Lo scorso finesettimana sono andato a Ivrea con una decina di soci del Club per l’Unesco di Sanremo. Abbiamo incontrato e conosciuto la presidente del Club locale Carla Aira, alcune altre autorità culturali di Ivrea e del Canavese, la titolare dell’agenzia di viaggi che ci ha organizzato le due giornate Simona Marra, due guide turistico-culturali Monica e Barbara, una storica dell’arte del FAI, prof. Barbara Manucci.
Abbiamo visitato con piacere e interesse il centro storico di Ivrea, l’area industriale “olivettiana” Patrimonio dell’Umanità Unesco con la storia dell’affascinante figura umana e imprenditoriale di Adriano Olivetti, la chiesa quattrocentesca di San Bernardino, Borgofranco d’Ivrea coi freschi balmetti e un palazzo nobiliare di origini genovesi, Settimo Vittone con una pieve medievale in corso di scavo archeologico aperta al pubblico dai giovani del FAI locale. Ma forse la parte per me più interessante di questi due giorni è stata il percepire la passione e l’amore con cui Simona & colleghe parlavano di Ivrea, raccontavano la storia, le vicende, il carattere degli abitanti, descrivevano il “loro” fiume Dora Baltea, i “loro” palazzi e chiese, e tutto il resto del raccontabile di quell’angolo di Piemonte.
E ascoltandole mi sono fatto la convinzione che Simona & friends saprebbero esprimere lo stesso amore per qualsiasi punto dell’orbe terracqueo in cui avessero avuto la ventura di nascere e crescere, perché mi è parso che a muoverle non fosse solo l’oggettivo valore naturale o culturale di quei luoghi quanto soprattutto un senso nobile di “patriottismo”, quello che sa trovare ovunque il bello, il degno di essere conosciuto e amato, basta avere i giusti occhi del corpo e della mente.
Un mese prima, a inizio maggio, al Centro Civico Buranello di Sampierdarena si è inaugurata un mostra fotografica celebrativa del 50esimo anniversario della fondazione del Gazzettino Sampierdarenese; hanno parlato il “pater patriae” (pater Gazzettini) Stefano D’Oria, caporedattore e figlio di uno dei fondatori, il presidente del Municipio Centro Ovest di Genova, un paio di assessori, il direttore responsabile precedente Dino Frambati, io come direttore attuale, e c’è stato un intervento estemporaneo della senatrice Roberta Pinotti, che non ha nessun ruolo in ambito Gazzettino ma è sampierdarenese, è senatrice della Repubblica, insomma è arrivata lì come per caso ma mica potevi far finta di non averla vista…
Ha parlato della sua San Pier d’Arena. Niente di politico o di autocelebrativo; ha semplicemente detto quanto ama quel quartiere (nonostante le critiche che ad esso vengono mosse dai genovesi degli altri quartieri), ha detto che si è stupita quando qualche giornale scrisse che si era trasferita ad Albaro o a Pieve Ligure (i quartieri-borghi al top della ricchezza sociale genovese) perché non ha mai pensato di lasciare Sampierdarena; ha detto che è contenta che le sue figlie abbiano frequentato le scuole lì e siano cresciute lì; che le fa piacere quando torna a casa incontrare per strade donne che da ragazzine erano state “sue scout” e altre cose del genere.
Una bellissima dichiarazione d’amore per la sua “patria”, pronunciata con serenità, con affetto, con calma. Gliel’ho detto, che ho molto apprezzato le sue parole.
Tornando da Ivrea, domenica sera, pensavo al “patriottismo” allegro, positivo, sereno, coinvolgente trovato a Ivrea e ai medesimi sentimenti espressi e trasmessi un mese prima a Sampierdarena da Roberta Pinotti.
Poi pensavo ad altre forme di patriottismo che vanno di moda oggidì, un patriottismo su scala molto più ampia rispetto a Ivrea e Sampierdarena, che coinvolge grandi nazioni, grandi potenze, quindi forse le due forme di amore per la propria terra non sono confrontabili. Però a me, lungo la poco trafficata A26 del ritorno a casa, veniva da confrontarli.
E pensavo che questi patriottismi “con le bandiere” mi rattristano, mi irritano e mi stufano parecchio. Quando è iniziata la guerra nelle terre slave sono stato subito favorevole all’aiuto armato occidentale verso la nazione più debole e più aggredita (osservare un grosso che picchia un piccolo senza intervenire in aiuto del piccolo sarebbe un grave peccato di omissione, mi pare) e resto convinto che allora fosse davvero necessario; ma pensavo che quando il grosso si fosse reso conto che non poteva fare lo smargiasso a suo totale piacimento poi il piccolo e i suoi amici si sarebbero impegnati per fare la pace. Invece ormai è evidente che la guerra piace a tutti, al grosso che ha dovuto ridimensionare le sue ambizioni imperialiste ma continua e insiste, ma piace anche al piccolo che assume atteggiamenti da bullo e ai suoi amici dell’ovest che si divertono a mandare armi e fare promesse avventate. Ma tutto questo è davvero amore per la propria terra e per il proprio popolo? Non capisco, non lo capisco. A me pare soprattutto arroganza del potere. Arroganza distruttiva. Una cosa tristissima. W Sampierdarena e Ivrea, abbasso Mosca e Kiev.