Un po’ di tempo fa col Club per l’UNESCO di Sanremo andammo a visitare il Museo Navale e il Planetario di Imperia, a Porto Maurizio.
La visita al Planetario, essendo pomeriggio quindi senza poter osservare le stelle, fu in parte una passeggiata tra miti e tradizioni più o meno connessi con il firmamento. Uno di questi miti arriva dal popolo Samo, agricoltori che vivono in Burkina Faso e in Mali.
Se ricordo bene, secondo l’escatologia Samo quando una persona muore il suo “alterego” (il suo spirito, la sua anima; e dubito che in Burkina Faso i contadini usino parole latine) si reincarna due volte ma poi diventa un albero. E quella è la conclusione del ciclo di reincarnazioni.
Mi piace questa visione escatologica, un essere umano che diventa un albero come destino definitivo… Mi piacerebbe che il post-mortem funzionasse davvero così. Almeno per me: mi sento molto democratico e tollerante in merito ai destini ultimi degli esseri umani, per me chi anela al Paradiso ci può andare quando desidera, chi crede in un Dio irascibile e vendicativo può godersi l’Inferno per i suoi peccati, chi crede nella reincarnazione può rinascere decine di volte, chi pensa che non esista nulla dopo la morte fisica può sparire nel nulla eccetera. Bello sarebbe se ognuno ottenesse l’Aldilà che preferisce. Per me diventare un albero sarebbe una vera gioia.
Al mio funerale (senza troppa fretta, eh!) mi piacerebbe che gli addolorati partecipanti (addoloratevi, mi raccomando!) ascoltassero la canzone “L’albero ed io” di Francesco Guccini, possibilmente nella versione dell’album “…quasi come Dumas…”.
“Quando il mio ultimo giorno verrà, dopo il mio ultimo sguardo sul mondo
Non voglio pietra su questo mio corpo, perché pesante mi sembrerà
Cercate un albero giovane e forte, quello sarà il posto mio
Voglio tornare anche dopo la morte sotto quel cielo che chiaman di Dio…” eccetera
Chissà se Guccini sapeva ‘sta storia dei Samo del Burkina Faso o se per amare gli alberi gli è bastato essere cresciuto nel Mulino di Chicón sulle rive del torrente Limentra a Pàvana nel profondo Appennino Pistoiese.