Il tacchino induttivista è un personaggio celebre della filosofia della scienza, sebbene un po’ meno famoso del gatto di Schrödinger, eroe della fisica quantistica. Questo goffo uccello, che ha i curiosi nomi di bibin in dialetto genovese e di pitu in piemontese ed è chiamato gluglu da Obelix in “Asterix in America”, è il protagonista di una metafora ideata dal filosofo Bertrand Russel e ripresa da Karl Popper: ogni giorno alle 9 del mattino un allevatore americano di tacchini portava da mangiare ai suoi animali; uno di questi era un tacchino particolarmente saggio e non fu precipitoso nel trarre conclusioni da questi eventi che si ripetevano apparentemente sempre uguali, quindi eseguì molte osservazioni badando che avvenissero in circostanze diverse: di mercoledì e di sabato, quando splendeva il sole e sotto la pioggia, col caldo di agosto e col gelo di novembre, arricchendo vieppiù il suo elenco di osservazioni nelle condizioni più differenti. Infine un giorno si ritenne soddisfatto del suo lavoro e fece la seguente affermazione induttiva: “Ogni giorno, alle 9 del mattino l’allevatore mi dà da mangiare”. Purtroppo per lui questa convinzione si rivelò falsa il 24 dicembre, quando alle 9 del mattino l’allevatore venne a prenderlo per sgozzarlo e cucinarlo per il pranzo di Natale.
La morale scientifico-filosofica della triste storia è che per quanti casi si possano enumerare nel corso di un ragionamento induttivo (che dall’osservazione di fatti particolari cerca di trarre verità generali), nulla può garantire che il prossimo caso rientrerà anch’esso nella casistica; o per dirla con Albert Einstein “nessuna quantità di esperimenti potrà dimostrare che ho ragione; un unico esperimento potrà dimostrare che ho sbagliato”.
Passiamo ora ad altri maestri del pensiero meno celebri, come Antonella Bignone, educatrice e artista del Ponente ligure; da lei ho recentemente appreso l’espressione, fin’allora a me ignota, di “differenziale semantico”. Per esprimere il senso di questo concetto mi affido alla versione inglese di Wikipedia (più approfondita della Wiki italiana): il differenziale semantico è una tecnica della psicologia, ideata nel 1957 dallo psicologo americano Charles E. Osgood con due suoi collaboratori, per misurare il “significato connotativo” di oggetti, eventi, concetti, ovvero il significato culturale o emotivo che essi possiedono al di là del loro significato letterale. Un esempio: “notte” ha un significato letterale (denotativo) ovvio per tutti, è la parte della giornata compresa tra il tramonto e il successivo sorgere del sole, ma i suoi significati connotativi possono essere tanti e diversi e associarsi al piacere del sonno, la paura del buio, il piacere o il timore del silenzio, il romanticismo di un cielo stellato, la paura di fare brutti incontri per strada, il sognare, il piacere di trascorrerla in compagnia (di un altro essere umano o magari di qualche gatto….) e così via.
In realtà nominandomi ‘sto differenziale Antonella non mi parlò di una tecnica psicometrica per addetti ai lavori ma – più ragionevolmente – fece riferimento alle differenze dei significati che le persone possono attribuire alle medesime parole e ai medesimi eventi e alle conseguenti incomprensioni reciproche che ne possono derivare: crediamo di parlare delle stesse cose perché usiamo le stesse parole ma attribuiamo a queste medesime parole significati diversi e quindi non ci capiamo e ci fraintendiamo.
Mi è capitato di prestare attenzione a questi due concetti filosofico-linguistici in seguito a una vicenda di difficoltà di comunicazione interpersonale con una persona che a seguito di numerosi eventi avevo induttivamente considerato una new entry tra le amicizie “con la A maiuscola” ma poi ho scoperto che mi sbagliavo. Insomma ho ragionato un po’ come il tacchino (beh, non esattamente: a differenza del saporito pennuto io sono ancora vivo e – salvo covid asintomatico – sano) senza accorgermi che c’era in ballo un differenziale semantico molto “differenziato”.
Pazienza, son cose che succedono, ma mi viene da pensare a quanti differenziali semantici troppo ampi e quante inferenze induttive sbagliate vaghino attraverso le comunicazioni interpersonali nel mondo, complicando la vita delle persone e provocando danni psicologici e fisici, emotivi e materiali. Penso ai femminicidi causati dai significati connotativi tremendamente diversi che può assumere il concetto di “amore” dentro una coppia, penso a certi atti di violenza sociale conseguenti a certi discorsi di personaggi politici, e ce ne sarebbe per così di altri esempi ma adesso è tardi, ho sonno, buonanotte…