Sardegna, la settima volta che sbarco da un traghetto – no, una era un aereo – sul suolo di quest’isola che più che isola è un continente. Non solo in senso geologico, anche geografico e culturale.
Donatella no, è solo la seconda volta, ma di cose nuove ce ne sono sempre a bizzeffe pure per me.
Poi è il viaggio di nozze, non so se mi spiego…
Due agriturismi prenotati, in due posti che più diversi non si può: la verdissima e rocciosa Gallura appena appena interna, presso San Pantaleo, a due passi dalle mejo spiagge della Costa Smeralda, e le bicolori pendici arido-boscose delle colline che delimitano il Campidano, steppa agricola, granaio del Mediterraneo dai tempi dei Fenici e dei Romani.
Ca’ La Somara, si chiama l’agriturismo gallurese: un posto che definire “accogliente” è poco. Sicuramente uno dei più belli e piacevoli “alberghi” (chiamiamoli cosi’ in senso generale) dove sono mai stato. Uno stazzo ristrutturato, un insieme di tre edifici bassi e bianchi arredati rusticamente ma con estremo buon gusto e decorati in stile vagamente messicano, mi ricordavano il “centro storico” di San Diego, immersi nel verde di erba innaffiatissima sughere eucalipti eccetera, gestiti da una coppia geniale e socievole senza invadenza di ex-architetti del continente (lei savonese, lui torinese) 5 asine 5 che pascolano e oziano nei prati, ragliano per chiedere la colazione (uno dei più cacofonici suoni udibili al mondo, il raglio di un’asina – i maschi pare siano peggio) e accorrevano a frotte quando Donatella portava loro lattuga fresca e le imboccava. Uno spasso, vedere Dona con ‘ste foglie di lattuga in mano e cinque bocche asinine che si accalcavano ad afferrarle. Foto a gogò, of course.
Un piccolo patio al centro della “stalla”, l’edificio in cui avevamo la camera, che serviva per socializzare la sera coi vicini di camere; una cucinina con frigo per essere autonomi col cibo volendo; due cene comuni con gli altri ospiti, un aria fresca e limpida e piena di grilli la sera, sotto la luna crescente e limpidissima, il profumo di macchia mediterranea (cioè di Sardegna) tutt’intorno, e le rocce lunari del granito gallurese sullo sfondo. Insomma un posto meraviglioso, giustamente finito dentro articoli di arredamento e architettura (AD, Grazia) e in cui speriamo di tornare, magari in bassa stagione, ma anche ai primi di agosto si stava benisssssimo. E tanti saluti agli altri ospiti, soprattutto la giovane coppia romana lui taxista con baffetto nero alla Clark Gable, lei bionda occhi azzurrissimi e panciona tonda tonda di quasimamma. Sono quelli con cui abbiamo socializzato di più, colazioni insieme, chiacchiere e baci di addio alla partenza, e nemmeno abbiamo chiesto loro come si chiamavano. Né loro a noi. Amenità della vita!
La Costa Smeralda è proprio splendida, me la ricordavo poco e male e mi è piaciuta tutta e tanto. Riesce a far convivere gomito a gomito ville da sciuri, villaggi benissimo o quasibenissimo costruiti (che magari avessero edificato così negli anni 60/70/80 le Riviere liguri! Ma evidentemente ci voleva il buon senso dell’Aga Khan, che i nostri architettigeometri e politici non hanno avuto pari) e baie sabbiose dove non si vede un edificio che sia uno, il tutto in pochissimi chilometri quadrati. Si, sapevo ben che la Sardegna è fondamentalmente spopolata, ma qui c’è un fracco di gente e di case, e pure basta girare una curva e non le vedi più. Che invidia, io ligure, per questa Costa Smeralda fortunata! A prescindere dal mare, che quello è tropicale in tutta l’isola, non solo qui. Ma qui è il connubio tra strutture turistiche e natura che mi pare particolarmente ben riuscito. Fra Baja Sardinia, Porto Cervo, e la miriade di calette e spiaggette: Principe, Pevero, Brandichi, Tremonti…
Poi i dettagli: il giro in auto della Maddalena, ripetizione di analoghi tours di 15 e 22 anni fa, una spiaggetta a Caprera accanto a quella in cui dormimmo nell’85 all’addiaccio, e una foto di roccette affioranti che poi mi sono ricordato di aver già fotografato allora. I due cinghialetti che correvano sulla spiaggia di Liscia Ruja ad abbattere i bidoni della spazzatura per frugar cibo, fra i bagnanti divertiti, le tombe dei giganti di Arzachena, scampoli di preistoria nella campagna deserta, i ripetuti confronti tra me e me tra le spiagge di oggi e quelle viste e dormite nel ’79, e a pensare ” questa sarebbe ottima per dormirci all’addiaccio o campeggiarci in tutta libertà, se solo si potesse ancora farlo: e chissà qui, nel ’79 com’era, e immaginarsi con tenda, chitarra, fornelletto e lampada a gas, materassino e sacco a pelo a cantare e bere vino sotto le stelle sulla sabbietta di Capriccioli svuotata, col tramonto, da voci piedi telefonini ombrelloni giornali occhialiscuri asciugamani gambe facce tette pance costumi barche dei turisti italoeuropei, nel silenzio stellato del cielo estivo con lo sciacquio delle onde piccole piccole. Invece anche noi col tramonto liberavamo la rena, ahimè! (anche prima del tramonto, che arrivando in spiaggia prima delle 10, alle 16 eravamo stufi) e nessuno si fermava accampato a godersi la notte. Peccato per i ventenni di adesso, che per scoprire (se lo scoprono) il piacere di dormire sotto le stelle non basti una vicina, comoda e poco costosa traghettata in Sardegna. O forse si, in qualche anfratto isolato, forse… Però noi eravamo stati più fortunati, 22 anni fa. Era assai più semplice, allora.
A girare in coppia, invece che in gruppo adolescenziale, si conosce più gente: si sta meno chiusi nel proprio affollato casino privato e si conversa volentieri coi vicini di sabbia, di tavolo, di nuotata, di colazione. Generalmente altre coppie, e i discorsi non sono mai troppo profondi, ma c’è quel bell’andirivieni di accenti italici, informazioni sulle cucine tipiche, i climi regionali, i diversi lavori, quando invece non si sta zitti zitti ad origliare i discorsi altrui con orecchio comareccio, come al Pevero con quella signora 45enne(?) bella, ricca e annoiatissima seguita da tre figlie di piacevole bellezza e sbocciante gioventù e un’amica-di-una-figlia idem come sopra. Le ragazze si facevano i fatti loro e parlavano dell’aperitivo in piazzetta a Porto Cervo, del Pejote (discoteca dei dintorni) e di andare in barca a Stromboli (barca dello zio, se ben ricordo) mentre la mamma (Nicoletta Di Stefano, si chiamava) ha passato ore e ore al telefonino a parlare e ascoltare chissà chi, e a salutare con amichevole affabilità i venditori ambulanti neri che le offrivano parei e copricapi colorati come a una antica e affezionata cliente. Va beh, abbiamo fatto i pettegoli per un po’, e allora?
Poi si parte, verso l’arido interno.
Sant’Antioco di Bisarco, comune di Ozieri, patria del prof. Giuseppe Pericu, sindaco pro tempore di Genova, è un esempio mirabile di cosa possa essere la Sardegna interna: la steppa gialla intorno alla strada di scorrimento Olbia-Sassari, poche pecore, indizi rari di centri abitati, insomma un nulla non troppo dissimile dal Texas percorso in auto da Kevin Kostner e amici nel film Fandango, e d’improvviso ‘sto chiesone, alto e un poco defilato, tutto un romanico in pietra, elegante, severo, austero, (questo in Texas non c’è, però) silente nel deserto silenzioso, un posto che diresti dimenticato da Dio e dagli amministratori locali, e invece lo trovi abitato, nel fresco e buio interno, da due ragazze della locale Pro Loco, gentilissime, fornitissime di opuscoli culturali d’ogne tipo e natura, che ti spiegano come la sullodata chiesa sia sede di manifestazioni culturali, concerti, e anche nei dintorni (dove sono i dintorni? ti chiedi sulle prime. Poi ci pensi e capisci che ci sono dei dintorni anche qui, e che molto probabilmente meriterebbero una visita, se il tempo….) si tengono fiere, mostre, concerti e spettacoli, e insomma, sembrava vox clamantis in deserto e si è rivelata un piccolo faro di civiltà in una plaga solo apparentemente desolata, in realtà vivace e attiva. Pregiudizi da continentale…
L’Agriturismo “Sa Tella” (in zeneise diremmo “A Ciappa”) sorge, moderno o almeno restaurato modernamente, alla periferia collinare di Gùspini, uno dei grossi e distanziati borghi del Campidano, o meglio delle pendici collinari che separano il Campidano dalla disabitata costa orientale, in provincia di Cagliari ma abbastanza vicino a Oristano.
Tutt’un altro mondo, qui: da un lato colline splendidamente selvagge dove una strada infinita, lunghissima e sterrata attraversa boschi, valica colli, oltrepassa miniere abbandonate per giungere, infine, a un mare di grandi dune sabbiose e onde oceaniche dove sfociano torrenti resi rossi dal ferro. Dall’altro lato la pianura gialla oltre la quale ricomincia l’andirivieni di piccoli colli, nuraghi, ruderi di castelli medievali, paesi di mattoni e pietre chiare, pecore, incendi…
La spiaggia di Piscinas sembra un quadro metafisico di De Chirico: un gazebino e due cabine in legno pulite e luccicanti al sole in mezzo a un deserto di sabbia, dune alte come colline e un mare blu fragoroso di maestrale. Poi le colline verdissime dell’Iglesiente, una statale tuttacurve, imprevedibili occasioni per fermarsi e turisteggiare: il piccolo, ricchissimo museo del coltello di Arbus; le colonne antiche del tempio di Antas, sardo, fenicio, romano, coi cavalli che pascolano poco lontano; il murale di Fluminimaggiore con Tex Willer e suo figlio Kit che polemizzano con amministratori locali inquinatori; il sentore di Castiglia che emana dalla piana stepposa intorno a Villaermosa, anche il nome evoca reminiscenze ispaniche. E poi l’ottimo pesce della trattoria di Cabras, com’è che si chiamava? Ma la si trova facile, quando si e’ lì. E Tharros fenicia, con la sua penisoletta, le vie lastricate e il mare azzurrisssssimo; e la signorilità razionalista e liberty di Arborea, nata Mussolinia, che possiamo ben dirlo che prima dell’Aga Khan in Italia bisogna arrivare agli architetti dell’epoca fascista per trovare gente che pensava anche all’estetica, non solo ai metri cubi di cemento, quando costruiva case e città.
Poi la Giara. Sa Jara Manna, la Giara di Gesturi e i suoi cavallini…. ma ne riparleremo…
Invece, Sa Tella. Ok, non ha il fascino rusticamente intellettuale di Ca’ la Somara, ma ragazzi, come si mangia bene a Sa Tella! Qui i gestori, gli agrituristi, sono sardi sardissimi, cordialissimi, affabili e molto simpatici, anche un po’ casinari, e fanno delle cene che sono delle benedizioni divine: antipasti primi secondi contorni frutta dolci acque e vini a volontà, salumi arrosti formaggi pasta porceddu, mieli di dieci tipi, marmellate di fichi squisite….. che bontà! Poi il bicchierino di mirto al fresco nel patio, sotto la luna cicciona, le quattro chiacchiere coi compagni di tavolo, i metri cubi di raccolte di Topolino Paperino e compagnia cantante da leggere prima di spegnere la luce, o in spiaggia…
Anche qui, per fortuna, le cene erano gioviali e animate, le varie coppie, etero e omo, che popolavano l’agriturismo in guisa di ospiti era gente con cui riuscivi sempre a dire le tue fregnacce in maniera simpatica, e ciò aiutava l’abbuffata e la successiva digestione. Grande abbondanza di milanesi e padani in genere, ma anche dal sud…
Faceva sempre un certo effetto dire che eravamo sposati da dieci giorni, tutti ci guardavano con simpatia e ci facevano gli auguri. Magari qualcuno ci commiserava in cuor suo, ma peggio per lui.
Siamo tornati che i più arrivavano (il 13 agosto) ed è stato bello così. Mi manca la Sardegna in primavera, ci dobbiamo andare in aprile, prima o poi.
E per finire, due pensieri interessanti (altrui):
Cerca di conservare sempre un brandello di cielo sopra la tua vita (Marcel Proust, “Dalla parte di Swann”)
Chi fa un lavoro che ama non lavorerà nemmeno un giorno della sua vita (letto su un murales a Fluminimaggiore)