Questa è una storia antica: risale all’agosto 1981, trentanove anni fa. Alcuni di Voi Lettori non erano ancora nati. Nella canzone “Il bandito e il campione” Francesco De Gregori dice “una storia d’altri tempi, di prima del motore”. Io dico “una storia d’altri tempi, di prima dei telefonini”.
Si partiva per le vacanze in nove o dieci con due automobili e partendo ci dicevamo “viaggiamo insieme ma se ci perdessimo lungo la strada ci vediamo… a Pisa, al casello di Roma, al confine con la Jugoslavia, al tunnel del Bianco… e i primi che arrivano aspettano”.
Era il viaggio di ritorno dopo due settimane in Sicilia fatte come usavamo a quel tempo (Sardegna ’79, Calabria e Maremma ’80, Sicilia ’81): rigorosamente in campeggio libero – in posti dove oggi verremmo multati immantinente ma quarant’anni fa era un altro mondo – con una tenda scout che avevamo appena terminato di usare al campo estivo, fornelletto per cucinare, tanca da dieci litri per l’acqua da riempirsi alle fontanelle, la spesa nei paesi ogni due giorni, accampati su spiagge libere ben lontani da stabilimenti, sdraio e ombrelloni, qualche giro in paese alla sera per vedere un po’ di civiltà. Ci lavavamo per lo più in mare e idem facevamo con l’insalata e i piatti: all’insalata non era necessario aggiungere sale e pazienza se il detersivo non faceva schiuma.
In quel viaggio avevamo speso più del previsto quindi gli ultimi giorni contavamo gli spiccioli (memento: nel 1981 non c’era ancora la telefonia mobile ma non esistevano neanche i bancomat).
Eravamo scesi da Genova a Palermo in traghetto senza acquistare i biglietti del ritorno e alla fine non avevamo più i soldi per comprarli per tutti quindi decidemmo che tre di noi (Federico, Marco, Rosalia) sarebbero tornati con le due auto sul traghetto Palermo-Livorno e gli altri sei saremmo andati in treno da Messina a Salerno, poi autostop Salerno-Firenze, notte (gratuita) in una sede di scout fiorentini, al mattino treno Firenze-Viareggio e lì avremmo ritrovato i tre navigatori automuniti per tornare a Genova. Con l’autostop risparmi un sacco di soldi.
Detto fatto: partenza da Messina a mezzanotte, treno affollatissimo, io mi sdraiai per terra nel corridoio del vagone usando la k-way chiusa come cuscino. A Salerno colazione in un bar poi al casello della A3, organizzati a coppie. Appuntamento a Firenze ogni ora in piazza della Signoria dalle 15 in avanti, chi arrivava per primo sarebbe tornato lì di ora in ora per aspettare i ritardatari.
I primi a esser caricati furono Ermanno e Nicoletta, poi Uge e Luciano (che prudentemente avevano rifiutato l’offerta di un automobilista che “ne voleva uno solo”) e Feffe e io: trovammo un tizio che teneva il riscaldamento acceso (in agosto!!!) che ci scese [uso transitivo di un verbo intransitivo, è scorretto ma mi piace] all’autogrill di Teano poi uno che fino a Firenze ci decantò le mirabili virtù delle donne rumene che “hanno la f… calda!”. Ipse dixit.
Prima o poi, ripassando ogni ora in piazza della Signoria, alla fine ci ritrovammo tutti e sei, e buonanotte. Al mattino, treno per Viareggio. Senza colazione, non avendo da pagarla.
Nel treno a stomaco vuoto socializzammo con una signora, dipendente di un ministero in pensione che andava alle terme di Montecatini. Le raccontammo la nostra vacanza e le nostre disavventure monetarie, chiacchiere per passare il tempo. A Montecatini ci chiese di aiutarla a far scendere le sue valigie e salutandoci ci strinse la mano: io sentii subito che dentro la sua mano c’era una banconota. Una mancia. Pensai che fossero, che so, cinquemila lire…
5000 lire del 1981 corrispondono – dice il sito inflationhistory.com – a 10 euro di oggi. Come mancia era più che buona. Invece…. erano 50.000!!!! Cento euro! Feffe inizia a urlare “la Madonna!! È la Madonna!!”. Con quell’oretta di chiacchiere e due valigie scese dal treno ci eravamo procurati, assolutamente senza volerlo e senza pensarci, di che rifocillarci tutti e fare benzina alle auto prima di partire per Genova. Ho una foto scattata nella stazione di Viareggio, tutti noi seduti con la banconota delle cinquantamila bene aperta in primo piano. Nella foto c’è anche un’intrusa, una ragazza bionda che si era unita alla conversazione in treno… chissà se esiste ancora, dov’è, cosa fa, come si chiamava…
Ricordo tutta la vicenda con due sensazioni: la prima è che sono ancora grato a quella “nonna” che sicuramente aveva visto in noi ciò che eravamo davvero, sei ventenni di buona famiglia, sporchi ma tranquilli e seri, le avremo fatto tenerezza, chissà… La seconda è che la piacevolezza di quel ricordo dipende anche dal fatto che siamo stati costretti a fare i poveri per alcuni giorni ma non eravamo veramente poveri e lo sapevamo tutti molto bene; il momento in cui fossimo arrivati nelle nostre case la nostra apparente povertà sarebbe immediatamente finita con una doccia e una cena preparata dalle nostre madri. La gioia nello scoprire quella banconota da cinquantamila lire è stata sincerissima e spontanea perché in quel momento eravamo veramente “poveri” e affamati, ma non c’era nulla di duraturo nella nostra povertà. Quindi quell’episodio di trentanove anni fa è rimasto un bel ricordo proprio perché è stato solo un episodio. E di ciò sono grato ai miei genitori e all’Universo/Provvidenza che mi hanno fatto nascere e crescere lì dove e con chi sono nato e cresciuto.