Tra le varie e talora disdicevoli tradizioni cultural-commerciali di origine anglogermanica importate per amore o per moda, il druidico albero di Natale mi pare una delle migliori, col suo sbirluccichio di lucine e i regali da spacchettare lì sotto. In famiglia si è sempre fatto l’albero, grande o piccino a seconda della casa e delle circostanze.
Ma il presepio è ancora meglio; a Genova vanta glorie artistiche plurisecolari (quasi come a Napoli) e io lo amo moltissimo, degno erede in ciò di mio padre e mio nonno, presepiari orgogliosi di esserlo. Quand’ero piccino era il papà a portar su dalla cantina il tavolo di legno che funge da base e tutte le attrezzature necessarie a creare una scenografia di un metro e mezzo quadrato piena di pastori, casette, luci, muschio (“pan di bosco” lo chiamava mio padre) e quant’altro; io lo aiutavo a montare il tutto. Ormai la famiglia si è sparsa in varie case ma il presepio principale è rimasto quello “dei nonni”, che io vado prima di Natale a metter su mentre mio padre mi aiuta, invertendo gli antichi ruoli. In attesa che la nipotina Sveva o il nipotino Ermanno crescendo si appassionino alla tradizione costruttiva, che il prodotto finito mi pare che già piaccia loro.
Le chiese della città pullulano di presepi fino a febbraio e per me uno dei migliori è quello di Crèvari.
Crèvari è la penultima frazione di Genova verso ponente, verso Arenzano; è un borgo di campagna a picco sul mare con qualche trattoria da mangiata domenicale e un vasto panorama sulla città e sul monte di Portofino. Sono 20 km dal centro città, è un po’ fuori mano ma credo che si viva bene, laggiù.
Quello di Crèvari è uno dei più grandi presepi meccanici della Liguria e ricostruisce con un’ammirevole cura dei dettagli la vita e l’ambiente della Liguria d’entroterra, quella ruvidamente appenninica fatta di castagne e di boschi, di neve e di ruscelli, dove il mare è un concetto astratto e la gente non sa nuotare: nel presepe fervono le attività artigiane e le piccole vicende della vita quotidiana, trascorre il tempo (time) e cambia il tempo (weather), e questa grandiosa scenografia contadina mi appassiona ogni volta che vado a vederla, anche se è grosso modo sempre uguale a se stessa di anno in anno.
Ringraziando Gesù Bambino ci sono andato anche quest’anno e ne sono tornato con l’animo lieto e sereno come sempre, nonostante i 40 km di Vespa nel vento e nel traffico.