In un messaggio di cinque anni fa (giannidallaglio.it/terapie-essene/) nominai l’amica sanremese Maria Teresa E, “donna di profonda intelligenza e sensibilità; anche troppo, forse”. MT è molto appassionata di tematiche escatologico-metafisiche e ogni tanto mi propone nomi di pensatori di varia origine che trattano argomenti di quel tipo. Alcune sere fa mi ha parlato di una giovane (e graziosa) scrittrice e divulgatrice italofrancese, Chantal Dejean, che vive sin da bambina tra il visibile e l’invisibile, mettendo tutto insieme, vita fisica reale e i cosiddetti “mondi sottili”, Aldiquà e Aldilà, persone reali ed esseri spirituali che lei vede e con cui comunica E tutto ciò senza avere cercato questa capacità assai poco comune di unire i diversi piani fisici e metafisici dell’esistenza, che invece per lei è la normalità sin da quando era bambina; dice che andando all’asilo e parlando con gli altri bambini si rese conto che ciò che per lei era la normalità per loro era una stranezza al limite della pazzia. Oggi, da adulta sposata con figli, testimonia le sue esperienze in seminari e conferenze “per il risveglio della multi-dimensionalità dell’essere”.

Ho ascoltato qualche pezzetto di qualche suo video e direi di aver capito che per lei l’Aldilà è “una dimensione che si vive esattamente come questa” e che esiste per ciascun essere umano prima della nascita tanto quanto dopo la morte. Aldilà non è solo un continuare a esistere dopo la morte, non è un modo per esorcizzare la morte ma piuttosto è un reintegrare nella nostra vita i mondi dell’invisibile. Non è solo “vedo i defunti e so dove vanno” ma “scelgo di integrare nella mia vita parti dell’esistenza che la mente abitualmente ignora” e così riesco a espandere i miei limiti. Dice anche che “tutto è il divino” e noi, con le nostre coscienze, siamo parti dell’unica coscienza universale, la sola che esiste.

E va ben, questo della Dejean è uno dei possibili punti di vista sulla realtà fisica e su quella metafisica, sui rapporti tra l’una e l’altra e tra noi e loro, sui destini ultimi, cose a cui l’umanità pensa e su cui riflette da sempre. In tutte o quasi tutte le religioni e anche in numerose filosofie la vita terrena “normale” fisica biologica è vista come la parte di un tutto più ampio e più esteso, un pezzetto di un percorso molto più lungo; se non addirittura a volte quasi una scocciatura, un camminare in una “valle di lacrime”, per dirla con le parole di una (brutta, secondo me) preghiera mariana cattolica, da cui prima o poi è bello uscire perché la Vera Realtà è altrove.

[Si si, è una valle di lacrime, ma se cianse tantu ben…] disse un giorno un prete genovese. Forse anche lui, come me, al Salve Regina preferiva l’invocazione alla Madonna che Dante mette in bocca a San Bernardo all’inizio dell’ultimo canto del Paradiso.

Beh, mi affascina questa eterna, perenne, mondiale ricerca umana di un Aldilà che non limiti la nostra esistenza entro gli stretti limiti imposti dalla biologia ma la allunghi in altra forma nel futuro e nel passato e magari la ampli nel presente (che è ciò di cui parla la Dejean). Perché cerchiamo da sempre, dalla preistoria, un Aldilà? Forse perché esso esiste davvero ed è normale cercare di capire come sia fatto. O forse più semplicemente ce lo inventiamo per il terrore egoistico di scomparire? Anche se l’Aldilà esiste(sse) veramente, mi rimane questa domanda in testa: perché ci spaventa tanto l’idea che l’universo possa andare avanti benissimo anche senza di noi?

Io da cattolico dovrei non avere dubbi, “aspetto la resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”. Invece più invecchio e più mi si confondono le idee. Mi piace molto pensarci e rifletterci su ma nel senso dello “studioso dell’argomento”, del “cultore della materia” piuttosto che del puro e semplice credente (nel Paradiso, nella resurrezione dei morti, nel ciclo delle reincarnazioni, nel Nirvana, nel Nulla Divino, nei Mondi Sottili, in qualunque cosa a cui si possa credere in senso metafisico ed escatologico). Boh, sarà quel che sarà, tanto mica decido io.

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