Accanto al palazzo di Genova in cui ho la residenza e per parte del mio tempo vi abito, c’è un’aiuoletta di erbe casuali, che quando c’era la portinaia Caterina venivano accudite e innaffiate con una certa cura ma ormai sono anni – portinaia andata via (ablativo assoluto? Non ricordo più molto bene) – che nessuno se ne cura se non la pioggia quando piove e io nei mesi asciutti, quando posso, quando ci sono. Mi pare che di tanti coinquilini che vivono nel mio palazzo a nessuno freghi nulla se quelle poche erbe, quei pochi fiori piccoli e semiselvatici hanno acqua a sufficienza o stentano nella siccità. Peccato. Comunque anche grazie alle mie copiose benché saltuarie innaffiate agostane (in agosto venivo a Genova un giorno alla settimana) le erbe e i fiori sono sopravissuti alla grande calura e ora affrontano le prime umidità settembrine con tranquillità.
Fra le specie erbacee svetta un giovane e piccolo albero a foglie caduche, alto non più di 50 cm, che potrebbe essere un albicocco. Magari no, ma facciamo che si. Forse qualcuno un giorno sputò un nocciolo lì dentro l’aiuoletta e da esso è nata la creatura, che ora se ne sta lì un po’ allo stretto ma con tanta voglia di vivere.
Un giorno fra i brevi rami del giovane pseudo-albicocco ho visto una bella ragnatela al cui centro stava l’architetto, ovvero un ragno. Era un magnifico animale, non molto grosso ma molto colorato, decorato, policromo, con un mantello ben disegnato veramente suggestivo. E guardandolo mi sono trovato a pensare, no, a ri-pensare un pensiero che già mi venne in mente almeno una volta nella vita, ricordo bene quell’occasione, era durante la vacanza in Grecia con Donatella nel giugno 2002, nell’isola di Patmos: eravamo a fare colazione in un grazioso baretto semiselvaggio in alto su qualche collina della piccola isola, e di fronte alla veranda c’era una grossa tela di ragno, col proprietario in casa; ecco cosa scrissi all’epoca, che corrisponde pari pari a quello che pensai in questo mese di agosto 2012 di fronte al ragno sotto casa mia: Se si dimentica l’istintiva ripugnanza verso gli aracnidi, si nota facile come nel mondo dei ragni ci siano dei capolavori d’arte e di colore, che uno si chiede ma che se ne fanno, ‘sti ragni, di quei disegni colorati che c’hanno sulla schiena, a chi devono piacere? A Dio. Basta come motivo? Forse si.
Ecco, infatti: perché l’Universo consuma risorse ed energia per dare colori e disegni oggettivamente belli in senso artistico ad esseri come i ragni che molto probabilmente non si interessano per nulla di arti figurative? Non lo so. Non lo so ma lo apprezzo. Forse la ragione di tale sfoggio di bellezza artistica è soltanto quella – filosofica, psicologica, emotiva, chiamatela come volete – di aumentare la quantità di bellezza del mondo, indipendentemente dal fatto che ci sia qualcuno – ragno, mosca, uomo, Dio – che si rende conto di questa bellezza “in sovrappiù”. Un modo, uno dei forse tanti modi, che l’Universo (Dio) ha escogitato per contrastare almeno un poco l’ineluttabilità del secondo principio della termodinamica, per rallentare almeno un poco l’ineluttabilità dell’aumento dell’entropia cosmica.
Comunque sia, viva i ragni artisti del colore.
(Scritto il 12 settembre 2012)