La frase completa è “importante è non arrivarci in fila ma tutti quanti in modo diverso” e Lucio Dalla intendeva “alle porte dell’universo”, ma qui parlo d’altro. O forse no.
Credo che il detto “le vie del Signore sono infinite” sia profondamente vero, ma non solo intendendo il termine “Signore” come Dio bensì in un senso più ampio in cui con”Signore” si possa intendere qualunque forma di spiritualità che coinvolga la propria anima, la propria intelligenza, la propria sensibilità. Le vie da percorrere per “raggiungere il Signore” o – più laicamente- per entrare in armonia con la propria anima e con l’universo secondo me sono quasi incommensurabili. In quanto tali, mi riesce difficile credere che alcune siano universalmente più efficaci delle altre, mi pare più logico che l’efficacia dell’una o dell’altra via dipenda essenzialmente dall’intelligenza e dalla sensibilità del singolo individuo che le percorre. È come quando diciamo “in quel ristorante si mangia benissimo”: affermazione esageratamente assoluta; trovo più corretto dire “in quel ristorante io mangio benissimo”. Fa differenza. E analogamente per interagire con la parte spirituale dell’universo e di se stesso: ognuno c’ha i suoi percorsi.
Ogni tanto qualche amica intelligente, sensibile e non banale mi propone qualche “via del Signore” che lei percorre per raggiungere la serenità spirituale o per aumentare la consapevolezza di sé. E mi invita a provare quella via dicendosi fiduciosa che anche io, come lei, ne trarrò benefici. Esempi cronologicamente recenti possono essere la psicosintesi e il body scan (che non c’entra con gli apparecchi che ti scrutano per capire se sei un terrorista in incognito ma afferisce alla mindfulness, qualunque cosa essa sia). A parte qualche battuta iniziale scioccamente ironica, io finisco col prestare un po’ di attenzione al body scan e alla psicosintesi perché apprezzo e stimo le persone che me li propongono ma non mi aspetto che siano altrettanto efficaci per me come lo sono per loro perché io non sono loro e loro non sono me. Ci possiamo stimare e voler bene ma siamo diversi.
Per entrare in comunicazione con l’Universo, con la mia anima, col mio corpo, con quello che c’è da entrare in comunicazione e in armonia, io trovo magnifico – ad esempio – andare sulla scogliera di Pontetto nei mesi non estivi, quando non c’è quasi nessuno, e stare un po’ lì a guardare il cielo e il mare e il paesaggio, respirare la brezza, osservare il sole o le nuvole, ascoltare il rumore del mare… E intanto che sono lì penso, oppure non penso e mi limito a percepire l’Universo e la Vita intorno a me con la mente quasi vuota… Per me sdraiarmi sulla scogliera di Pontetto in autunno-inverno è il modo migliore per trovare l’Armonia col Mondo materiale e spirituale.
Ecco, non ho problemi a far sapere in giro del forte legame esistente tra me e quegli scogli, ma non ho mai pensato di proporre a qualcuno “vai a Pontetto in novembre, da solo,vedrai come starai bene, come ti sentirai sereno, dopo che sei rimasto lì mezz’ora. Prova una volta poi mi dici cosa ne pensi”. Perché dovrebbe provare? Perché dovrebbe star bene? Lui è mica me. Se sto bene io, che c’entra questo con lui? Lui starà bene a modo suo.
Come quelli che quando si va al ristorante vogliono a tutti i costi farmi assaggiare quello che stanno mangiando mentre nel mio piatto ho una cosa completamente diversa. Mi irrita. Se sto mangiando le trippe di cinghiale fritte nel grasso di uro col miele (n.b.: non mangio mai cose del genere, è soltanto una citazione da un capolavoro della letteratura francese del XX secolo) e tu seduto davanti a me mangi capesante con bietole in fricassea, perché dovrei infilare un bocconcino di fricassea tra le mie trippe che sono cibi e gusti che fanno a pugni l’uno con l’altro? Se mi dici che la tua fricassea è buona mi fido e magari la prossima volta la prenderò anch’io, ma non mi costringere a mangiare adesso ciò che piace a te. “Sai, la mia fricassea è proprio buona” è un’utile informazione. “Assaggia la mia fricassea, perché non vuoi assaggiarla?” la trovo un’insistenza inopportuna.
Narciso e Boccadoro, Le città invisibili, Finzioni, per dirne tre fra tanti, sono stati libri importanti per me e per la mia “crescita spirituale” ma sono fatti miei; posso dire”questi libri mi sono piaciuti moltissimo” ma non direi mai a nessuno “devi proprio leggerli!” (aggiungendo magari l’orribile frase “se vuoi te li presto”…). C’è diffusissima l’idea che il proprio modo di osservare e valutare il mondo e di interagire con esso sia il migliore. Perché è “mio” deve andare bene per tutti. Peccato di superbia, dico io. E siamo un po’ tutti peccatori; “dovete fare e pensare quello che faccio e penso io perché è il modo giusto di pensare e di fare” non lo dicono solo i missionari, i talebani e i politici, è dentro la natura di tutti noi, di tutti e di ciascuno. Ma non è bello.