Ho incontrato Teo in un tardo pomeriggio di inizio aprile: è un asino maschio che funge da animale di compagnia di un allegro e conviviale signore settantenne di Pontremoli, Alberto Bellotti, che mi è stato presentato dal responsabile della Condotta Slow Food Lunigiana-Apuana, Marco Cavellini; l’uno e l’altro sono i “padri e custodi” del Presidio Slow Food del Testarolo artigianale di Pontremoli, su cui ho scritto un articolo per La Casana (numero 1-2017); trovo simpatico che tenga un asino come animale domestico (non è l’unico: l’amica Antonella R. a Carpeneto ne ha ben quattro, ma Antonella è un genio bizzarro), il quale Teo contraccambia l’amicizia, accorre quando Alberto lo chiama, si abbracciano e si danno i bacini sulla testa, come faccio io con Polvere e Paprika e come fa mia sorella coi suoi cani e come fanno tutti coloro che hanno animali domestici nella loro famiglia (N.B.: “avere animali domestici nella famiglia” è cosa diversa da “essere il padrone di animali domestici”, è ovvio).

Ma il grande merito del signor Bellotti è che condivide le mie idee sulla vita delle piante. Non sto a ripetere le mie convinzioni sulla assoluta parità di valore, dignità, complessità, intensità della vita vegetale rispetto a quella animale
[cfr. https://www.giannidallaglio.it/verde-brillante/ (Verde brillante),
e https://www.giannidallaglio.it/l-utopia-tranquilla-delle-piante/ (L’utopia tranquilla delle piante)
e magari anche https://www.giannidallaglio.it/anima-animale/ (Anima, animale)].
Comunque per la prima volta ho trovato qualcuno che rispetto alla vita vegetale pensa e agisce come me, considera il nutrirsi di carote e insalate un “uccidere” esattamente come il nutrirsi di mucche e branzini, chiede scusa alle erbacce quando le estirpa, è convinto che il problema non sia uccidere per nutrirsi ma non far soffrire gli esseri viventi che uccidiamo per nutrirci. Tutti i viventi senza distinzione: niente allevamenti intensivi di maiali e di polli ma anche niente serre dove le fragole e le bietole vengono forzate a crescere in fretta e fuori stagione a furia di concimi in un ambiente che loro non si sceglierebbero.

Ma non per l’egoistica ragione di salvaguardare la salute degli umani che mangeranno queste bietole e quei maiali, ma proprio per rispetto verso la dignità e il valore della vita dei polli e della fragole. La vita delle fragole tanto quanto la vita dei polli. Io penso che se ci sarà un momento in cui Qualcuno ci chiederà conto delle azioni compiute durante la nostra vita, dovremo spiegarGli – se ci riusciremo – il dolore che abbiamo procurato agli esseri viventi di cui ci siamo nutriti quando essi erano ancora in vita, dovremo giustificarci per le porcilaie e le serre intensive. E sarà molto più facile giustificare l’esserci nutriti di liberi cinghiali e di libere erbe degli orti familiari perché quelli e queste prima di diventare cibo per noi umani si sono goduti la loro libera vita, mentre le fragole delle serre dell’Andalusia hanno vissuto una vita artificiale e prigioniera proprio come i maiali che viaggiano sui camion e i polli ipocritamente “allevati a terra”.

Mi chiedo cosa stia pensando di me la maggior parte di Voi Lettori… capite perché ero così contento, in quel pomeriggio sulle colline di Pontremoli, per aver trovato un signore (e non un mezzo pazzo che ha vissuto nei boschi tutta la vita ma un uomo di cultura, di buone maniere e buona educazione, con un passato non ricordo se da ufficiale di aeronautica o da ingegnere aeronautico) che anziché guardarmi come si guarda un folle mi diceva che anche lui pensa queste stesse cose. Un grande. Tornerò a trovarlo, prima o poi. Magari per portargli di persona qualche copia della Casana col mio articolo quando sarà pubblicato e per salutare Teo.

(Scritto il 13 aprile 2017)

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