Pensateci, in qualunque (credo) religione che gl’uomini hanno inventato c’è qualche sostanza inebriante che permette ai fedeli, o almeno ai più “eletti” di essi, di avvicinarsi alla Divinità. Anche le tre castigatissime e un po’ noiose religioni monoteiste semite che attualmente governano il mondo contemplano almeno Noè che oltre che rifondare l’umanità dopo il Diluvio inventa il vino. Beh, lo so, l’Islam è analcoolico, nonostante certi suoi sublimi poeti tipo Omar Khayyam. Comunque che Noè inventò il vino e si ubriacò come un qualunque ragazzino diciottenne coglione del XXI secolo sta scritto, non so bene dove ma sta scritto e ci credo! e il fatto che si ubriacasse anche un prediletto da Dio come Noè forse significa che l’abuso di vino non è poi cosa tanto diabolica ma inqualchemmodo ha anche a che vedere con Dio.

Il peyote personalmente l’avevo scoperto in qualche racconto di Rin Tin Tin o di Zorro, insomma, in quell’epopea del Far West che ha affascinato quasi qualunque ragazzino occidentale secondonovecentesco, cow-boys, indiani che non erano ancora Nativi-Americani ma semplici pellerossa e come tali “cattivi”, cose così. C’erano gli Apaches Mescaleros, che non era il cognome, era che usavano la mescalina, roba da Arizona, New Mexico, Monument Valley, deserti con cactus e serpenti a sonagli. E doveva essere una cosa figa la mescalina, che la usavano gli stregoni, che allora sembravano (o erano presentati) un po’ dei selvaggi ma ebbi modo di apprendere poi che stregoni, sciamani e compagnia bella erano e sono gli antenati e i nonni e i cugini dei nostri preti, vescovi, imam e rabbini quindi andiamoci piano con le ironie da colonizzatori presuntuosi!
Poi venne Gabriele Salvatores col suo Puerto Escondido, che non vale il suo Mediterraneo ma si sa che dopo un’Oscar è difficile restare al livello. Comunque Diego Abatantuono in Puerto Escondido si fa di peyote, e la musica rende l’idea. E insomma, appare il peyote, come la mescalina, questa dai funghi, quello da un cactus sotterraneo, mi pare, ma il succo è lo stesso, sostanze naturali inebrianti e allucinogene che chi sa usarle le usa per aumentare la propria sensibilità fisica e psichica, sia per aprire una linea fastweb con Dio sia per capire meglio come vanno le cose del mondo e percepire meglio ciò che lo circonda.

Mi piacerebbe “farmi” (mangiare? bere? iniettarmi? aspirare? fumare? come ci si fa?) di peyote. So bene che ci sono altre N sostanze altrettanto naturali e altrettanto allucinogene nel mondo, che preti e fedeli di mille religioni usano per comunicare con Dio. Ce ne sono anche di artificiali, lasciamo perdere il crack o l’ecstasy che dubito abbiano mai avuto, finora, usi “sacri”, ma l’LSD magari si, per lo meno c’è chi ne ha studiato gli effetti allucinogeni scientificamente (ovvero secondo una sua religione apparentemente laica ma anche la Scienza può diventare Dio per chi ci crede q.b.: cfr Gregory Bateson). Nel nostro piccolo di cattolici di nome e poco di fatto abbiamo il vino, e anche il fumo dell’incenso in certe funzioni importanti, e anche lui un po’ inebrierebbe, volendo. Ma il peyote per me ha un fascino tutto suo. Non mi peyoterò mai. Non so come si fa, in Italia sarebbe stupido e senza senso anche se sapessi come si fa, non sono Carlos Castaneda e lo stesso Castaneda ci sono rumors che dicono che ha raccontato un sacco di balle, quindi lassemo perde.

Ma cerchiamo di trarre il particulare dal generale: io uso il vino per, beh, in un certo senso si, per comunicare con Dio; non ho visioni mistiche, più semplicemente sfrutto il ben noto – almeno per me – effetto di apertura mentale che da il vino assunto in quantità modiche ma appena superiori al minimo (e giustamente inferiori al massimo) per pensare, per farmi venire le idee iniziali dei lavori editoriali o anche scientifici, per decidere le cose importanti da decidere, per intraprendere insomma le imprese importanti, importanti per me hic et nunc, a prescindere dall’oggettiva importanza per l’Universo Mondo. Che a prima vista non sembra roba che c’entri col comunicare con Dio ma secondo me si, Dio nella versione intellettuale dello Spirito Santo credo abbia molto a che fare con l’attività mentale dei figli di Adamo, anche quando essi non pensano a Lui. Di solito – anzi sempre – il metodo del vino funziona: se voglio vedere con grande chiarezza ciò che sto facendo, ciò che sto iniziando, se voglio capire cosa devo fare e come devo muovermi in faccende di lavoro o di rapporti umani significativi, un paio di bicchieri di buon vino in più durante un pasto (rigorosamente consumato da solo, se no ci si distrae!) sono utilisssssssimi ed efficaci. Pur non avendo esperienza di allucinazioni sacre e mistiche mi son convinto che il meccanismo è più o meno lo stesso, fatte salve le dovute differenze pratiche: gli sciamani americani o siberiani che sniffano funghi e erbe mefitiche per capire cos’è bene per il loro popolo, gli/le oracoli dell’antica Grecia che cadevano in trance bruciando foglie di alloro e vaticinavano profezie incomprensibili ai baldi giovani che andavano a pugnare contro i Persiani, e l’anonimo Gianni Dall’Aglio che deve scrivere qualcosa di interessante per l’editore Tizio e il programma di ricerca europeo Caius usano gli stessi metodi offerti loro dalla natura, e quindi da Dio, per far luce nella loro mente: si inebriano un pochino. Non troppo, che poi non capisci più niente (non mi sono mai ubriacato in vita mia, non so dire come sia. Ma ho visto in giro, e non mi manca) ma quel giusto per innalzarsi al di sopra delle banalità quotidiane che ottundono più che sensibilizzare la mente.

Che è come dire agli astemi: non sapete cosa vi perdete!

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