Finesettimana autunnalmente uggioso a Sanremo, finalmente è caduta acqua dal cielo su questa città siccitosa da troppi mesi e su questo giardino che è sempre stato umido ma solo per via delle quotidiane innaffiature manuali e irrigazioni automatiche. Camino e termosifoni accesi in casa, piumino nel letto, gatta acciambellata sulle coperte, cose così. Ottima situazione per dedicarsi alla cura dello spirito, dunque, con due appuntamenti diversamente culturali.
Prima cultura, la serata conclusiva del Tenco (il festival della Canzone d’Autore, insomma), all’Ariston sabato sera. Terza tencata degli ultimi anni per me e, di nuovo, uno sta a sentire musica varia dalle 21 a mezzanotte e torna a casa abbastanza contento per aver scoperto buoni e ancora sconosciuti facitori di musica, pur essendoci sempre qualcosa che pare una boiata pazzesca in mezzo a quella strana fauna artistica che canta, salta e si dimena lì dentro.
L’anno scorso avevo scoperto con piacere Sergio Cammariere, buon cantante blues-jazz, cugino o nipote (più probabile nipote) del compianto Rino Gaetano, che dal Tenco è passato al più celebre e televisivo “Festival di Sanremo” dopo pochissimi mesi, medaglia di bronzo se non ricordo male.
Quest’anno il tema del Tenco era la letteratura nella musica, quindi c’è stato gran sciato di parole scritte da autori letterati anche celebri. Nella serata conclusiva ho avuto quindi agio di scoprire un duo (+ alcuni musici che li accompagnavano) bizzarro, Stefano Palladini e Zazà Gargano che mettono in musica poesie antiche: cioè loro compongono e suonano una bella musica allegra vivace, roba folk-rock-blues-jazz-pop leggera, e i testi li prendono da gente tipo Poliziano, Dante, signori di questo tipo. Hanno esordito con Donne che avete intelletto d’amore, per dire. Non male, per nulla.
Sempre bellissima la voce di Alice ma poco coinvolgente il suo Blasfemo di De Andrè e quelle altre due cose che ha cantato, una di Mario Sgalambro l’altra di non ricordo più chi, insomma, avesse cantato in swahili forse avrebbe fatto meglio, uno si sarebbe goduto il suono della sua voce e stop. A vederla da lassù faceva la sua figura, in senso estetico intendo. Poi chissà, vista da vicino gli anni passeranno anche per lei, già cantava nell’80…
E’ la volta di Sabri Mahmood e Fanà, un gruppo italo-tedesco-indiano-capoverdiano-indonesiano-marziano che unisce la danza sufi dei Dervisci roteanti con musiche occidentali diciamo delle solite, rock, jazz, new age ecc. Un po’ la stessa operazione di Palladini e Gargano ma invece delle poesie italiane antiche le danze dervisce che misticamente avvicinano a Dio. Con canzoni cantate in boh, arabo, o hindi, o indonesiano o checazzodilingueerano, tratte dai testi di varia gente dei tempi andati tra cui (leggo sul giornale del Festival) di Jalal al-Din Rumi, teologo e poeta mistico del Duecento. Introduzione da veri sufi, con l’invocazione in arabo a Dio il Clemente il Misericordioso (ar-rahman ar-rahim), e poi via andare. I due dervisci però erano un po’ scoordinati, uno roteava elegante, testa con cappellone cilindrico leggermente inclinata, braccio destro alzato braccio sinistro indietro, passi veloci e gonnellone bianco che ruotava alzato e ampio; l’altro era un po’ rachitichino, braccino destro piegato ad angolo retto, passo più lento e quindi gonnellone bianco floscio, testa diritta, o aveva la sciatica o una crisi di fede non so, ma non faceva una gran bella figura.
Altra letteratura rinascimentale proposta da Vinicio Capossela che ha cantato alcuni sonetti di Michelangelo accompagnato da suoni di strumenti antichi (liuto…) ma francamente faceva un po’ cagare. Recitazione stile pazzo-allucinato-arrocchito vestito con una specie di camicia di forza, boh, forse sarebbe stato meglio se il Buonarroti se lo fossero presi in carico i Palladini-Gargano, lo avrebbero trattato meglio.
Enzo Jachetti ha eseguito – cantando assai bene, a mio parere – alcune sue canzoni-bonsai, che un po’ fan ridere e un po’ sono una gran scemenza. Divertente ma un po’ troppo da varietà televisivo senza spessore, secondo me. Però come cantante se la cava egregiamente, davvero.
Poi sono arrivati i Kosovni Odpadki (Rifiuti Ingombranti), friulani di Gorizia / Nova Gorica vestiti da centro sociale che cantano in sloveno-furlan-italiano con testi dei loro amici Trastolons (Dondolanti) musiche molto Goran Bregovic e un po’ Modena City Ramblers, un interessante miscuglio musicale etnico di italiani, slavi e zingari, non mi comprerei un loro disco ma capisco che si meritino il loro posto nel panorama musicale europeo contemporaneo. Anzi, auguro loro che si conquistino il posto che meritano.
Infine Patti Smith, a chiudere la serata, a vincere il premio Tenco, ad abbracciare la quasi mummificata Fernanda Pivano e a cantare unplugged accompagnata da una chitarra acustica suonata da un giovine che forse era suo figlio. Capelli lunghi grigi, vestita di grigio, la stessa voce roca e forte di 30 anni fa, brevi discorsi su pace e people have the power, lettura di poesie sue, dediche a Madre Teresa e a Giovanni Paolo I, non la credevo così legata a questi grandi miti cattolici contemporanei. Beh, almeno Madre Teresa non è un mito solo cattolico. E l’Albino Luciani ha colpito più di quanto è durato (le vie del Signore….)
Pensierino finale, riferito a gente tipo Palladini-Gargano, Sabri Mahmood-Fanà e i Kosovni Odpadki: a orari e giorni abbastanza comandati (colazione, pranzo, viaggi in auto) ascolto spesso musica, soprattutto su Isoradio o su Mtv, e constato come le canzoni e i cantanti che passano siano sempre gli stessi. Magari gli stessi 40, ma gli stessi. Tanto fra gli italiani che fra gli stranieri, mi pare. Poi uno viene al Tenco e si rende conto che c’è un mondo di gente che suona e che non viene presa in considerazione dai “mass media” anche se dice delle cose almeno altrettanto interessanti e valide dei fortunati radio-televisionati. Gente che si fa il culo per proporre musiche e canzoni che hanno una ragion d’essere, roba legata a determinati luoghi del mondo, a certe culture, a certi modi di pensare e di vivere, che però forse sono troppo poco nazional-popolari (se italiani) o troppo poco anglosassoni (con le importanti varianti – comunque sempre americane – dei neri-dei-ghetti e dei cuban-portoricani di New York) per apparire appetibili a chi decide i “palinsesti” radio-tv. Dirai: ma che mi frega dei dervisci che danzano su ritmi rock? O dei friulani che fan casino in sloveno? Già; ma ci tieni davvero tanto ai rapper neri di Chicago che ti propone la tv musicale italiana? E la norvegese Lene Marlin che piagnucola al tramonto sul lago you weren’t there (canzone peraltro piacevole, ce l’ho), fa poi della musica immortale?