Questa è la prima frase del messaggio, che si ripete anche all’interno del messaggio stesso.
Questa è la seconda frase del messaggio, che invece è unica.
Questa frase, scusandosi per la maleducazione delle due colleghe che l’hanno preceduta, vi saluta, cari Lettori! Anzi, care Lettrici e cari Lettori, come bisogna dire per essere moderni e politicamente corretti e non sembrare ottusamente conservatori e misogini.
Questa frase afferma che lo scopo di questo messaggio è di fare divertire un po’ Gianni, che forse non c’è tutto con la testa e si diverte in modo strano, a volte.
Questa frase aggiunge a quanto affermato dalla frase precedente che un altro valido motivo è quello di frequentare un poco l’ameno mondo delle frasi autoreferenziali.
Questa frase chiarisce il significato del termine autoreferenziale: si tratta di una frase che parla di se stessa (che “predica se stessa”) anziché parlare di un qualche oggetto esterno ad essa, come fanno le frasi normali.
Questa è la prima frase del messaggio, che si ripete anche all’interno del messaggio stesso.
Questa frase afferma di sentirsi offesa da quanto sostenuto dalla frase pre-precedente; o come? noi non siamo frasi normali?
Questa frase si chiede, e chiede a voi, dotto pubblico che leggete, cosa sia da intendersi per “normalità”.
Questa frase invita i lettori a ricordare una battuta pronunciata da Eva Robin’s nel bel film di Alessandro Benvenuti “Belle al bar”: “Dalla normalità si può guarire, non è una malattia mortale”.
Questa frase invita Voi Lettori a chiedervi quante volte (1? 2? 59? 854.289? pigrecomezzi? millantadodici?) avete desiderato nella vostra vita uscire dalla vostra solita normalità – qualunque essa sia – e “pazziare” per almeno cinque minuti.
Questa frase Vi invita a rispondervi: siete usciti? Avete pazziato? Non avete osato? Siete contenti delle vostre scelte? Avete rimpianti? E ccetera. E ccetera, come diceva Frate Antonino da Scasazza.
Questa frase esorta a smettere queste diatribe filosofeggianti, invitando i presenti a badare al vivere quotidiano, che l’è meglio.
Questa è la prima frase del messaggio, che si ripete anche all’interno del messaggio stesso.
Questa frase ricorda a se stessa, alle sue colleghe e a Voi che la leggerete (forse) in seguito, che esiste un interessante libercolo che parla di bizzarrie logiche simili o diverse da questa faccenda delle frasi; il suo titolo è “Qual è il titolo di questo libro?”, autore Raymond Smullyan, che Gianni possiede nell’edizione di Zanichelli del 1981.
Questa frase cerca di dire cose quasi serie, ad esempio che a Gianni piace trovare ogni tanto il modo di perdere tempo in pensieri e attività dilettevoli ma di scarso costrutto. Che non è cosa su cui viverci, naturalmente, ma ha la sua importanza per vivere meglio. Beh, non so se sono stato chiaro ma ho fiducia nella vostra intelligenza. Ho davvero fiducia, non come gli indagati e gli inquisiti che hanno fiducia nella magistratura (celebre vignetta di quel genio di Altan di tanti anni fa: “Anche tu hai fiducia nella magistratura?” “Grazie al cielo posso farne a meno”).
Questa frase introduce un concetto divertente, quello delle.
Frasi incompiute.
Che possono essere anche.
Senza verbo.
Questa è quasi la prima frase del messaggio, che si ripete anche all’interno del messaggio stesso.
Questa frase è la penultima del messaggio, e inizia a salutarvi.
Questa frase afferma che la frase precedente è bugiarda, perché non è la penultima.
La penultima frase sono io.
Se quanto affermato dalla frase precedente è vero, se ne evince che questa frase è l’ultima del messaggio, che pertanto vi saluta e vi augura una felice serata.
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FIABA DELL’ULTIMA FIABA
C’era una volta una fiaba che si trova, come per incanto, a esser l’ultima fiaba di un libro di fiabe; è un po’ triste, perché le cose che finiscono le mettono malinconia. Però è anche contenta di aver ottenuto questa importante responsabilità. Ha deciso dunque di sfruttare lo spazio a sua disposizione per salutare tutti coloro che hanno avuto la bontà di giungere fino a lei. Ecco cosa dice:
“Spero che le amiche che mi hanno preceduta vi abbiano tenuto una buona compagnia; certo, alcune delle mie colleghe qui sopra sono un po’ strane, forse un po’ matte, ma anche il loro autore è un po’ matto e un po’ strano.
Il mio augurio è che continuiate ad amare le storie e che vi sorga il desiderio di raccontare a chi sente il bisogno di ascoltare.
Vi auguro anche di riuscire a essere gentili con chi vi circonda.
In questo tempo di orchi sembra difficile, ma ricordate che gli orchi, anche se fanno un po’ paura, sono piuttosto stupidi e quasi sempre più spaventati di voi.
Dunque non abbiate paura, buonanotte e a domani”.
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E vissero, per un po’, abbastanza felici e contenti”.
Guido Catalano, Fiabe per adulti consenzienti, Rizzoli, 2021