Chi mi conosce bene sa che amo le piante e le considero una delle più affascinanti manifestazioni del Creato. Dall’erba agli alberi, anche se il mio amore va soprattutto agli alberi, e più sono grandi e longevi più mi affascinano. Uno dei personaggi che più mi piacque quando lessi Il Signore degli Anelli fu Fangorn/Barbalbero, il capo degli Ent, i “pastori d’alberi”.
E ogni tanto il mio amore per la parte vegetale del mondo trova ragioni razionali da aggiungere alle ragioni emotive che già lo sostengono.
Il Festival della Scienza è una delle più belle invenzioni genovesi degli ultimi decenni: da nove anni esso porta a Genova a fine ottobre scienziati di tutto il mondo che parlano di tutto ciò che fa scienza, dall’antimateria alla chitarra a 14 corde di Pasquale Taraffo.
Fra i tanti avvenimenti c’è stata, venerdì 28 ottobre alla Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale, una Lectio Magistralis del professor Stefano Mancuso dell’Università di Firenze, dal titolo “L’utopia tranquilla delle piante – Beati i miti perché erediteranno la terra”. Spiego di cosa si è trattato copiando dal sito web del Festival: “Le piante hanno comportamenti sofisticati ed evoluti, una vita sociale meravigliosamente ricca e, in generale, una affascinante complessità che per millenni è rimasta sepolta sotto la loro apparente immobilità. Mitezza contro violenza, (apparente) fissità contro movimento, autotrofia contro eterotrofia, lentezza contro velocità: piante e animali sono il risultato di scelte evolutive opposte. Praticamente inermi, alla base della catena alimentare, eppure capaci di colonizzare la Terra fino a rappresentarne il 98% della biomassa, nella vita delle piante esiste un’idea utopistica e rivoluzionaria, che ne rende avvincente e imprevedibile il loro studio. Unici organismi viventi realmente “verdi” (in tutti i sensi), hanno evoluto strategie di comportamento così diverse da quelle degli animali da essere per noi una fonte inesauribile di originalissimi insegnamenti. Senza l’aggressività e prepotenza degli animali, senza la pressante necessità di uccidere per sopravvivere, le piante sono la realizzazione terrena del discorso della montagna: sono loro i miti che un giorno erediteranno la terra”
Insomma, le piante hanno una loro propria forma di intelligenza e di spiritualità, secondo Mancuso. Mi pare che già Aristotele dicesse qualcosa del genere, ma forse mi sbaglio. Io comunque, nel mio piccolo, lo penso da tanto tempo. Lo so che la mia opinione non conta nulla ma appunto per questo mi ha fatto molto piacere sentirlo dire da un insigne neurobiologo vegetale. Che ha il coraggio visionario e molto utopico di parlare di diritti delle piante così come ormai si parla, se pur a fatica, di diritti degli animali.
Sala non piena, ma il Maggior Consiglio è parecchio grande e l’argomento forse non è di quelli che attirano le grandi folle. Ma la lectio è stata davvero affascinante, e la lunghezza degli applausi finali lo ha dimostrato.
Sono uscito da lì contento e ancor più convinto di quanto faccio bene a sentirmi bene quando bighellono nel folto del giardino di Sanremo, di quanto faccio bene a riempire di piante i balconi della casa di Genova (ma c’è ancora spazio da riempire), di quanto sono riconoscente a mio padre per aver acquistato trent’anni fa il bosco di Prale a Ormea, dove tagliava un po’ di rami ai noccioli per procurarci la legna per la stufa di casa ma non ha mai voluto abbattere un albero che non fosse già morto di morte naturale.
(Scritto il 3 novembre 2011)