È il titolo di un libro che ho ricevuto in regalo da Loredana, mamma dei miei gatti e abile nello scegliere gli argomenti di lettura. Anche perché conoscendo il mio giardino sa benissimo quanto io ami e ammiri la parte vegetale del mondo.
L’autore è Stefano Mancuso, il noto e da me molto apprezzato neurobiologo vegetale di cui ho già letto diversi suoi scritti. Questo presenta “storie di vita esemplari, aneddoti, esperimenti e ricerche di naturalisti, botanici, genetisti, filosofi, esploratori che hanno rivoluzionato la nostra idea del mondo vegetale”.
Ho scoperto alcune cosucce interessanti; ad esempio che Charles Darwin era soprattutto un botanico e che la sua prima idea della teoria dell’evoluzione naturale gli nacque proprio dagli studi sulle piante, più esattamente sul rapporto strettissimo che lega alcune piante ai loro insetti impollinatori, che spesso sono di una specie soltanto e molto particolare, e senza i quali le piante non riuscirebbero a fecondarsi e propagarsi.
E studiando la botanica comprese ciò che ormai è un dato di fatto ovvero che le piante non sono per niente meno complesse degli animali, e sviluppò la teoria della “radice-cervello” cioè che la radice è l’organo di controllo degli organi di senso della pianta e ne dirige i movimenti, così come fa il cervello negli animali.
Federico Delpino era ligure, nacque a Chiavari nel 1833 e studiò matematica e scienze naturali all’Università di Genova. Una stretta strada di collina ne mantiene viva la memoria in città. Darwin lo conosceva e lo stimava. Tra i suoi molti interessi menziono quelli rivolti alla mirmecofilia di alcune piante – la collaborazione mutualmente vantaggiosa tra le piante che secernono nettari extrafiorali, apparentemente inutili alla pianta stessa, e le formiche che sfruttano queste sostanze e difendono le piante contro le minacce di altri animali – e più in generale gli studi sull’intelligenza delle piante (che oggi si dà per ovvia ma allora non lo era per niente).
Interessante è anche Odoardo Beccari, fiorentino, che nel 1878 nell’isola di Sumatra identificò e descrisse una delle più strane piante viventi, l’Amorphophallus titanum (fallo informe gigante); un’erbacea che produce un’infiorescenza alta fino a tre metri che ha colore rosso carne ed emana un odore di carne in putrefazione; colore e odore attirano coleotteri e mosche che mangiano carogne, che entrano nel fiore credendo di aver trovato un ipermercato zeppo di ottimo cibo ma si sbagliano; il risultato però è che aiutano l’impollinazione e la fecondazione della pianta. Da questo e da altri fatti botanici Beccari sviluppò il concetto di mimesi vegetale, la capacità delle piante di fingersi ciò che non sono, di usare trucchi e stratagemmi per ingannare gli animali a proprio beneficio.
Aggiungo un plauso alla piccola mostra “Verde clandestino” da poco conclusa al Museo Civico di Sanremo: foto e testi del giornalista e blogger Fabio Balocco dedicati alle piante spontanee delle città, le cosiddette “erbacce” che invece sono una dimostrazione della forza e dell’intelligenza della natura. Il grande Libereso Guglielmi amava le erbacce (e molte di esse le mangiava).
Cito: “Perché educarci a osservare le piante spontanee anziché camminare per strada con le testa fra le nuvole? Per almeno tre motivi: 1) educativo: accorgerci che altre vite ci circondano ovunque; 2) morale: apprendere la capacità di adattamento anche nelle condizioni più estreme e meno adatte alla vita: 3) consolatorio: anche alla fine della vita umana sulla Terra la vita continuerà, almeno sotto forma di vegetazione.
Ci sarebbe da dire qualcosa anche su un bel libro imparentato col motivo 2): “Darwin va in città. Come la giungla urbana influenza l’evoluzione” di Menno Schilthuizen, Raffaello Cortina Editore, 2021, ma sarà per un’altra volta.