste sulla Terra da più di tre miliardi di anni e ha già superato almeno cinque “estinzioni di massa” [la sesta, se avverrà, sarà nostra responsabilità ma comunque avvenga, per sconvolgimento climatico o guerra atomica, sono sicuro che la vita nel suo senso generale ne sopravvivrà. Magari malridotta ma andrà avanti e si riprenderà, anche se forse “noi non ci saremo” – Guccini e i Nomadi, 1966]. 

Insomma, mi irrito quando vedo la differenza di trattamento che l’Europa dimostra verso l’uno e l’altro tipo di profughi-migranti ma capisco che succeda così e trovo impossibile immaginare che qualcosa cambi. Non nelle decisioni dei governi, proprio nei pensieri e nei sentimenti dei cittadini. Siamo animali e vogliamo proteggere il nostro branco, la nostra mandria, il nostro gregge e inevitabilmente percepiamo gli ucraini più “nostro branco” degli eritrei e degli afghani. Non è “razionale”, non è “giusto”, non è “cristiano” ma è “naturale”.

Poi, se un giorno ci troveremo a tu per tu col Creatore del Mondo penseremo a cosa dirgli per giustificare le nostre scelte e non scelte, ma qui sulla Terra funzionerà sempre così. Ne sono certo. 

Morale della favola: meglio trovarsi sotto le bombe in Ucraina che in Yemen, dove in sette anni di guerra si calcolano quasi quattrocentomila morti e quattro milioni di sfollati ma a nessuno gliene frega nulla. Nemmeno a me, se ci penso bene…

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