Mongioje per modo di dire, per me, visto che non sono salito lassù e il mio antico ginocchio rancido mi ha costretto a fermarmi sulle pendici verdifiorite al limitare del nebbione dei 2000 metri circa. Chi ha continuato ha camminato, dicono, fra nebbie e sassi fino (alcuni soltanto) ai 2630 metri della croce in cima, onore a Silvia A., unica bambina a raggiungere la vetta fra tanti (4) maschioni. Ma bravi/e anche gli altri/e (per essere politicamente corretto) che hanno smesso poco sotto, e grazie alla Titti che mi ha tenuto compagnia sulla lenta via del ritorno e al rifugio e poi a Viozene in attesa del ritorno dei camminatori: tenuto compagnia a me e al ginocchio stronzo che già il giorno dopo, domenica, aveva smesso di lamentarsi, il fetente.
Grazie anche a tutti i partecipanti in generale, che hanno accettato senza troppe lamentele di dormire alla “baita di Prale” che la guida Michelin onorerebbe di una stella al massimo, anzi forse di un pianeta e nulla più, dormire in sacco a pelo sulla polvere del nudo cemento, fra ghiri purtroppo silenziosi e nascosti, che invece è bello la sera vederli camminare sui muri, e si sono lavati (i partecipanti, non i ghiri) alla sorgente fresca e murmure, offrendo ai girini del vascone la possibilità di farsi uno shampoo una volta nella vita, col velo di sapone che inevitabilmente ha velato la superficie dell’acqua della loro nursery per due giorni. Ma ormai il sapone sarà andato via e potranno sguazzare felici nuovamente soli sotto le ampie fronde del nocciolo.
Però personalmente mi piace che ‘sta ex-stalla riattata e circondata da alberi ogni anno più alti abbia ospitato per la seconda volta nella sua storia un po’ di gente che vi ha dormito dentro e si è lavata alla spartana come quando si era scout, chi lo è stato. E mi pare che anche chi scout non lo è stato e non lo è (giacché “eris scout in aeternum” come sacerdos, se lo si diventa lo si resta vita natural durante) abbia preso col dovuto spirito la polvere e il duro cemento e le abluzioni sommarie e la salita notturna dalle macchine alla baita lungo il sentiero. Peccato non fossero notti di luna piena. Però belle le stelle, no?
Mi sono dimenticato di chiedere ad ADAndrea com’è stata la discesa al rio e la puccia nelle pozze, se c’erano. Ada, com’è stata la discesa al rio e la puccia nelle pozze? Ecco, adesso gliel’ho chiesto. E i porcini che abbiamo trovato sul sentiero, li hai mangiati? O sono rimasti ai ghiri?
Mi pare sia valsa la pena di cenare due volte alla pizzeria “Le trou”, con gnocchi di ortiche, tagliatelle di grano saraceno, ravioli al tartufo e fonduta, castelmagno e che altro abbiamo mangiato per 22000 lire a testa mancia inclusa che a Genova avremmo speso almeno 35000. Benedetto sia il parroco di Neive, autore di quel buonissimo dolcetto. Chissà se si trova bene, al Le Trou, la giovane cameriera cubana che ci ha servito sabato sera, che era il suo primo giorno di lavoro lì.
Mi piacciono moltissimo i monti di inizio estate, splendidi nella loro fioritura, quel tripudio di fiori rossigialliazzurriviola che meritano una gita comunque, pazienza se la cima del monte mi è stata vietata dalle manchevolezze fisiche, i larici e i prati fioriti sono bastati per dare un senso alla giornata di sabato e anche alla parte oziosa e assolata sul colle di Caprauna di domenica. La montagna non è solo cime rocciose, tanto più che senza panorama e con la nebbia il fascino di una cima delle Alpi Marittime cala abbastanza, per me.
Mi pare che Ormea sia piaciuta a chi non la conosceva, il “paese” (oggi con terminologia moderna anche qua si dice “centro storico”) era addobbato a festa per il Corpus Domini e fra chiesa mezza storica e pavé nei vicoli fa sempre la sua figura, Ormea, alta Val Tanaro,provincia di Cuneo. Beh, c’è la fontana della Piazza Nuova che non la vorrebbero nemmeno alla Defense, è un incubo peggio del piatto a muro in casa di Andrea B. a Rocca Grimalda, quello dove è dipinto un uccellone enorme con gli occhi da cocainomane che si incula un cavallo con due tizi nudi in groppa; ma sull’amicizia fra lo scultore (artista?) e il sindaco di Ormea abbiamo già spettegolato in loco.
Mi spiace per chi (tutti) sono ripartiti domenica prima delle 17, si sono persi il Bal do Sabre, vulgo ballo delle sciabole, danza ritualizzata e folclorica di un gruppo di Bagnasco (tre paesi più a valle di Ormea), antica tradizione a sfondo saraceno con danzatori vestiti orientaleggianti e condanna a morte di un paesano fedifrago o robe del genere, c’era folla nella piazza della chiesa intorno ai danzatori non ho capito tutto bene ma era bello da vedersi i rulli di tamburo, i salti nel cerchio, i movimenti in tondo tendendo le punte delle sciabole, quella specie di minuetto con cui i danzatori intrecciano e strecciano le bande colorate intorno all’albero….ne avevo letto su una Casana preparando i Mille Anni di Liguria la scorsa estate, di sto ballo delle sciabole che ancora si balla in certe località dell’area occitana in senso lato, tra cui Bagnasco, tutte terre che i Saraceni li hanno conosciuti di persona, razziatori e commercianti, ci sono volti e colori nelle facce della val Tanaro che tradiscono evidenti, se pur lontane, ascendenze arabe e berbere, anche se i cognomi sono magari longobardi o banalmente piemontesi.
Poi la discesa verso Sanremo, la cena di torta di zucchini e coniglio (buonissimi!) in un giardino di fronte a Portosole, le chiacchiere con la padrona di casa, eccetera…….