E io contavo i denti ai francobolli; dicevo ‘grazie a Dio’, ‘buon Natale’. Mi sentivo normale. Eppure i miei trent’anni erano pochi più dei loro; ma non importa, adesso torno al lavoro

Fabrizio De André, canzone “La bomba in testa”, dall’album “Storia di un impiegato”, del 1973.

Questi versi mi sono venuti in mente “ex abrupto” un mattino a Sanremo mentre facevo piccole opere di minuta potatura; un rametto da tagliare qui, due erbette fuori posto da accorciare là (ammesso che il concetto di “fuori posto” abbia un senso nella confusa giungla di quel giardino).

Come nei due anni di Covid mi sono sempre tenuto lontano dalle troppe parole di virologi e opinionisti limitandomi alla dose minima necessaria di informazioni, anche per la guerra in Ucraina rifuggo dalla bulimia di notizie e commenti che intasano tv, radio e giornali ma ci tengo a rimanere informato almeno a grandi linee, mica voglio vivere con la testa tra le nuvole. 

Il guaio è che anche solo le “grandi linee” sono sufficienti a darmi un senso di incertezza, di preoccupazione per il futuro e di impotenza che nessun momento della pandemia virale mi ha mai regalato uguale. Ammetto – anche se spero fortissimamente di esagerare – che il salto all’indietro di un secolo che la politica europea ha fatto in questo inizio di 2022 mi preoccupa ben più del virus venuto dalla Cina. 

Quel mattino, dopo la solita colazione fatta adocchiando un po’ di notizie aggiornate su bombardamenti, profughi e minacce del Neozar neosovietico, mentre con guanti e cesoie facevo cose inutili quanto il contare i denti ai francobolli, mi chiedevo che senso avesse il vivere nella mia piccola oasi quasi felice mentre il mondo brucia poco distante da qui; un pezzo di Europa brucia e io me ne sto nella quiete fiorita di un bel giardino in una bella città di una bella nazione dove se sento un rombo d’aereo basso nel cielo penso al massimo a un Canadair che va a spegnere un incendio, certo non a un bombardiere che venga a distruggermi la casa.

Chissà se mi merito la fortuna che mi è toccata di essere nato e vivere nell’Europa occidentale e non in una nazione dell’ex Unione Sovietica. Sempre ammesso che tra una settimana, un mese, un anno, anche l’Occidente dell’Europa non si trovi ad avere aerei militari che scorrazzano per i suoi cieli e tirano bombe… 

Ora vedremo se i colloqui iniziati oggi – male – in Turchia porteranno qualche risultato positivo. E comunque giuro che dai tempi in cui Sting scrisse la sua canzone Russians, nel lontanissimo 1985, non avevo più pensato che l’ipotesi di una terza guerra mondiale potesse essere credibile. E invece… E anche Sting è tornato a cantare la sua canzone.

C’è sempre da sperare che abbia visto giusto quando scriveva il ritornello di quella canzone: “I hope the Russians love their children too”.

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