Libereso Guglielmi è certamente uno dei sanremesi più famosi al mondo, e non per insulse cronache giudiziarie o festivaliere. Bianco per antico pelo, tracagnotto e robusto, capelli e barba foltissimi a circa 80 anni di età, porta un nome che andrebbe bene per un anarchico emiliano (Libereso significa qualcosa come libertà in esperanto), ha o ebbe fratelli e sorelle che si chiamano cose tipo Germinale, Fulcro, Omnia…
Il suo debutto in società risale alla sua ormai lontana gioventù, quando fu “il giardiniere di Calvino”, inteso come professor Mario Calvino, insignissimo botanico sanremese insieme alla moglie Eva, genitori entrambi del grande Italo, lo scrittore, e di Floriano, geologo, grande anch’egli perché mi diede 30 e lode all’esame di geologia tecnica nel 1984 circa.
I figli di Mario non seguirono le orme paterne ma il fido ragazzo di bottega Libereso si, diventando un’autorità nella botanica, nella floricoltura e nella conoscenza del mondo vegetale in genere. Fece il direttore di diversi giardini in Inghilterra, sposandosi un’English girl che è ancora sua moglie, e adesso traffica felicemente qua e là per l’Italia e soprattutto per il Ponente ligure, concedendo volentieri gocce del suo sapere floristico ad occasionali discepoli che come i peripatetici seguaci di Aristotele lo seguono in bizzarre escursioni sul campo alla ricerca di erbe fiori e vegetali vari da osservare, annusare, assaggiare, disegnare e fotografare.
Lasciata Donatella nel suo letto di dolore fra influenze e catarri, domenica 28 marzo u.s. andai con amici di Sanremo e altri giunti apposta da Genova a partecipare a una di queste giornate botaniche liberese, a caccia di erbe selvatiche, a scoprirne i misteri sotto un sole finalmente primaverile.
Prima tappa il greto del fiume Roja presso la sua foce, a Ventimiglia. Quivi, fra pisci di cane e afrori di fogna (schiocchi di merli e frusci di serpi sarebbero stati meglio ma la bellezza del mondo si trova anche dove meno ci se l’aspetta, ed appare ancor più bella, così) tenendo dietro allo zoppicante passo del Maestro i fidi scolari hanno scoperto quanta varietà vegetale di erbe e fiori si celi anche in luoghi apparentemente schifosi come appunto un greto fluviale urbano, poi quanto son belli i colori e le forme delle erbe e dei fiori suddetti, indi quante erbe ascrivili alla categoria mentale delle “erbacce” siano invece potenzialmente utili, medicamentose, commestibili eccetera.
Stessa storia alla seconda tappa, decisamente più bucolica della prima perché lungo alcune fasce olivate ed erbose sopra la pietrosa Airole, uno dei molti “villages perchés” dell’estremissima Riviera dei Fiori. Altre piante, altre erbe, altre degustazioni di steli, foglie, fiori e rametti. Praticamente un’insalata ambulante. Avessimo avuto uova e tonno avremmo fatto una niçoise.
Libereso sa tutto di tutte ‘st’erbe: nome italiano e dialettale, nome scientifico, storia, modi di usarle, aneddoti dei tempi andati… e non inventa, io sono ignorante ma tra il pubblico c’erano degli esperti, nessuno l’ha mai preso in castagna, solo che ognuno di essi sapeva alcune cose, lui comprendeva in sé i saperi parziali di tutti costoro in un’unica onniscienza linneiana.
Mi son sentito, con profondo piacere, come ai primi tempi dei miei studi geologici: allora imparai a osservare, guardare e percepire pietre, rocce e montagne non più come un immobile morto substrato senz’anima, meccanicamente necessario a sostenere la Vita di piante e animali, ma come elementi a modo loro vivi e per nulla immobili, parte di un unico organismo vivente e divino che alcuni chiamano pianeta Terra, altri Gaia; con Libereso mi son reso conto definitivamente che anche le “erbacce” hanno un’anima, non solo gli alberi – che comunque continuo ad amare più delle erbe – o le piante da fiore “civili”.
Decisamente Libereso onora il nome di Sanremo nel mondo.
(Scritto il 9 aprile 2004)