Credo che chiunque da giovane abbia avuto dei luoghi mitici in cui ha desiderato intensamente di andare. Mitici nel senso che a lui apparivano fortemente desiderabili ma anche difficilmente raggiungibili. Anche per me ci sono stati luoghi dove ho lungamente desiderato di andare per conoscerli. Ma non posti particolarmente strani o esotici o in qualche modo maravigliosi e bizzarri, Taprobane, le Isole dei Beati, il Monte del Purgatorio, la terra dei Cinocefali… ecco, forse l’unico luogo da me “desiderato” che esca dai canoni geografici e umani della vecchia Europa sono le steppe dell’Asia Centrale, quelle del poema sinfonico di Borodin e del pastore errante leopardiano, che in quest’epoca di voli low cost e navigatori satellitari potrebbero posizionarsi ad esempio nelle pianure della Mongolia, facilmente raggiungibili seguendo le indicazioni degli opuscoli turistici offerti dallo stand della Repubblica di Mongolia alla BIT, la Borsa Internazionale del Turismo di Milano.
Fra i luoghi europei che ho desiderato a lungo c’era un ipotetica montagna da cui fosse possibile vedere tutta l’Italia, come avendone la carta geografica davanti agli occhi (memento che quando ero giovinetto non esisteva ancora Google Maps e Google Earth, al massimo gli atlanti De Agostini e del TCI). Ero già grandicello quando appresi che un monte con (quasi) queste caratteristiche esiste davvero: è il monte Cimone, nell’Appennino modenese, che è la più alta cima dell’Appennino settentrionale e non ha nulla di più elevato intorno a sé sino a grande distanza; non si vede proprio tutta l’Italia dall’Alpe al Lilibeo ma un buon 40% si. Quando le condizioni atmosferiche sono proprio eccezionalmente limpide, of course. Dopo molti anni di attesa ho avuto finalmente l’occasione per salire alla vetta erbosa del monte Cimone l’ottobre u.s., 2013, e devo ringraziare l’amico e datore di lavoro Stefano P. che mi ha commissionato un articolo per La Casana sulla stazione di ricerca sul clima che il CNR di Bologna tiene operativa lassù, accanto alla stazione meteo dell’Aeronautica Militare.
Andare sul Cimone e restare alcune ore lassù fra strumentazioni varie in quell’ex rifugio trasformato in laboratorio, mentre fuori soffiava il vento forte e troppe nuvole nascondevano il grandioso panorama alla vista, mi ha fatto venire un po’ di ovvia nostalgia per i bivacchi e le “route” con gli scout quando si girava fra vette alpine e rifugi coi sacchi a pelo – che oggidì il pur piacevolissimo soggiorno di inizio-estate a Lou Pitavin è solo una blanda copia di quei giri d’antan.
Ma mi ha anche ri-suscitato quel piacevole senso di… come dire… orgoglio italico che provo ogni volta che incontro qualche mio connazionale che fa delle cose che a me paiono socialmente utili e dalle quali ne ricava certo di che vivere ma soprattutto di che sentirsi soddisfatto nell’anima anche senza correre il rischio di diventare ricco e famoso. In breve, si torna ai concetti che espressi or non è guari nel messaggio “Italiani brava gente” (https://www.giannidallaglio.it/italiani-brava-gente/). Insomma, anche le persone che grazie alla Casana ho incontrato sul monte Cimone – come quelle (per dire le più recenti) della Riserva Diaccia Botrona coi suoi fenicotteri maremmani, dell’Ecomuseo della Montagna Pistoiese e dell’Osservatorio astronomico di San Marcello, della Salina di Cervia e del suo Museo del Sale – anche tutta ‘sta gente mi è parsa far parte del felice gruppo di esseri umani che svolge lavori volti a migliorare le condizioni di vita dei loro simili (studiando il clima e l’universo, tramandando le tradizioni antiche, proteggendo la natura, realizzando prodotti alimentari di qualità e in millanta altri modi) e che in più ama il proprio lavoro e da esso trae personale soddisfazione, che è una cosa bellissima. Spero che continuino così, costretti magari a lottare con tagli di bilancio, spending reviews e leggi di instabilità ma con la coscienza (o l’illusione? Ma no, la coscienza convinta) di operare per “rendere il mondo un po’ migliore di come lo hanno trovato”, citando once again il buon vecchio ma pur sempre valido Sir Robert Baden Powell.