Non è vero che i colori autunnali sono tristi e monotoni. Anche il grigio delle giornate nuvolose dimostra insospettate luminosità e minuti dettagli, se osservato con lo spirito e con gli occhi giusti.
I vetri delle finestre di questo “Palazzo delle Scienze” sono sporchi dentro e fuori, abbruttiti da anni di convivenza col traffico di Corso Europa e con le migliaia di particelle nerastre emesse dall’impianto di riscaldamento (per la nostra salute e a maggior gloria dell’architetto che ideò quest’edificio), offesi da mesi di latitanza di straccio e vetril; però nemmeno questi vetri disperati riescono a nascondere la ricchezza di dettaglio di un cielo apparentemente plumbeo e uniforme.
Ci sono almeno due tonalità di grigio e una di giallino: c’è il nerastro dei cumuli, spessi e tozzi, dai bordi curvi e grassi, che si muovono lentamente e sembra non cambino forma; c’è il grigio biancastro degli strati, spezzettato, aguzzo, con gli orli in rapido disfarsi, che stenti a ritrovare se per accidente hai dovuto distogliere lo sguardo per un momento, mossi da qualche vento in quota che non arriva a disturbare il silenzio umido del cortile; e c’è un’incertezza di nuvolaglia color avorio, che appare talvolta, sottile ed alta, chiara perché lascia filtrare la luce del sole che, nonostante tutto, lucet omnibus.
C’è silenzio qui a terra. Niente gabbiani, oggi; un rondone ogni tanto, ma non garrisce. Il corpo immobile della gru del cantiere interrotto di Clinica Oculistica ricorda al viandante la caducità delle cose umane e che qui si consumano alle intemperie, certo in buona fede, un pò di soldi del contribuente.
Si prepara a piovere, ma non è un pineto e io non sono D’Annunzio, per cui torno ai miei laser e ai miei termometri. Alla faccia del lavoro di ieri del signor Giorgio Costa, “termico” dell’Alenia, qui non si termostata un fico secco di niente. Forse è vero che l’unica scienza esatta è la teologia.
(Scritto in un impreciso giorno di autunno di un anno fra il 1988 e il 1993, forse)