1) Se a Valtournenche si prende la funivia delle Cime Bianche, in inverno si arriva in una ampia conca innevata, aperta al sole e alla vista delle cime lontane, con seggiovie per salire ancora, insomma, un posto per sciare. Ci vai in estate e dici “e ben?” che scendi dalla funivia e ti trovi nel nulla, un prato mezzo fangoso, poi boh? Beh, un ristorante-baita-bar a due passi, ma ti vien voglia di andare un po’ più lontano, lì è come essere sul treno Savona-Torino e scendere a Maschio, per chi sa dov’è, non c’è niente, sei in mezzo alla foresta senza fine del Bosco di Savona, ti chiedi ma che ci han messo a fare una stazione lì? Anzi, ormai, pur essendo la stazione di Maschio sull’orario di Trenitalia non vi si fermano treni. Consultare l’orario per credere: la stazione è citata ma senza treni che si fermano. Bah!
Ben, alle Cime Bianche scendi nel nulla estivo dei 2400 metri e inizi a camminare in su, se no che altro? E procedi ignorando il bar-baita lì accanto, procedi e il prato si fa meno fangoso, anzi, diventa una bella prateria alpina una proprio bella prateria d’alta quota, piena di fiori di tutti i colori, e zeppa di stelle alpine, le ha notate per prima Donatella, io non ci pensavo nemmeno, invece tantissime. Ma non erano a rischio, vietato coglierle, rarissime? Si vede che a furia di vietarle sono aumentate di numero, meno male. E mentre cammini sul prato fiorito odi il cinguettio veloce di qualche uccelletto, il campanaccio delle mucche al pascolo lassù, un rombo fioco di aereo… e la musica. Una musica possente, forte, maschia, una musica che mi faceva pensare alla battuta di Woody Allen in Manhattan “a me dopo mezz’ora che ascolto Wagner viene un desiderio irrefrenabile di invadere la Polonia”. Ecco, con quella musica magari proprio la Polonia no, ma almeno invadere Zermatt e il Vallese… E più si sale più questa musica che sembra provenire dalle sfere celesti cresce, finché ci rendiamo conto che non sono i cori angelici a produrla ma gli altoparlanti di una seconda baita-ristorante-bar, assai più lontana della prima, immersa nella prateria, circondata da ruscelletti murmuri e sorvegliata a distanza da una bella mandria di mucche con cani d’ordinanza. Nella baita stava una signora di mezz’età, simpatica senza caciara, valdostana di fondovalle che col marito tiene aperto inverno e poca estate il sito. Ci ha pregato di farle un po’ di pubblicità e gliela faccio volentieri perché se la merita, montagnosamente cordiale e musicalmente coinvolgente: si tratta di “Lo baracon dou Tene”, con sto nome che mi pare più provenzale che patois-francese ma fatti suoi, con “cucina e vini della Valle d’Aosta” aperto in inverno e in piena estate. Raggiungibile dalla funivia Cime Bianche lungo il sentiero n°23, tel 0166 93 023 cell 329 98 34 030 (se leggo bene il foglietto). Vi capitasse di andar su…. Io mi son reso conto di esserci stato un inverno ormai passato, con amici vari.
2) Quincinetto è il primo casello piemontese uscendo dalla Valle d’Aosta o l’ultimo entrandovi. Per caso abbiamo scoperto uno stupendissimo ristorante non proprio gratis, da 55 euro in due, dove però – assistiti da un corpo di camerieriparentidelgestore di squisita gentilezza – si mangia molto bene cucina alpina e prealpina, ottimi funghi eccetera. Da tornarci. Boja se mi ricordo il nome, ma entrando in paese alla cieca ci sono le frecce, si sale nella parte alta del paese fuori dal centro più storico ed è fatta.
3) sopra Cervinia c’è Les Chochards, baita-ristorante che d’inverno ti vengono a prender giù col fuoristrada per far figo ma d’estate c’arrivi in auto o a piedi tanto è vicino. Ottima la fonduta di cioccolato, con la frutta da pucciarci dentro!
4) Sto girando il Monferrato per preparare (a 3 mani) la GuidaIdea “Terre d’Asti” per De Agostini. Uno spasso vagolare per colline nell’antevendemmia: a parte che le colline in generale mi piacciono, ma poi adesso, ci sono certi punti dove l’aria è satura del profumo dell’uva, sarebbe da star lì ad annusare per ore. Ti metti su qualche crinale dove sotto scendono i vigneti giù per i pendii e annusi. Mmmmmmmmmhhhhhhhhh! Ah, compratela, la Guidaidea Terre d’Asti, quando sarà uscita!
5) Rosignano Monferrato è uno di quei paesi astigiani messi in cima a quelle colline. Un paese come tutti gli altri, antico, vecchio, ripido, il castello in cima, profondo Piemunt. C’è un’osteria molto familiare, praticamente mangi in casa, fra vecchi mobili e soprammobili di campagna, il santino di Padre Pio, la tv accesa sui programmi popolari di Retequattro, diciamo le buone cose di pessimo gusto, gozzanamente. I due osti, 65 anni circa, sono baresi. Di Bari. E si sente. La signora diceva che si sono sposati nel 60 già in Piemonte, hanno i figli a Torino, non vanno quasi più a Bari perché ormai sono legati a lì, a Rosignano e al Piemonte, insomma vivono lì da 45 anni almeno e ancora hanno l’accento barese. Sulle prime stupisce ma credo sia così per tutti coloro che emigrano. “Bellin, cinquant’anni che sun a Zzena e ancun me ddiccono cabbibbo!” Ecco, così.
Ah, la storia d’amore è tenera: erano stati “fidanzati” da ragazzini, poi lui partì per il nord. Quando si sistemò le fece sapere, tramite un cugino, che ancora pensava a lei e l’avrebbe voluta con sé in Piemonte. Lei ricordò l’amore di un tempo e salì. E vissero a lungo felici e contenti nella casetta-osteria di Rosignano Monferrato, paese a prima vista più da capre che da gente del XXI secolo. Questo però nella guida non ce lo scrivo…
6) Serata musicale all’aperto a Villa Ormond, a Sanremo. Prima un quartetto guidato e cantato da una silhouettosa mora genovese che faceva bossanove e sambe di Vinicius De Moraes et al. in autentico portoghese brasileiro, poi swing italo-americano anni 30-40 suonato da un attempato sassofonista italiano pare molto famoso ma mi sfugge il nome. Ero con lo zio Carlo (zio di Dona) che andava matto per il sax e lo swing, roba della sua gioventù torinese, lo capisco. Io poi a Genova mi son comprato il cd di Arbore “Tonite Renzo Swing”, un buon acquisto.
7) Al Museo del Vetro di Altare e da un artigiano vetraio della gloriosa casata vetraia altarese dei Bormioli (un ramo emigrato è quello dei tappi per i vasetti di marmellata) a prender contatti e far foto per il calendario della Cassa di Risparmio di Genova 2003, tema i prodotti tipici di Liguria, testi miei foto altrui. Affascinante vedere come quelle boccette di vetro informe diventassero anatre in volo, cavalieri, crocifissi e pesciolini sotto le mani e il soffio del Raffaello Bormioli, mani, fiato, due bastoncini per tener su la pasta di vetro e la fiamma del cannello a scaldarla. Artigiano-artista.
Anche lì non si è mangiato male. Da Bruna? Rosa? Carla? Boh? comunque casalingo e abbondante. Poi ad Albisola dai ceramisti, ma ha lavorato solo il fotografo, io ciarlavo col boss del laboratorio, era meno faticoso.
8) Trallaleri a Palazzo Ducale: è in corso nel cortile maggiore del Ducale, due volte alla settimana per tutto settembre, un ciclo di esibizioni di gruppi di trallaleri. Il trallalero è un canto polivocale a imitazione strumentale, tipico di Genova ma simile ai canti polivocali similstrumentali che si ritrovano in varie terre lungo i paralleli del Mediterraneo dall’Italia alla Georgia (quella caucasica) e in Italia almeno, oltre che in Liguria, in Sardegna, col canto a tenores (famosi i tenores di Bitti, hanno cantano anche con Sting) e in Toscana col canto a bei (questo lo ignoravo, l’ho scoperto stasera al Ducale). Per essere un po’ più esaustivo vi riporto (me immodesto) il pezzetto che scrissi per la “Genova Guida” edita dalla Sagep nel 99, ormai esaurita, e che si trova nella sullodata guida a pag.212, proprio in fondo, accanto al pezzo sul vocabolo “belin”:
“Se entrate in un negozio di dischi e cercate un CD di trallaleri avrete modo di conoscere una forma di canto tradizionale ancora ben diffusa in città e nell’immediato entroterra. I trallalleri sono canti polifonici eseguiti senza strumenti musicali, in cui l’armonia nasce dal continuo gioco di contrasti e di amalgama delle voci; trallaleri come nome onomatopeico, perché la struttura dei canti è retta dalla ripetizione di sillabe senza senso, a puro scopo musicale. Le squadre sono composte da soli uomini, ciascuno con un ruolo vocale ben preciso: c’è il contralto, o falsetto, il baritono, il tenore, la chitarra vocale, i bassi. Recentemente, segno dei tempi, una squadra ha avuto l’ardire di accettare una donna nel ruolo di contralto. Ed ha ottenuto successo, anche. Si cantano storie d’amore, episodi di vita popolare, i bei tempi andati, le bellezze dei quartieri cittadini. Le latterie e i bar del centro storico erano le sedi naturali delle sfide canore tra le squadre, che oggi partecipano ai festival di musica folk. Si può essere cantanti anche a titolo personale e girare i bar in cerca di altre voci per fare quella che nel jazz si chiamerebbe una jam session.”
Ecco, stasera si esibiva proprio il gruppo con la donna come “cuntretu” (contralto) il “Gruppo Spontaneo Trallalero”, nato a Busalla e stabilitosi a San Biagio di Valpolcevera (sopra l’ipermercato L’Aquilone, per capirsi). Bravi, anche se azzardo affermare che la Laura Parodi ha proprio (e meno male per lei) la voce da donna, mentre i falsetti uomini si sente che sono uomini che cantano in falsetto, quindi è un po’ diverso. Ma se va bene per gli esperti, va bene anche per me! Comunque non cercate di capire le parole dei testi delle canzoni: fra i rimbombi dei bassi che basseggiano e la strettezza del dialetto cantato, insomma, mi nu ghe capisciu un belin, o squaexi ninte, almeno.